SENZA VERGOGNA - CHE NESSUNO TOCCHI I FINANZIAMENTI PUBBLICI! - I DDL PRESENTATI DA CULATELLO E CASINI DOPO LO SCANDALO LUSI NON PREVEDONO TAGLI MA SOLO CONTROLLI PIÙ STRINGENTI - IL POMPETTA PROPONE I “SUPER PAC” ALL’AMERICANA - SPOSETTI, STORICO TESORIERE DEI DS, OGGI AL PD: “TRA SEI MESI L'INDIGNAZIONE DEI CITTADINI METTERÀ I PARTITI SULLO STESSO PIANO E CI SPEDIRÀ TUTTI A CASA. I PARTITI NON CI SARANNO PIÙ. FINITI!”…

Mariolina Sesto per "Il Sole 24 Ore"

Un fiume di denaro che va via via ingrossandosi proprio a partire dal 1994, l'anno successivo al referendum che aveva decretato lo stop ai finanziamenti pubblici ai partiti.

Si parte con quasi 47 milioni di rimborsi elettorali alle politiche che incoronano Silvio Berlusconi premier per la prima volta e si approda ai 503 milioni dell'ultima tornata di politiche, quella del 2008.

I volumi sono aumentati di dieci volte e, contemporaneamente si è allargata la forbice fra l'ammontare delle spese elettorali sostenute dai partiti (che sono aumentate ma non allo stesso ritmo dei rimborsi) e quello dei fondi che dovrebbero coprire quelle spese.

Alle politiche 2008, ad esempio, mediamente per ogni euro speso, i partiti ne hanno incassati quattro e mezzo. Si va dal Pdl, che avendo speso la cospicua somma di 68 milioni di euro ne ha incassato tre volte di più (oltre 206 milioni) al Pd, che avendo più parsimoniosamente speso per la campagna elettorale 18 milioni di euro e avendone incassati 180, ha messo a frutto una plusvalenza del 900 per cento. Ancora meglio è andata alla Lega che ha incassato oltre 11 volte più di quanto speso.

Il boom dei rimborsi
Ma come hanno fatto i contributi pubblici a moltiplicarsi in misura così eclatante? È stato il Parlamento stesso ad autorizzare gli aumenti. Se, infatti, nel '93 il monte contributi veniva calcolato moltiplicando 1.600 lire per il numero degli abitanti della Repubblica, la legge del '99 ha più che raddoppiato la misura del contributo portandolo a 4mila lire, poi aumentato ancora a 5 euro.

A poco è valso limitare il fattore di moltiplicazione ai cittadini iscritti alle liste elettorali per le elezioni della Camera (guarda caso l'elettorato più numeroso): il tesoro da spartire è cresciuto in modo esponenziale. Beffa nella beffa: nel caso di erogazione ritardata delle somme dovute ai partiti, lo Stato paga loro persino gli interessi legali maturati.

Infine, sull'incremento dei rimborsi ha pesato la leggina che ha garantito il pagamento dei contributi anche in caso di interruzione anticipata della legislatura. Eventualità verificatasi nel 2008, con la caduta del governo Prodi che si è tramutata in un vero e proprio affare per i partiti con il raddoppio dei fondi trasferiti nelle casse dei tesorieri. Una norma talmente esosa da essere sopravvissuta per pochissimo tempo: è stata già cassata.

Il «taglietto» recente
Di fronte a queste cifre il «taglio» che la politica si è autoinflitta negli ultimissimi anni appare del tutto ridicolo. Le decurtazioni dei fondi attuate con varie manovre e in più tempi hanno portato negli ultimi quattro anni a un taglio del 30 per cento. Taglio che i partiti si sono affrettati a definire più che sufficiente tanto che i Ddl di riforma presentati alle Camere negli ultimi mesi (dopo il caso Lusi) non contemplano alcuna ulteriore incisione nel tesoretto dei rimborsi.

Né la proposta del Pd, né quella dell'Udc, molto simili nel delineare regole stringenti di trasparenza sull'uso dei fondi pubblici non prendono in alcun modo in considerazione l'idea di una cura dimagrante per i finanziamenti statali. E neppure il Pdl, che fra l'altro non versa in condizioni finanziarie molto favorevoli, ha in mente di rinunciare a parte dei rimborsi.

Ieri il suo segretario ha annunciato la prossima presentazione di un Ddl che insieme a controlli più rigidi suggerisce un finanziamento privato più robusto, come si suol dire «all'americana». Ma nel partito di Berlusconi in molti hanno da obiettare su questo modello: in un momento di crisi economica e insieme di così grande impopolarità dei partiti, è la critica più ricorrente, quale cittadino offrirà di buon grado e di sua spontanea volontà i suoi soldi alle forze politiche?

I dubbi dei partiti
Sia il Pd che l'Udc, invece, sostengono apertamente che il finanziamento pubblico è necessario e che i tagli recenti sono già stati abbastanza dolorosi. Nella stessa lettera che ieri Pier Luigi Bersani ha inviato a Casini e Alfano non si parla di alcuna riduzione dei rimborsi ma solo di più stringenti controlli sui bilanci e sull'uso dei fondi pubblici con la certificazione obbligatoria dei documenti contabili e le verifiche della Corte dei conti.

Solo il partito di Fini (oltre a Di Pietro che ha presentato un referendum sull'abolizione dei rimborsi) si avventura nella proposta di decurtazione dei contributi dello Stato chiedendone il dimezzamento.

Chissà se Fli riuscirà a convincere i suoi alleati. Certo è che in Parlamento la paura di essere spazzati via alle prossime elezioni comincia a superare quella di perdere una parte dei contributi pubblici. Le parole del Pd Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Ds e difensore a oltranza del finanziamento pubblico dei partiti, ne sono una efficace testimonianza: «L'ho detto a Gianfranco Fini, con Massimo D'Alema ne parlo tutti i giorni, gli faccio una testa così - confida all'Espresso -. Lo capite o no che tra sei mesi l'indignazione dei cittadini metterà i partiti sullo stesso piano. E ci spedirà a casa tutti. Tra sei mesi i partiti non ci saranno più? Finiti!». Altro che rimborsi elettorali.

 

 

PIERLUIGI BERSANIPIERFERDINANDO CASINI ANGELINO ALFANO LUIGI LUSIcasini berlusconiUGO SPOSETTI - Copyright PizziFRANCESCO BELSITO CON UMBERTO BOSSI

Ultimi Dagoreport

donald trump tulsi gabbard vladimir putin

DAGOREPORT - A CHE SERVONO LE AGENZIE DI SPIONAGGIO A TRUMP E PUTIN? - ANZICHÉ PROTEGGERE LA SICUREZZA DELLO STATO, ANTICIPANDO RISCHI E CRISI, OGGI LA MISSIONE DI CIA E FBI IN AMERICA E DI FSB, SVR, GRU IN RUSSIA, È DI REPRIMERE IL DISSENSO CONFERMANDO IL POTERE - CIRO SBAILÒ: ‘’PER LA PRIMA VOLTA, IL VERTICE POLITICO NON SI LIMITA A INDIRIZZARE: PUNTA A SVUOTARE LA FUNZIONE DELL’INTELLIGENCE, RIDUCENDOLA A UNA MACCHINA DI STABILIZZAZIONE POLITICA AD USO PERSONALE...’’

ali larijani khamenei vladimir putin xi jinping

A TEHERAN QUALCOSA STA CAMBIANDO – SI NOTANO CURIOSI MOVIMENTI NEL SISTEMA DI POTERE IRANIANO: MENTRE RICOMPAIONO VECCHI VOLPONI COME ALI LARIJANI, STA NASCENDO UN NUOVO CENTRO DECISIONALE NON UFFICIALE, A GUIDARE LE MOSSE PIÙ DELICATE DEL REGIME. I PASDARAN PERDONO QUOTA (LA LORO STRATEGIA È FALLITA DI FRONTE ALL’ANNIENTAMENTO DI HEZBOLLAH, HAMAS E ASSAD), AVANZA UN “CONSIGLIO OMBRA” DI TRANSIZIONE, CON IL CONSENSO DI KHAMENEI – “L’ASSE DEL MALE” CON RUSSIA E CINA PROSPERA: TEHERAN HA BISOGNO DELLE ARMI DI PUTIN E DEI SOLDI DI XI JINPING. ALLA FACCIA DI TRUMP, CHE VOLEVA RIAPRIRE IL NEGOZIATO SUL NUCLEARE…

matteo salvini luca zaia giorgia meloni

DAGOREPORT – COSA SI SONO DETTI GIORGIA MELONI E LUCA ZAIA NELL'INCONTRO A PALAZZO CHIGI, TRE SETTIMANE FA? - TOLTA SUBITO DI MEZZO L'IDEA (DI SALVINI) DI UN POSTO DI MINISTRO, LA DUCETTA HA PROVATO A CONVINCERE IL “DOGE” A PRESENTARE UNA SUA LISTA ALLE REGIONALI IN VENETO MA APPOGGIANDO IL CANDIDATO DEL CENTRODESTRA (ANCORA DA INDIVIDUARE) - MA TRA UNA CHIACCHIERA E L'ALTRA, MELONI HA FATTO CAPIRE CHE CONSIDERA ZAIA IL MIGLIOR LEADER POSSIBILE DELLA LEGA, AL POSTO DI UN SALVINI OSTAGGIO DELLE MATTANE DI VANNACCI – UN CAMBIO DI VERTICE NEL CARROCCIO EVOCATO NELLA SPERANZA CHE IL GOVERNATORE ABBOCCHI ALL’AMO...

elly schlein giorgia meloni beppe sala ignazio la russa maurizio lupi marcello viola

DAGOREPORT - NESSUNO VUOLE LE DIMISSIONI DI BEPPE SALA: DA SINISTRA A DESTRA, NESSUN PARTITO HA PRONTO UN CANDIDATO E TRA POCHI MESI A MILANO COMINCIANO LE OLIMPIADI MILANO-CORTINA – MA SALA VUOLE MANIFESTARE ALL'OPINIONE PUBBLICA UNO SCATTO DI DIGNITÀ, UN GRIDO DI ONESTÀ, UNA REAZIONE D'ORGOGLIO CHE NON LO FACCIA SEMBRARE  ''LU CIUCCIO 'MIEZZO A LI SUONI'' - L’UNICO A CHIEDERE IL PASSO INDIETRO DEL SINDACO È IGNAZIO LA RUSSA, CHE INVECE UN CANDIDATO CE L’HA ECCOME: MAURIZIO LUPI. METTENDO SOTTO LA SUA ALA IL PARTITO DI LUPI, "NOI MODERATI", ‘GNAZIO SOGNA IL FILOTTO: CONQUISTARE SUBITO IL COMUNE DI MILANO E NEL 2028 LA REGIONE LOMBARDIA – MOLTO DELL’INCHIESTA SULL’URBANISTICA DIPENDERÀ DALLA DECISIONE DEL GIP, PREVISTA PER MERCOLEDI': SE IL GIUDICE NON ACCOGLIERÀ LE RICHIESTE DEI PM (CARCERE O DOMICILIARI PER GLI INDAGATI), LA BUFERA PERDERÀ FORZA. VICEVERSA…

ravello greta garbo humphrey bogart truman capote

DAGOREPORT: RAVELLO NIGHTS! LE TROMBATE ETERO DI GRETA GARBO, LE VACANZE LESBO DI VIRGINIA WOOLF, RICHARD WAGNER CHE S'INVENTA IL “PARSIFAL'', D.H. LAWRENCE CHE BUTTA GIU’ L'INCANDESCENTE “L’AMANTE DI LADY CHATTERLEY’’, I BAGORDI DI GORE VIDAL, JACKIE KENNEDY E GIANNI AGNELLI - UN DELIRIO ASSOLUTO CHE TOCCO’ IL CLIMAX NEL 1953 DURANTE LE RIPRESE DE “IL TESORO D’AFRICA” DI JOHN HUSTON, SCENEGGIATO DA TRUMAN CAPOTE, CON GINA LOLLOBRIGIDA E HUMPHREY BOGART (CHE IN UN CRASH D’AUTO PERSE I DENTI E VENNE DOPPIATO DA PETER SELLERS). SE ROBERT CAPA (SCORTATO DA INGRID BERGMAN) SCATTAVA LE FOTO SUL SET, A FARE CIAK CI PENSAVA STEPHEN SONDHEIM, FUTURO RE DI BROADWAY – L’EFFEMMINATO CAPOTE CHE SI RIVELÒ UN BULLDOG BATTENDO A BRACCIO DI FERRO IL “DURO” BOGART - HUSTON E BOGEY, SBRONZI DI GIORNO E UBRIACHI FRADICI LA NOTTE, SALVATI DAL CIUCCIO-TAXI DEL RISTORANTE ‘’CUMPÀ COSIMO’’ - QUANDO CAPOTE BECCÒ IL RE D’EGITTO FARUK CHE BALLAVA ALLE 6 DEL MATTINO L’HULA-HULA NELLA CAMERA DA LETTO DI BOGART… - VIDEO + FILM

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni antonio tajani quirinale alfredo mantovano

DAGOREPORT - NON CI SARÀ ALCUNA ROTTURA TRA MARINA E PIER SILVIO: NONOSTANTE LA NETTA CONTRARIETÀ ALLA DISCESA IN POLITICA DEL FRATELLINO, SE DECIDESSE, UN GIORNO, DI PRENDERE LE REDINI DI FORZA ITALIA, LEI LO SOSTERRÀ. E L’INCONTRO CON LA CAVALIERA, SOLLECITATO DA UN ANTONIO TAJANI IN STATO DI CHOC PER LE LEGNATE RICEVUTE DA UN PIER SILVIO CARICATO A PALLETTONI, È SALTATO – LA MOLLA CHE FA VENIRE VOGLIA DI EMULARE LE GESTA DI PAPI E DI ‘’LICENZIARE’’ IL VERTICE DI FORZA ITALIA È SALTATA QUANDO IL PRINCIPE DEL BISCIONE HA SCOPERTO IL SEGRETO DI PULCINELLA: TAJANI SOGNA DI DIVENTARE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NEL 2029, INTORTATO DA GIORGIA MELONI CHE HA PROMESSO I VOTI DI FRATELLI D’ITALIA. UN SOGNO DESTINATO A SVANIRE QUANDO L’EX MONARCHICO SI RITROVERÀ COME CANDIDATO AL QUIRINALE UN ALTRO NOME CHE CIRCOLA NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, QUELLO DI ALFREDO MANTOVANO…