IL BULLETTO NON HA CAPITO CHI COMANDA - MENTRE RENZI, ALL’INCONTRO DI MILANO, SOSTENEVA CHE IL TETTO DEL 3% E’ ANACRONISTICO PERCHÉ RISALE A VENTI ANNI FA, LA MERKEL S’E’ FATTA UNA RISATA DANDO DI GOMITO A BARROSO E HOLLANDE

1 - LA RIFORMA INCASSA L’OK DELLA MERKEL E BERLINO APRE SULL’USO DEI FONDI UE

Andrea Greco per “La Repubblica"

 

renzi schulz, hollande and merkel in milanarenzi schulz, hollande and merkel in milana

Gli impegni presi sul Patto di stabilità europeo vanno rispettati. Lo chiede Angela Merkel, che però a Milano fa una cauta apertura verso una nuova e più flessibile gestione dei vincoli di bilancio: «Ci sono paesi che devono lottare per rispettare il patto di stabilità, siamo pronti a discutere modifiche da portare al sistema», ha detto la Cancelliera tedesca.

 

Che non ha dettagliato, ma probabilmente alludeva ai fondi europei, di cui 6,4 miliardi stanziati proprio per il lavoro giovanile; ma che se attinti appesantiscono i bilanci statali. Il padrone di casa Matteo Renzi l’ha definita «una frase molto importante». Come importanti, per lui, sono stati gli avalli del Jobs Act, che Merkel ha definito «un passo importante», mentre il presidente francese ha detto «guardiamo con attenzione alla riforma del lavoro in Italia».

 

renzi al vertice ue di milano renzi al vertice ue di milano

Il terzo vertice europeo sul lavoro in un anno, dopo Berlino e Parigi, non risolve la maggior piaga del Vecchio continente, ma come se ne è detto la “Conferenza di alto livello sull’occupazione in Europa” «tiene alta la tensione e lo slancio» verso una sfida che, se persa, potrebbe annichilire una generazione di europei. O, con le parole di interessato Francois Hollande — che sente i forconi lepenisti alle spalle — «allontanerà i popoli dall’Europa».

 

La disoccupazione europea, ormai all’11,50%, è ancor più intollerabile perché in alcuni paesi, Germania in testa, quasi non si sente, mentre in Italia e Spagna sfiora in 50% tra i giovani. Ma per far crescere l’occupazione servono investimenti miliardari, e i vincoli stretti dei bilanci pubblici li scoraggiano.

 

Per questo nell’occasione Renzi ha potuto giocare di sponda con Hollande, che chiedeva di regolare meglio le politiche di bilancio. Italia e Francia sono i due principali indiziati di non poter, o voler, rispettare il rapporto di deficit al 3% del Prodotto nazionale. Ma durante la conferenza stampa hanno rassicurato la vicina (di posto) Merkel, e i vertici della Commissione e del Consiglio europeo sul rispetto del tetto del 3%.

merkel e hollande al vertice ue di milanomerkel e hollande al vertice ue di milano

 

Hollande ha detto che lo farà sfruttando i margini di flessibilità esistenti (e probabilmente con due anni di ritardo); Renzi ha fatto un distinguo concettuale: «Ho le mie idee sul 3%, e le mantengo tutte. È un parametro ideato vent’anni fa, in un altro mondo, quando ancora non c’era internet, e proprio oggi (ieri, ndr) ho letto che per la prima volta le connessioni sono 7,2 miliardi, più degli esseri umani. Comunque io voglio rispettare quel vincolo, e senza intromettermi nelle scelte di Spagna, Francia o altri».

 

Qui ha tirato una frecciata a Merkel, che intanto sorrideva: «Dieci anni fa la Germania con il governo di Schroder superò quel vincolo del 3%. Potremo parlare in futuro di nuovi vincoli, ma non nei prossimi 15 giorni, quindi nella legge di stabilità porremo il vincolo al 2,9%». Merkel si è detta «fiduciosa che Italia e Francia rispetteranno gli impegni» sui conti pubblici, ha il problema di ridurre l’abnorme surplus tedesco, per cui ha dettagliato un piano di spesa da 15 miliardi per introdurre salari minimi e «altri sostegni della domanda interna che saranno utili anche ai nostri vicini europei».

 

2. MA RESTA IN SOSPESO IL GIUDIZIO DI BRUXELLES SUI CONTI ITALIANI

Alberto D’Argenio per  “la Repubblica

 

matteo renzi e angela merkelmatteo renzi e angela merkel

«Nella Germania dell’Est tutti i giovani studiavano per diventare fiorai, ma non c’erano abbastanza soldi per comprare fiori. Dobbiamo cambiare alcune regole per spendere meglio i fondi che l’Europa mette a disposizione dei governi». E’ così, con un ricordo personale, che Angela Merkel nel chiuso del vertice sul lavoro di Milano apre a qualche modifica delle regole europee per rilanciare la crescita. Segnali, per ora poco chiari, su un futuro migliore. Anche se il presente resta inchiodato alle regole del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact.

 

Mentre il premier Renzi segue con attenzione la bagarre al Senato sul Jobs Act, i lavori del summit vengono guidati principalmente dal ministro degli Esteri Federica Mogherini e dal sottosogretario agli Affari Ue Sandro Gozi. Il premier incassa il via libera di Barroso, Van Rompuy, Hollande e Merkel sulla riforma del lavoro. Certo, avrebbe preferito annunciare ai partner la sua approvazione in diretta, ma l’ostruzionismo dei grillini a Palazzo Madama fa slittare il voto di fiducia. Poco male.

 

Ma l’impressione è che il giudizio sui conti italiani atteso per fine mese resti in bilico. Durante il summit Hollande quasi non parla, Renzi invece insiste sulla necessità di investire, di essere flessibili, di dare un’anima politica all’Unione. In mattinata ne parla al telefono con la Merkel. Con la quale ha un breve colloquio durante il vertice. Parlano della conferenza stampa congiunta che inizialmente non avrebbe dovuto esserci ma che poi si è fatta per evitare l’immagine di un’Europa divisa. «Iniziamo puntuali – chiede la Cancelliera – altrimenti rientro a Berlino troppo tardi».

landini a milano al corteo contro il vertice ue landini a milano al corteo contro il vertice ue

 

Davanti ai cronisti siedono così Renzi, Merkel, Hollande, Barroso, Van Rompuy e Schulz. E qui la Cancelliera apre a nuove regole per l’Europa. Sulle prime c’è chi pensa a una vera rivoluzione sul Patto di Stabilità e sul Fiscal Compact, ma non è così, come spiegava la frase sui fioristi pronunciata durante la riunione dei leader.

 

Si tratta di aiutare i governi a spendere più facilmente i sei miliardi della Youth Guarantee, il fondo per l’occupazione giovanile attivo in questo biennio. Ma poi la Cancelliera accenna anche al cofinanziamento dei fondi europei. Durante il summit milanese Renzi, come Hollande e il maltese Muscat, sono tornati a chiedere che la parte di soldi provenienti dal bilancio dei singoli governi per cofinanziare i progetti europei venga scomputata dal calcolo del deficit.

 

E se la Merkel si decidesse finalmente a questo passo, per Roma significherebbe liberare decine di miliardi nei prossimi sei anni visto che i fondi Ue per l’Italia sono circa 70 miliardi che il governo deve accompagnare, a seconda dei progetti, pagando dal 25 al 50% dell’ammontare.

 

Sul presente però la Cancelliera è netta: vanno rispettate le re- gole sui conti. Sarà un caso, ma mentre in conferenza stampa Renzi dice che il tetto del 3% è anacronistico perché risale a vent’anni fa («quando ancora non c’era Internet»), la Merkel si illumina in una risata. Dà di gomito a Barroso e Hollande, che ricambiano l’ilarità, sebbene la Francia sia messa molto peggio dell’Italia sul deficit. D’altra parte che tra la Merkel e Renzi ci sia una divergenza di opinioni sul tetto di Maastricht è noto a tutti.

 

angela merkel al vertice di milano angela merkel al vertice di milano

Intanto incombe la decisione della Commissione di Barroso sui conti italiani, con il rischio bocciatura della Legge di Stabilità che sarà notificata a Bruxelles il 15 ottobre. Nel mirino di Bruxelles c’è il debito pubblico. Ieri non se ne è parlato, ma qualcosa che riguarda il giudizio del 29 ottobre è successo. Il Parlamento Ue ha bocciato la commissaria designata dal governo sloveno Alenka Bratusek.

 

Così durante il summit di Milano, come d’abitudine, la Merkel ha preso in mano la situazione e girando intorno al tavolone della riunione ha improvvisato qualche bilaterale con i colleghi e soprattutto ha pressato il premier sloveno Miro Cerar affinchè nomini subito un sostituto della Bratusek per evitare ritardi nell’insediamento della Commissione Juncker. Lo stesso ha fatto Renzi.

 

Già, perché se Juncker entrerà in carica il primo novembre avrà influenza politica nella decisione sulla Legge di Stabilità che prenderà Barroso appena due giorni prima. Se invece l’insediamento dovesse slittare, la sua opinione avrebbe meno peso mentre Roma resta speranzosa che un presidente entrante preferisca agire con più cautela verso un grande paese rispetto a quello uscente.

 

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