TU PORTABORSE, IO INCASSO - OGNI DEPUTATO HA A DISPOSIZIONE CIRCA 4 MILA € PER ASSUMERE UN PORTABORSE, MA C’È CHI NON ASSUME NESSUNO E INTASCA IL DENARO, CHI ASSUME FAMILIARI (COME IL PDL MALAN, PRIMA LA MOGLIE E POI LA NIPOTE DELLA MOGLIE!) O CHI DÀ STIPENDI DA FAME - BERTINOTTI NEL 2007 PROVÒ A IMPORRE AI DEPUTATI IL DEPOSITO DEI CONTRATTI: LO FECERO SOLO IN 236 SU 630 - L'UFFICIO DEL LAVORO DI ROMA HA APERTO UN'INCHIESTA...

Primo Di Nicola per "l'Espresso"

Ci sono quelli che non ce l'hanno, come il deputato del Pdl Simone Baldelli, e che i soldi del fondo per il portaborse se li mettono direttamente in tasca: "Sono vicecapogruppo alla Camera e non ho bisogno di assistenti personali", spiega: "Se mi serve qualcosa, mi affido ai collaboratori che lavorano per il gruppo". Ci sono gli altri che invece ce l'hanno, li contrattualizzano, ma con compensi da fame. È il caso di Soaud Sbai, parlamentare del centrodestra eletta in Puglia, che di collaboratori ne ha tre, uno dei quali, Nicola Nobile, pagato appena 500 euro al mese.

E ci sono quelli, come il presidente della Camera Gianfranco Fini, già dotati di uno stuolo di segretari e collaboratori a carico del bilancio di Montecitorio, che non avendo bisogno di altri assistenti i soldi li destinano interamente al proprio partito: "Per un movimento politico nuovo come Futuro e Libertà", chiarisce, "è una risorsa importante visto che non percepisce neanche un centesimo di finanziamento pubblico".

Ecco tre casi dalla giungla dei portaborse, assistenti, segretari, portavoce ed esperti dai titoli e incombenze tra le più strane e variegate, per i quali gli eletti ricevono ogni mese una ricca prebenda. Soldi in abbondanza, 3.690 euro per i deputati, 4.180 per i senatori (e vai a capire il perché di questa differenza) che dovrebbero consentire di stipulare contratti di lavoro regolari e soprattutto adeguatamente compensati. Invece, sia a Montecitorio che a Palazzo Madama le cose vanno in maniera del tutto diversa, con molti casi di lavoro in nero e compensi prossimi alla fame.

Una vera macchia per il Parlamento che Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera, nel 2007 provò a cancellare imponendo ai deputati il deposito di regolari contratti per concedere agli assistenti gli ambiti accrediti e i relativi badge per l'ingresso al palazzo di Montecitorio. Risultato? Un clamoroso fiasco, visto che ad avere depositato i contratti con i portaborse sono stati solo 236 su 630. Un andazzo che, sotto la spinta delle lamentele e delle denunce di alcuni assistenti (vedi scheda a pag. 32) ha spinto l'ufficio del lavoro di Roma ad aprire un'inchiesta, acquisire documenti e contratti da Camera e Senato e a convocare gli stessi portaborse.

Le risultanze dell'ispezione dovrebbero arrivare entro tempi brevi, nel frattempo Fini e Renato Schifani, il presidente del Senato, hanno annunciato novità importanti sul trattamento degli assistenti che, sulla scorta di quanto succede al Parlamento europeo, a partire dalla prossima legislatura, grazie anche ad una apposita leggina, dovrebbero essere pagati direttamente dal Parlamento previo deposito dei regolari contratti. Ma sinora non si è visto niente.

La legge per i portaborse è ancora allo studio mentre l'unica cosa certa è che i parlamentari dovranno rendicontare al massimo il 50 per cento del fondo erogato dalle Camere. Sul resto tutto rimarrà come prima. Già, ma come sono andate sinora le cose? Come si regolano gli onorevoli con questo fondo? Lo utilizzano davvero per assumere un assistente? Che tipo di contratto scelgono e quanto li pagano? "L'Espresso" ha interpellato un centinaio di parlamentari. Non tutti hanno risposto. Le spiegazioni fornite offrono comunque uno spaccato interessante sugli usi e gli abusi del fondo per i portaborse.

Certo, sarebbe bello in epoca di invocata trasparenza, di tagli ai servizi e di grandi sacrifici richiesti ai cittadini, se i soldi stanziati per uno scopo preciso, come quello dell'assunzione di un assistente, venissero restituiti quando non sono utilizzati. Invece, ai vertici delle due Camere, tra coloro che si avvalgono di personale stipendiato direttamente dal Parlamento e che non hanno bisogno di altro personale (presidenti e vicepresidenti di Camera e Senato, segretari d'aula, questori, presidenti di commissioni, capigruppo), le cose vanno in maniera diversa.

Come nel caso del presidente del Senato Schifani che a "l'Espresso" spiega di dedicare ("Nel pieno rispetto dell'attuale disciplina", puntualizza) una parte del fondo "a tutte le iniziative politiche e culturali che il parlamentare assume sul territorio quale rappresentante della nazione", mentre un'altra parte, "mediante ritenuta diretta sul proprio conto corrente", viene dal presidente del Senato versata al Pdl. Come se i partiti non ricevessero già dallo Stato, attraverso i cosiddetti rimborsi elettorali, cifre da capogiro ad ogni tornata elettorale.

A MAL PARTITO
Sono infatti molti i parlamentari che destinano una parte del fondo alla forza politica di appartenenza. Gli eletti nel Pd e nell'Udc staccano ogni mese un assegno di 1.500 euro, 800 versano mediamente i parlamentari del Pdl, molto di più quelli della Lega. Spiega Massimiliano Fedriga, deputato del Carroccio: "Non ho un collaboratore a Roma, il servizio mi viene fornito dal gruppo parlamentare". E i soldi dei portaborse? Al partito, al quale versa circa 3 mila euro al mese, come tutti i colleghi lumbard. E non è finita. A Trieste, "dove sono coordinatore provinciale", aggiunge Fedriga, "usufruisco invece dei servizi di una società di comunicazione con una persona che mi segue e che rilascia regolare fattura".

VIVA LA SCUOLA
Al partito, ma non solo. Confessa Beatrice Lorenzin, deputata berlusconiana del Lazio: "Ho un assistente parlamentare che pago a fatica. E la ragione è presto detta: con i soldi del plafond della Camera finanzio la mia scuola di formazione politica e molte attività sul territorio, per le quali sono arrivata persino a dover andare a comprare i gazebo all'Ikea. Comunque", aggiunge la Lorenzin, "il mio collaboratore ha un contratto co.co.pro che mi è stato indicato dagli uffici della Camera, dove l'ho anche depositato". Il compenso? "Prende sui mille euro al mese, più bonus".

Neanche Linda Lanzillotta, esponente dell'Api rutelliana spende tutto il fondo disponibile per pagarsi il portaborse. Attualmente, Lanzillotta dice di avere una giovane assistente, con contratto a tempo determinato e contributi previdenziali pagati. Sul trattamento economico non aggiunge di più anche se, afferma, "certamente non spendo tutto il contributo per l'assistente". Dove finiscono allora gli altri denari? Una parte, afferma, va all'attività di "documentazione ed elaborazione per il lavoro parlamentare"; il restante all'associazione Glocus di cui è presidente.

SULLA CRESTA DELL'ONDA
Simone Baldelli non è il solo a mettersi in tasca tutti i soldi dei portaborse. A fare la cresta ci sono anche altri personaggi molto conosciuti. Come Andrea Ronchi, ex ministro per le Politiche comunitarie, da poco riapprodato nel Pdl: "Non ho collaboratori, faccio tutto da me", giura: "La mia attività è prevalentemente di livello europeo, investo in viaggi legati all'attività politica". O della levatura di Angelino Alfano. Il segretario del Pdl ha due collaboratori storici, un segretario particolare e una portavoce. Fino a qualche mese fa, cioè sino a quando è stato ministro della Giustizia, i due erano pagati direttamente dal ministero.

Diventato segretario del Pdl, sono invece passati a carico del partito. Quando divenne Guardasigilli, inoltre, Alfano annunciò anche la chiusura del suo storico ufficio di Agrigento: "Per non rischiare contatti con ambienti strani", disse. Morale: senza spese sul territorio e con i collaboratori pagati prima da via Arenula e poi da via dell'Umiltà, Alfano ha potuto intascarsi comodamente l'intero ammontare del fondo.

ALLA FAME
Anche quando va bene, cioè nei casi in cui contrattualizzano i portaborse, deputati e senatori non si rivelano però molto generosi. Rita Bernardini, deputata radicale che negli ultimi anni ha fatto le pulci al bilancio della Camera denunciandone sprechi e spese pazze , dice di avere due contratti depositati alla Camera. Uno di consulenza con l'avvocato Alessandro Gerardi, pagato 1.200 euro lordi, che per un legale non è certo un granché; l'altro, a progetto, con Valentina Ascione, compensata addirittura con meno: appena 900 euro lordi mensili. "Ma è tutto in regola", spiega l'onorevole, che rivela di aver superato brillantemente l'esame dell'Ispettorato del lavoro a cui ha inviato i contratti. Ciononostante, non prende bene l'intrusione de "l'Espresso": "Ma perché non chiamate anche chi fa battaglie sulla legalità e poi non ha nessun collaboratore?".

CARISSIMA MOGLIE
Molto generoso con i portaborse è invece il senatore del Pdl Lucio Malan che alle due persone assunte nella propria segreteria in questa legislatura devolve in pratica l'intero importo del fondo per gli assistenti. Ma la ragione c'è: una, Maria Termini, è la moglie; l'altra, Ilenia, è la nipote dell'amata consorte. Ma per carità, nessuno scandalo a sentire Malan, che si giustifica dicendo di avere assunto la signora nel 2006 su richiesta del gruppo parlamentare di Forza Italia di cui era dipendente. Volendo il gruppo sfoltire i ranghi, aveva chiesto ai propri senatori di assorbire qualche segretaria. Malan ha preso la consorte ("Bravissima") e successivamente, la di lei nipote, di cui ha sempre rivendicato la grande professionalità

PORTABORSE-SHARING
E poi dicono che i parlamentari non hanno fantasia. Per risparmiare, in molti si sono inventati il portaborse-sharing, l'assistente condiviso. A illustrare l'innovazione è il senatore democratico Roberto Della Seta che racconta di avere due contratti depositati. Uno con una collaboratrice in esclusiva, Sonia Pizzi; l'altro con Daniele Sivori, collaboratore a metà con il collega Francesco Ferrante, eletto in Umbria.

Entrambi gli assistenti hanno un contratto a tempo determinato fino alla scadenza della legislatura, spiega Della Seta. Quanto al guadagno, portano a casa appena mille euro lordi al mese. Davvero poco, considerando che nel caso della Sivori lo stipendio è pagato a metà dai due senatori.

VIRTUOSI
Sono quelli che affermano di impiegare le risorse erogate dalle Camere interamente per il portaborse. Qualcuno, anzi, fa di più. Ermete Realacci, storico ambientalista democratico, ha due collaboratori contrattualizzati, Matteo Favaro e Francesca Biffi. La somma dei loro compensi, parola dell'onorevole, sarebbe addirittura superiore a 3.600 euro lordi. "Esattamente, spendo di più di quello che mi danno alla Camera". Realacci ha poi un altro giovane che lavora per lui a Pisa, suo collegio elettorale: a costui vanno invece solo 300 euro netti al mese.

Anche Barbara Pollastrini ha due collaboratori con regolare contratto a progetto. Uno dei due, Ettore Siniscalchi, giornalista, spiega che l'onorevole versa 1.300 euro netti a ciascuno di loro. Calcolando tutti i costi, compresi quelli contributivi, i due assistenti finiscono per far spendere alla Pollastrini più dei 3 mila 600 euro erogati per i collaboratori dalla Camera: "Proprio così", dice Siniscalchi, "l'onorevole ci rimette".

CI VUOLE L'AVVOCATO
Veri maestri nell'arte di arrangiarsi con i portaborse sono gli avvocati-parlamentari, anche quelli di grido. Tra questi, il senatore Piero Longo, con Niccolò Ghedini storico difensore di Silvio Berlusconi. "Certo che ce l'ho", dice Longo: "Il mio collaboratore parlamentare è una collega di studio, l'avvocatessa Anna Desiderio". Una collega di studio? "Non c'è niente di strano, il rapporto è passato al vaglio della commissione del Senato ed è stato ritenuto congruo", spiega Longo senza fornire altre spiegazioni su questa fantomatica "commissione".

Aggiunge il senatore: "A fine mese la collega rilascia regolare fattura anche per l'attività di mia assistente parlamentare. Lavora a Padova, non è necessario che venga a Roma, non mi serve ancora che mi si porti la borsa. Lei deve tenere i rapporti politici con la base e fungere da segreteria politica".

Altro caso da manuale quello di Pierluigi Mantini, deputato eletto nel Pd ma passato all'Udc, professore universitario e avvocato residente a Milano. Mantini confessa con candore di avvalersi, per la sua attività parlamentare, dei ragazzi del suo studio legale. Li tiene a progetto o a partita Iva, dice. Sui dettagli, a cominciare dagli importi dei compensi, preferisce sorvolare, inutile insistere: "Scusatemi, non ho tempo, sono in palestra". Beato lui.

DESAPARECIDOS
Sono i parlamentari che, agganciati telefonicamente, accettano a malincuore di rispondere cercando comunque di tagliare la conversazione con vaghe promesse di continuare successivamente. Qualche caso: Ignazio Abbrignani, deputato del Pdl: "Ho un collaboratore con contratto depositato". Tipo di contratto? Retribuzione? "Non lo so, se ne occupa il mio commercialista. Glielo chiedo, la richiamo". Entro breve? "Sì sì, certamente...". Stiamo ancora aspettando.

Peppino Calderisi, ex radicale, eletto nelle liste del Pdl: " Sono impegnato...", "richiami...". Lo abbiamo fatto, non ha più risposto. Colomba Mongiello, senatrice democrarica: "Sono nel traffico, richiamatemi". Dopo più di un'ora il telefono squilla ma la senatrice nemmeno risponde. Michaela Biancofiore, altra berlusconiana. Dice di avere un collaboratore nel collegio di Bolzano, con un contratto a tempo indeterminato. Non dice il nome, né la retribuzione: "Non lo vengo certo a a dire a voi quanto pago i miei collaboratori". E a Roma, com'è organizzata? "Sto per fare un contratto ad un assistente". Di che tipo? "Non ho tempo, arrivederci...".

 

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