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JOBS SCAZZ! ELLY SCHLEIN, VINCOLATA DALL’ABBRACCIO CON LA CGIL DI LANDINI, RISCHIA DI SCHIANTARSI SUL REFERENDUM PER L’ABOLIZIONE DEL JOBS ACT, RIFORMA DEL PD IN EPOCA-RENZI - TRA I DEM CRESCONO I DUBBI, DA FRANCESCHINI, MENTORE DI ELLY, AI RIFORMISTI GUERINI E BONACCINI – LA SEGRETARIA MULTIGENDER NON VUOLE NEMICI A SINISTRA MA LA BATTAGLIA DI BANDIERA SUL JOBS ACT RISCHIA DI RELEGARE IL PD IN UN FORTINO MINORITARIO. TANTO PIÙ CHE LA CONSULTAZIONE REFENDARIA RISCHIA DI NON RAGGIUNGERE IL QUORUM…

Roberto Gressi per il "Corriere della Sera" - Estratti

 

schlein landini

«Nell’operazione vittoriosa prima ci si assicura la vittoria e poi si dà battaglia. Nell’operazione destinata alla sconfitta prima si dà battaglia, poi si cerca la vittoria. Un esercito confuso conduce all’altrui vittoria». Sun Tzu, generale e filosofo cinese, vissuto cinque secoli prima di Cristo, pare che abbia dettato ieri questa avvertenza al generale Maurizio Landini, che guida Pd e sinistra verso un improbabile successo nel referendum contro il Jobs act, figlio dei dem egemonizzati allora da Matteo Renzi. E sì che una lezione c’era già stata, e di quelle che non si scordano, nella sfida sul taglio della scala mobile, che adeguava i salari all’inflazione.

 

(…)

 

Non che Landini non sappia quel che fa. «Sia chiaro, non metto in discussione il governo eletto — ha detto a Enrico Marro in un’intervista sul Corriere — ma quando la metà degli elettori non va a votare, dico che il governo non ha la maggioranza nel Paese, e non è autorizzato a mettere in discussione i diritti dei lavoratori». È la sua difesa della «rivolta sociale», che gli è costata l’accusa di «cattivo maestro» da parte delle destre.

elly schlein (3)

 

Partita di lunga lena, la sua, che magari mette pure nel conto che si possa non vincere nel breve periodo. E che va avanti nonostante il no della Cisl e il boh, per il momento, della Uil. La vicenda per il Pd, però, è un altro paio di maniche. Non tanto perché, con Matteo regnante, il Jobs act lo votarono praticamente tutti. Perché si sa, funzionava così, tanti borbottavano ma poi in direzione si allineavano, o al massimo facevano un po’ di Aventino.

 

Ma il problema vero riguarda l’oggi.

 

Che all’avventura referendaria non ci credano Lorenzo Guerini, Marianna Madia e Giorgio Gori, sta nelle cose. Ma pure Dario Franceschini, il potente capocorrente che ha sostenuto Schlein alle primarie, pensa che sia una scelta velleitaria. E il presidente del partito, Stefano Bonaccini, che mai sconfitto fu più leale di lui, con la segretaria, non è per niente convinto.

 

elly schlein (2)

Elly lo sa che si è messa in un bel guaio, ma mollare Landini non si può, non si può più. Anche perché del leader della Cgil non si può fare a meno, quando si tratterà di menare le mani in vista delle elezioni politiche. Poi, non è un mistero, l’obiettivo della segretaria è uno e uno solo: vedersela faccia a faccia con Giorgia Meloni alle elezioni.

 

Con l’amico Landini che dopo la sconfitta del settembre 2022 poteva ambire anche a guidarla lui, la sinistra. E quindi Elly lo ha marcato stretto, cercando sempre di non farsi scavalcare. E ancora oggi non ha intenzione di deflettere dalla linea di non avere nessun nemico a sinistra. Specie adesso che ha confinato Giuseppe Conte in una ridotta, ma con Avs di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli che un po’ a sorpresa sono arrivati al sei per cento, anche grazie alla candidatura di Ilaria Salis.

 

franceschini guerini

Tutti voti che, in qualche modo, Schlein ritiene suoi per primogenitura. Ma non le sfugge che le battaglie di bandiera possono sì far crescere i consensi al partito, ma anche relegarlo in un fortino minoritario, per quanto robusto. Tanto più con Romano Prodi che guida il fronte cattolico di sinistra e le rimprovera di non saper far crescere le alleanze. E con Paolo Gentiloni che garbatamente spinge perché si affermi una cultura di governo.

 

Non che quella di Schlein fosse una linea da dilettanti allo sbaraglio, ché un progetto c’era. Il referendum sull’autonomia differenziata avrebbe fatto da collante, e trainato gli altri quesiti e il quorum. Ma la Corte costituzionale l’ha bocciato, e ora superare il cinquanta per cento è diventato una chimera. Senza contare che la stessa Corte ha via via svuotato il Jobs act, cancellando negli anni le misure più scabrose. E l’altro tema, quello sulla Cittadinanza, è così divisivo che rischia addirittura di far fare passi indietro su una vicenda che, in linea di principio, trova aperture anche nel centro del centrodestra.

franceschini renzi

 

Insomma, il referendum si conferma una lama affilata da tutte e due le parti. Perderlo, sia pure per mancanza del quorum, inseguendo Landini, apre una ferita. Nel tempo ne hanno pagate le spese Craxi, sulle preferenze, Berlusconi e Renzi, sulle riforme costituzionali. E non pare un caso che l’accorta Meloni stia lì, almeno al momento, a lasciare il premierato nella palude.

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