IN NOMINE RENZI, CHE ‘RUPTURE’! – MA SIAMO SICURI CHE 238MILA € ANNUI LORDI SIA UNA CIFRA SUFFICIENTE A FAR SÌ CHE ALLA GUIDA DELLE GRANDI AZIENDE PUBBLICHE CI SIANO I MIGLIORI MANAGER IN CIRCOLAZIONE?

Claudio Cerasa per ‘Il Foglio'

Le nomine con cui lunedì sera Matteo Renzi ha ridisegnato il profilo di buona parte della classe dirigente delle aziende pubbliche del nostro paese offrono all'osservatore un quadro che più o meno potremmo sintetizzare così: rottamazione dal punto di vista della forma, rottamazione parziale dal punto di vista della sostanza. Sul piano della forma il risultato di Renzi appare evidente. E tra presidenti e amministratori delegati, rispetto all'ultimo giro, è rimasto, come da ferma richiesta di Giorgio Napolitano, soltanto Gianni De Gennaro alla guida di Finmeccanica.

Per il resto, Renzi ha cambiato praticamente tutto e ha condito il suo cambiamento con il tocco chic e charmant delle nomine femminili: Emma Marcegaglia alla presidenza di Eni, Patrizia Grieco alla presidenza di Enel, Luisa Todini alla presidenza di Poste e da ieri (almeno così pare) Catia Bastioli alla presidenza di Terna. E' il solito metodo Renzi: dai all'opinione pubblica qualcosa da poter spolpare (capolista donne, governo giovane, governo con pochi ministri, nomine rosa, e così via) e avrai la certezza che la tua operazione avrà successo e anche un ritorno anche dal punto di vista elettorale. Certo.

Si potrebbe notare, come hanno fatto in molti, che in realtà il cambiamento in buona parte è di facciata perché le donne al comando sono state "relegate", se così si può dire, al ruolo di presidenti, e non di amministratori delegati, e la critica ovviamente ha un senso. Ma ciò che risulta più significativo rispetto al quadro complessivo delle nomine è il criterio adottato dal presidente del Consiglio per dare un significato a questo passaggio politico. E qui arriviamo alla sostanza.

Il presidente del Consiglio ha utilizzato il metodo Cencelli per accontentare tutti coloro che andavano accontentati (alleati di governo, Confindustria, D'Alema, Letta, Berlusconi, e la profonda sintonia con il Cav. anche su questo terreno è solida) e per creare attorno alle sue nomine un clima non da grande ma da grandissima coalizione. D'Alema potrà essere contento per la scelta di Marta Dassù nel cda di Finmeccanica. Enrico Letta potrà essere contento per la nomina di Francesco Caio alla guida delle Poste e per la nomina di Fabrizio Pagani (capo di gabinetto di Padoan) nel cda di Eni. Forza Italia potrà essere contenta per la nomina di Guido Alpa nel cda di Finmeccanica. Pier Ferdinando Casini potrà essere contento per la nomina di Roberto Rao nel cda di Poste.

Nel gruppo Espresso qualcuno potrà essere contento per la nomina di Patrizia Grieco alla presidenza dell'Enel. Angelino Alfano potrà essere contento per la nomina di Salvatore Mancuso nel cda di Enel e per la nomina di Marina Calderone nel cda di Finmeccanica. Scelta civica potrà essere contenta per la nomina di Alberto Pera nel cda di Enel. E lo stesso Renzi potrà considerarsi molto soddisfatto per essere riuscito a ottenere la nomina di Antonio Campo Dall'Orto nel cda di Poste, di Fabrizio Landi nel cda di Finmeccanica, di Alberto Bianchi nel cda di Enel e di Luigi Zingales nel cda di Eni. Quanto al resto, i messaggi politici contenuti all'interno della rosa di nomi scelti per la guida delle più importanti aziende italiane ci dicono anche qualcos'altro. Ci dicono che la discontinuità vera rispetto al passato la si può rintracciare nella scelta di affidare le poste a Caio (volto di rottura rispetto a Sarmi).

La si può rintracciare nella scelta - Padoan era contrario, così come Enrico Letta e così come Napolitano - di affidare la guida dell'Enel a Starace, ovvero un volto di rottura rispetto alla linea Conti (Starace, all'interno di Enel, è sempre stato capo della minoranza interna, se così si può dire). La si può rintracciare nella scelta di affidare a Moretti la guida di Finmeccanica (Renzi ha voluto in Finmeccanica un volto forte per indicare la nuova strada dell'azienda, che nel futuro dovrà seguire un percorso meno legato al fronte militare, era la vecchia linea Orsi-Pansa, e più legato al ramo civile).

Paradossalmente, invece, la maggiore continuità rispetto al passato la si può osservare all'interno di un'azienda come l'Eni in cui Renzi ha sostituito un pezzo da novanta come Paolo Scaroni sostituendolo con un manager come Claudio Descalzi, che ha una sua autonomia e una sua indipendenza ma che in questi anni si è sempre mosso in totale sinergia con l'ex numero uno dell'Eni. Si dirà: e la rottura di dare la presidenza di Eni a una donna come Emma Marcegaglia?

Qui il tocco charmant che Renzi ha provato a offrire all'azienda non è efficace come negli altri casi: Marcegaglia è garante di un vecchio mondo confindustriale che ha sempre dato più importanza all'asset degli imprenditori pubblici rispetto all'asset degli imprenditori privati e il suo curriculum da presidente di Confindustria presenta alcune fragilità (come ha ricordato ieri Marco Alfieri su Linkiesta, sotto la sua gestione c'è stata un'emorragia di imprese uscite dall'associazione, con la Fiat in testa, il Sole 24 Ore ha imboccato una crisi verticale e ha lasciato un movimento balcanizzato ferocemente diviso tra aziende pubbliche e private). Ma la persona, comunque, ha una sua solidità incontestabile.

Forma e sostanza, dunque. Renzi, attraverso le nomine - che ha orchestrato seguendo un criterio basato ancora una volta più sul primato della politica che sul primato della società civile (insomma, niente gherardocolombate e niente benedettetobagiate) - ha provato a piantare i semi per far crescere una nuova nomenclatura che possa maturare a sua immagine e somiglianza (ma bisogna ancora lavorare molto). Non tutto è perfetto e ci sono alcune scelte discutibili, ma anche stavolta il messaggio di rottura è passato. Ed è un messaggio addolcito non solo dalle scelte femminili ma anche dall'annuncio del taglio degli stipendi per i presidenti delle aziende pubbliche (i presidenti, non gli amministratori delegati).

Recita il governo: "Per quanto riguarda gli emolumenti previsti per i nuovi presidenti di Enel, Eni, Finmeccanica e Poste Italiane, si proporrà all'assemblea delle società che il compenso annuo sia fissato nella cifra di 238 mila euro annui lordi". Ovvero più o meno 100 mila euro all'anno. E' la cifra che guadagna il presidente della Repubblica, certo.

Ma come ci dice un manager romano coinvolto in prima persona nella selezione dei nomi da offrire al governo per la grande partita delle nomine, "siamo sicuri che sia una cifra sufficiente a far sì che alla guida delle grandi aziende pubbliche ci siano i migliori manager in circolazione e non soltanto quelli che oltre che essere sufficientemente competenti sono di per sé già molto benestanti?". Chissà.

 

claudio descalzi MATTEO RENZI IN CONFERENZA STAMPA A PALAZZO CHIGI FOTO LAPRESSE Luisa Todini MARCEGAGLIA TODINI GRIECO donne de gennaro della rocca santarelli foto mezzelani gmt Fulvio Conti e Paolo Scaroniimage DE GENNARO MANGANELLI RENZI E NAPOLITANO AL GIURAMENTO

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