MASTERPIS-OLINO - ALDO GRASSO: “VIANELLO DEVE AVER SENTITO TROPPA RADIO3, ALTRIMENTI UN SIMILE PROGRAMMA NON GLI SAREBBE MAI VENUTO IN MENTE”

1 - IL RISCATTO SOCIALE CON GLI SCRITTORI IN TV
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"

Andrea Vianello, direttore di Rai3, in vita sua deve aver sentito troppa Radio3, altrimenti un simile programma sull'editoria non gli sarebbe mai venuto in mente. Come se non ci fossero già troppi aspiranti scrittori. Come se gli scrittori non superassero di gran lunga i lettori. Ma la cultura popolare, con la sua estetica democratica, rompe anche le regole della pubblicazione. E allora via con il manoscritto nel cassetto.

Di fronte a una giuria composta da Massimo De Cataldo, Taiye Selasi e Andrea De Carlo (puro esame di maturità), è andato in scena il riscatto sociale. C'erano l'ex carcerato, l'ex anoressica, l'operaia, il commerciante, la fisioterapista, 5.000 portatori insani di un caso umano, il proprio.

Tutti intenti a far sentire, dalle loro pagine, l'odore dei broccoletti, la pietra filosofale della scrittura di Fabio Volo (facilmente intuibile la smorfia di disgusto di De Carlo, che si vanta di non avere il televisore e crede di scrivere meglio di Volo).

Il fatto è che «Masterpiece» è la cosa meno televisiva che si possa mettere in scena: i manoscritti non hanno volto, la lettura dei medesimi è imbarazzante e i tre giudici si prendono troppo sul serio (Rai3, domenica, ore 22.58). Non si pretende cultura, ma un po' di gestione del linguaggio tv, tipo Maria De Filippi, non guasterebbe.

Nondimeno, ci sono stati momenti involontariamente sublimi: quando il vincitore, Lilith Di Rosa, teorizza il «sapore di piscio» (e il cemento?); quando i concorrenti vengono spediti a fare esperienza sul campo in un centro sociale della Falchera e in un vecchio dancing, accompagnati dal coach Massimo Coppola, plumbeo e moraleggiante; quando i finalisti incontrano in ascensore Elisabetta Sgarbi per il pitch (?!?) e restano impauriti; quando scorrono i titoli di coda e si sentono i «veri» scrittori. Peggio degli aspiranti!

2 - MASTERPIECE, REALITY DELLA NOIA
Elisabetta Ambrosi per il "Fatto quotidiano"

I candidati sono nervosi, agitati. Le audizioni stanno per cominciare. I giudici sono pronti per il verdetto, mentre il coach conforta i concorrenti. C'è Daniel, giornalista di Bologna, per due volte ricoverato in un ospedale psichiatrico; Romina, operaia, sua madre è morta e il padre è anaffettivo. Poi, ancora, Veronica, giovane casalinga, Antonio l'ex galeotto disoccupato, Francesco il maratoneta che si astiene dal sesso, Marta la mamma anoressica. Idealtipi da reality.

Fioccano le prime eliminazioni - "Per me è no", dice un giudice che mastica poco l'italiano - che sia forse un nuovo Xfactor? Strano, perché i personaggi non cantano. "La prova fa schifo", dice un giudice barbuto - che abbiano anticipato l'inizio di Masterchef? Difficile, in giro non ci sono né utensili né ortaggi. "Per te il programma finisce qui", aggiunge un altro - oddio, Miss Italia è tornata sulla Rai: però no, i concorrenti sono anche maschi e alcuni sono pelati.

Ma allora di che si occupa il nuovo "talent", che va in onda su Rai Tre la domenica sera (targato Rcs Libri, presidente Paolo Mieli e prodotto dalla Fremantle di Lorenzo Mieli)? Se non fosse per qualcuno che ricorda che i partecipanti hanno scritto un libro e che il vincitore sarà pubblicato da Bompiani e stampato in 100.000 copie.

E per la sceneggiatura infarcita di luoghi comuni sulla scrittura ("un viaggio mitologico e immaginifico", "creatività e tormento in bilico tra autoironia e sofferenza" e così via), fino a metà della puntata, con le prove di racconto, nessuno capirebbe, tra le lacrime dei concorrenti che raccontano malattie e sciagure stile La vita in diretta, che siamo in un reality letterario.

E allora si potranno pure evitare snobismi letterari, come ammonisce severo da Twitter Beppe Severgnini, o credere che con la cultura si mangi o fuggire come la peste i noiosi programmi sui libri. Ma il problema di Masterpiece è che, a differenza delle mutande del grande fratello, delle fritture delle cucine da incubo, delle cosce delle candidate dei concorsi di bellezza, delle voci dei cantanti, un romanzo non lo puoi vedere, sennò la scrittura non si chiamerebbe scrittura. E infatti il programma annoia mortalmente e il televoto non c'è, perché il libro l'hanno letto solo loro (vincerà l'inquieto dalla scrittura "convulsa e jazzata", assediato "dai mille dubbi della vita").

Il programma, che avvera il presagio del Triste mietitore su Twitter: "Ho avuto un incubo tremendo: ho sognato che, non sapendo più cosa inventarsi, in tv c'era un reality di aspiranti scrittori" (aggiungiamo: con consigli finali di uno scrittore famoso sul "non adeguarsi all'aria che tira"), non farà vendere una copia in più. Anzi, oltre a confermare che anche per la cultura esistono le larghe intese, rispecchiate dai tre giurati Andrea De Carlo, Giancarlo De Cataldo e l'esotica Taiye Selasi, e cioè Bompiani-Mondadori/Einaudi, sancisce - nel paese dei non lettori - che si può parlare di scrittura senza leggere.

E poi suggella un'altra verità: per chi non ha agganci, è inutile fare la gavetta, partecipare a veri concorsi letterari, tentare il mestiere per le normali vie. D'ora in poi la selezione sarà a Masterpiece. O il salotto radical chic o il reality da macello, o la cricca o la massa. E infatti il prodotto è autoctono. Puro Made in Italy.

 

 

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