ACQUA DI ‘COLONIA’ PER HOLLANDE - L’INTERVENTO IN MALI È UN’AZIONE CONTRO IL TERRORISMO O È IL TENTATIVO DI UNA EX POTENZA COLONIALE DI VOLER MANTENERE PESO IN AFRICA? LA SECONDA CHE HAI DETTO – AGGIUNGERE UN HOLLANDE ANSIOSO DI DIMOSTRARE ENERGIA E CAPACITÀ DI DECISIONE AI CONCITTADINI SCETTICI SU QUESTE SUE VIRTÙ - PER EVITARE UN ALTRO CAOS STILE LIBIA CHISSÀ SE LA FRANCIA COINVOLGERÀ ALTRE NAZIONI AFRICANE O TERRÀ IL MALI TUTTO PER SÉ…

Bernardo Valli per "la Repubblica"

Il dilemma posto dall'intervento militare francese nel Nord del Mali è evidente. Si tratta di un'inevitabile azione contro il terrorismo o di un'operazione neocoloniale? Quest'ultima versione acquista peso se si tiene conto che a condurre l'intervento, con un impegnativo dispiegamento di forze aeree e di terra, è l'ex potenza coloniale, sospettabile di voler mantenere la sua decrescente influenza in quella regione africana.

Altro punto in favore di questa versione, con l'aggiunta di una sfumatura personalizzata, è che a prendere l'iniziativa sia stato un presidente socialista, François Hollande, ansioso di dimostrare energia e capacità di decisione ai concittadini scettici su queste sue virtù, e invece adesso colpiti dal gagliardo modo in cui ha assolto il ruolo di capo delle forze armate assegnatogli dalla Costituzione della Quinta Repubblica.

Il presidente dileggiato perché "troppo normale" acquista prestigio sulla punta dei fucili. La Francia ritorna sulla ribalta militare, con l'approvazione della maggioranza degli alleati europei, la benedizione delle Nazioni Unite e l'obiettivo di sconfiggere il terrorismo. Dunque un'operazione legittima e nobile. Ma con quel sospetto di necolonialismo
senz'altro fastidioso.

Ho cominciato con questa interpretazione dell'intervento militare francese nel Nord del Mali perché di fronte a un'azione militare il dubbio, lo scetticisimo, la critica hanno un'influenza benefica, direi salutare, servono da vaccino all'obsoleto, inaccettabile entusiasmo per la guerra e le sue conseguenze. Ed anche le sue motivazioni spesso ambigue. Non sempre onestamente dichiarate. L'accusa di neocolonialismo è stata lanciata da non pochi osservatori, in verità in gran parte stranieri, perché i francesi sembrano in questa occasione piuttosto animati da uno spirito di unità nazionale.

Unità nazionale questa volta condivisibile in versione europea. Non manca, è vero, nell'intervento di Hollande una punta di neo colonialismo, dovuta all'incancellabile storia francese nell'Africa occidentale. Ma l'intervento militare non è in questo caso un'intrusione negli affari interni del Mali, bensì ha come obiettivo la sua difesa da un attacco esterno. Un'aggressione di stampo jihadista.

E quindi da arginare affinché non si estenda.
Il generale Carter F. Ham, il più alto ufficiale americano in Africa, avrebbe preferito un azione congiunta dei paesi del Continente. Ma essi non hanno mezzi militari sufficienti. E per ora approvano l'operazione francese. Il generale Carter F. Ham si chiede anche: "E adesso?" E' scettico e ha ragione di esserlo.

Teme che l'intervento militare francese non riesca a fermare il dilagare dei jihadisti, non soltanto nel Mali, e provochi altre tragedie, come quella avvenuta a In Amenas, un campo di gas algerino, dove i terroristi hanno preso in ostaggio i tecnici stranieri per punire il governo d'Algeri, colpevole di avere permesso agli aerei francesi diretti nel Mali di sorvolare il territorio nazionale.

Dove colpiranno adesso quelli dell'Aqmi (Al Qaeda nel Magreb islamico), o di Ansar Eddine (i partigiani della religione, vale a dire della sharia)? I precedenti sono preoccupanti: l'uccisione dell'ambasciatore americano a Bengasi, l'assalto all'ambasciata americana a Tunisi, e forse anche gli spari contro la macchina del console italiano sempre a Bengasi, che hanno provocato la chiusura della nostra rappresentanza in quella città.
Armi e uomini dei gruppi jihadisti sono i resti del regime di Gheddafi, assoldati dall'Aqmi e dai suoi derivati.

Gli aerei e i soldati francesi nel Nord del Mali continuano in sostanza l'operazione franco-inglese, allora soltanto aerea, che fu determinante nella sconfitta del colonnello libico. Un'operazione rimasta incompiuta, poiché l'azione militare non basta. Demolisce un regime ma lascia soltanto rovine. Non solo rovine materiali. La ricostruzione politica doveva essere il capitolo finale indispensabile di un intervento come quello promosso da Londra e da Parigi, con l'aiuto logistico americano.

Quella ricostruzione politica non c'è stata. Cosi oggi la Libia non è più oppressa da un raìs megalomane e sanguinario, ma è un mosaico di tribù rissose incontrollabili dal governo centrale. Montagne di armi sono state abbandonate, lasciate alla popolazione, alle fazioni in lotta, e in larga parte recuperate dai jihadisti. Se ne trovano adesso non solo nel Mali ma anche a migliaia di chilometri. Senz'altro in Siria. I jihadisti non sono numerosi. Non riempiono le piazze. Ma sanno scegliere i loro campi d'azione.

Sono una nebulosa difficile da individuare fino a quando non passano all'offensiva. Sono salafiti e spesso non risparmiano i musulmani moderati. Non soltanto gli occidentali e i laici. In Iraq si sono infiltrati nella guerriglia antiamericana, all'inizio laica. Sono integralisti sunniti indottrinati da religiosi sauditi o del Golfo. In Siria sono ormai una forza consistente all'interno dell'opposizione armata al regime di Assad.

Questo sommario ritratto dei gruppi jihadisti che i francesi cercano di cacciare dal Nord del Mali, giustifica lo scetticismo del generale Carter F. Ham sull'efficacia dell'operazione promossa da Hollande. Come arginare quella nebulosa, che sfugge il più delle volte alle intelligence occidentali? Ma quando quella nebulosa si manifesta l'unica soluzione resta il tentativo di contenerla e di disperderla.

E' la strada scelta da Parigi, in quella regione africana che fu parte del suo impero. Ed è giusto che il resto dell'Europa, immune da tentazioni neocoloniali, dia una mano alla Francia. Con l'impegno a non limitarsi a un intervento militare, sia pure semplicemente logistico. Indispensabile è l'azione politica nel concerto delle nazioni africane, e via via la loro partecipazione diretta che non può essere soltanto occidentale. Per non rischiare appunto di apparire neocoloniale.

 

 

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