L’INVERNO ARABO - I PRIMI DATI DELLE ELEZIONI EGIZIANE CONFERMANO LA VITTORIA DEI FRATELLI MUSULMANI (50%), SEGUONO GLI ANCOR PIÙ INTRANSIGENTI SALAFITI (20%), I LAICI DEL BLOCCO CRISTIANO DI SAWIRIS ARENATI A UN MISERO 16% - AD ALESSANDRIA I “TALEBAN” ARRIVANO AL 24% E MINACCIANO DI DICHIARARE INFEDELE CHI VOTA PER CRISTIANI E LAICI - C’È ANCORA MARGINE PER LA TRATTATIVA CON L’ESERCITO, MA UN GOVERNO ISLAMICO SEMBRA DIETRO L’ANGOLO - E ISRAELE RESTERÀ A GUARDARE?...

Domenico Quirico per "la Stampa"

Si vede che i tempi stanno mutando. I Fratelli musulmani sono sempre stati, per metodo e per necessità, discretissimi (hanno sperimentato le benevolenze dei commissari di polizia di Nasser, Sadat, Mubarak), ma questa volta hanno annunciato con un comunicato secco secco, già da padroni, di essere i vincitori della prima fase delle elezioni del dopo Mubarak. Meticolosi, i Fratelli, fino a enumerare nel silenzio dei dati ufficiali (rinviati a oggi) la nuova geografia politica del Paese: «Il nostro partito della Libertà e della giustizia (Plj) è in testa seguito da al Nour (i salafiti); terzo il Blocco egiziano».

Vero, verissimo: nei nove governatorati dove si è votato lunedì (17,5 milioni di elettori su 50, 168 seggi in palio) i Fratelli, secondo i primi dati, sono al 50%, i salafiti sfiorano il 20%. Cifre, se confermate, da sbaragliare anche la più allenata immaginazione. Plj ha dominato nelle zone rurali. Ma ad Alessandria i «taleban», che hanno minacciato di dichiarare infedele chi vota per cristiani e laici, sono arrivati addirittura al 24% e sono il primo partito a Kafr al Sheikh nel Delta.

Ieri pomeriggio al caffè Groppi dove nei tavolini è rappresa la veneranda storia del Cairo, gli abitudinari scrutavano un cliente intento al suo succo di frutta. Lunga barba, il pantalone corto sulle caviglie, il salafita sembrava un grosso gatto soddisfatto e goloso venuto a prender possesso delle nuove proprietà. Inutile dedicarsi alla casistica delle differenze dottrinali tra l'islam dei moderati e quello degli intransigenti.

Certo: i salafiti vogliono lo Stato islamico, la denuncia del trattato di pace con Israele e la rinuncia agli empi miliardi di aiuti americani; i Fratelli si affannano a sfumare, tranquillizzare. È un gioco delle parti, alla fine faranno alleanza. Da decenni si frequentano, in strada e in galera. Il Potere li unirà per creare ai vinti guai memorandi.

Il partito di dio ha ben ragione di pensare che anche qui il vento della storia gonfi le vele delle loro speranze e dei loro assunti. Li conforta il calamitoso risultato dei liberali e gauchiste del Blocco egiziano guidato dal magnate cristiano Naguib Sawiris; arenato, pare, al 16%. Risultano, questi liberali nostrani, monotoni, insipidi, divisi. Hanno realizzato quote decenti, sembra, solo nei quartieri residenziali. Quelli dei ricchi.

Che è quasi una colpa. E poi è difficile battere un partito che ogni venerdì può organizzare centomila comizi. Nelle moschee del Paese. Le tribolazioni di questo Egitto liberale sembrano destinate a perpetuarsi sotto nuova forma. Certo, questa è solo la prima fase di elezioni diluite e bizzarre dal punto di vista costituzionale, studiate apposta per consentire al Consiglio militare che ha controllato finora il dopo Mubarak di avere il tempo di correggere, se necessario, un voto sgradevole. O meglio: di avviare con i vincitori i mercanteggiamenti necessari a mantenere i propri privilegi e abbuiare le decennali connivenze con Mubarak.

Difficile però aggirare l'impressione che il più popoloso e il più decisivo Paese del mondo arabo si avvii come le altre Primavere di quaggiù sulla strada del potere islamico. Mohammed Morsy, che dirige Giustizia e libertà, ha già messo le carte in tavola: «È la maggioranza parlamentare che formerà il governo e sarà di coalizione. Noi non rivendichiamo uno Stato islamico».

Addendo che non conforta il consiglio militare che invece intendeva mantenere fino al prossimo anno il diritto di scelta del governo. Ieri i generali hanno avviato «consultazioni», sfumando a domani l'entrata in carica del premier designato, Ganzouri, uno stagionato voltagabbana dei tempi di Mubarak, dai capelli posticci come le sue promesse di nuovo.

Ora sono di fronte i due rivali veri, l'esercito e gli islamici. È scomparso il terzo incomodo, piazza Tahrir e i suoi rivoluzionari, i veri sconfitti. Mentre gli egiziani commentavano i risultati elettorali, la piazza era ormai semivuota, esausta e sbracata, dopo una battaglia notturna a colpi di bastone e di molotov che ha provocato decine di feriti. Ma questa volta non era contro i gendarmi e i nemici della rivoluzione, ci si è battuti contro ambulanti e ramazzaglia che avevano trasformato il luogo dei martiri in un sudicio e ambiguo bazar.

Per domani c'è ancora un appello alla mobilitazione. E lo sceicco della università islamica di al Azhar si è offerto di far da mediatore tra i militari e la piazza, per offrir loro una via di uscita onorevole. Ma la rigenerazione di un mondo è risultata un compito leggermente superiore a quanto questi ragazzi avevano previsto, per cui non basta qualche blog e un po' di bric-à-brac rivoluzionario. Hanno sciupato e esaurito la loro energia, dilapidato la loro iliade. Un ragazzo, disperato, sdraiato su un tappeto sudicio nel disfatto accampamento di Tahrir, ieri ripeteva: «Avremmo bisogno di un nuovo Nasser, ma dove lo troviamo?».

 

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