GRILLINI CHE TRAMANO CONTRO BEPPUZZO: CIVATI PROVA DI NUOVO A SPACCARE IL M5S

Andrea Malaguti per "La Stampa"

«D' Alema 2.0». O anche, più precisamente, «il partito di Rodotà». Che sembrano due cose diverse. E invece sono la stessa. Prima era un'idea confusa, presumibilmente figlia di una leggenda. Poi, nel corso delle settimane, è diventata uno strano sogno. Una discussione tra un piccolo pezzo del Pd e una parte minoritaria del Movimento 5 Stelle che con Grillo non si trova più in sintonia.

Da ieri, dopo una telefonata, è diventato un minuscolo cantiere visionario, che vuole archiviare per sempre l'era berlusconiana, riconnettendo la sensibilità delusa della pancia del centrosinistra (a partire da OccupyPd) con la propria supposta classe dirigente.

«Professore, le piacerebbe farci da premier?». Rodotà, a Berlino per un convegno, non si sarebbe fatto trovare impreparato. Così si è schiuso l'embrione di un mondo. Un micro-universo parallelo, che fonda la sua esistenza su una domanda: se cade il governo, è inevitabile tornare a votare rischiando di riconsegnare l'Italia al Cavaliere?

Un passo indietro aiuta a capire il dibattito. Il punto di partenza è la leggenda. Una storia - infondata, secondo i presunti protagonisti - che ha galleggiato in transatlantico per settimane. Sono i giorni imbarazzanti che precedono l'elezione del Presidente della Repubblica. Il Pd è allo sbando. Un arcipelago di isole velenose.

In una notte shakespeariana Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani si scontrano . D'Alema chiede a Bersani di sostenere la candidatura Rodotà che porterebbe a un governo con l'appoggio dei 5 Stelle. «D'Alema 2.0», appunto. La risposta di Bersani, dipinto come un uomo che si mette in posizione di preghiera con l'aria di chi vuole imporre un superlavoro al suo rosario, è piccata. «Mai e poi mai». Fin qui il romanzo.

Poi comincia la vita vera, perché la mente è una minuziosa macchina da presa che entra in tutte le stanze del passato e ti costringe a rivedere le scelte fatte. Un gruppo di piddini cerca la parte dialogante del Movimento. A guidarli è Pippo Civati, convinto che le assemblee di piazza nate dalla candidatura Rodotà e i plateali mal di pancia dei militanti del suo partito per l'innaturale accordo con Berlusconi, non possano essere trascurati.

Si muove riscuotendo l'attenzione di un gruppo sempre più folto di Cinque Stelle sia alla Camera sia al Senato. L'europarlamentare Sonia Alfano lo aiuta. E persino il sindaco di Napoli De Magistris non sarebbe estraneo alla partita.

Discorsi che cadono nel vuoto, un po' perché l'impressione diffusa (e comprensibilmente molto forte) è che il governo non possa cadere perché sostenuto dal Quirinale, un po' perché Civati ha bisogno di allargare la base del consenso interno e, infine, perché i grillini dialoganti non hanno la forza di contarsi fino a una cena chiarificatrice di poche sere fa. Davanti a una pizza e a una birra si ritrova un gruppo di dodici persone - deputati e senatori - che comincia a usare il pallottoliere. «Quanti di noi sarebbero disposti a fare un gruppo pronto ad appoggiare il Pd?».

La replica è: venti a Montecitorio, quindici a Palazzo Madama. Stima eccessiva? In ogni caso sono questi i numeri che vengono portati al Pd, dove anche qualche dalemiano ha fatto arrivare la propria adesione all'idea. A questo punto viene contattato Rodotà. E adesso? Civati la mette in questo modo: «Berlusconi sappia che se fa cadere il governo in modo strumentale - o ci costringe a prendere le distanze dall'esecutivo - potrebbero esserci conseguenze non banali. C'è un fronte in Parlamento, e ancor più nel Paese, che non ha nessuna intenzione di regalare l'Italia a chi si dovesse dimostrare irresponsabile, per altro dopo esserlo stato per vent'anni».

È il primo abbozzo di Manifesto Costituivo. La voce gira. Il giovane turco Fausto Raciti, emergente ventinovenne siciliano, non crede tanto all'ipotesi di una crisi di governo. Eppure dice: «Se esiste questo elemento di novità è bene che il Pdl ne tenga conto ed eviti i dispetti che abbiamo visto in questi giorni. E forse tra i Cinque Stelle qualcuno ha i sensi di colpa perché si è reso conto che un accordo era possibile».

Era o è? E quanti sono davvero i grillini pronti a salutare i vecchi amici nella certezza che il rigore trasformato in gabbia di se stesso diventa rifiuto di contaminarsi con la vita reale? Solo se Stefano Rodotà dovesse entrare ufficialmente in questo nuovo gioco arriverebbe la risposta.

 

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