L’ARGENTINA È A DUE MESI DAL CRAC - LA BANCA CENTRALE BRUCIA 200 MLN AL GIORNO PER SOSTENERE LA MONETA - E CRISTINA IN CROCE CHIAMA PURE IL PAPA: “SANTITÀ, CI AIUTI LEI”

1. PERCHÉ L'ARGENTINA SPAVENTA IL MONDO
Omero Ciai per ‘La Repubblica'

L'ingresso della Banca centrale a Buenos Aires è un tempietto neoclassico di colonne bianche non lontano da luoghi molto più carichi di passato e simboli: la plaza de Mayo, la Casa Rosada, la Cattedrale dell'episcopato. È il "microcentro" della capitale argentina, la City. Un reticolo di stradine pedonali dove di giorno è quasi impossibile camminare senza sbattere contro qualcuno ma che, dopo il tramonto, si svuota diventando un labirinto abbastanza pericoloso per l'incolumità del neofita.

È qui, nella Banca centrale, che si combatte in queste ore l'ultima guerra d'Argentina, la battaglia del peso. Sostenere la moneta locale dalla svalutazione sta costando alle riserve monetarie del Paese quasi 200 milioni di dollari al giorno. Tanti ne stanno gettando sul mercato i funzionari della Banca per impedire il disastro. Ma, a questi ritmi, è una guerra già persa. Sul campo minato della battaglia finanziaria l'Argentina ha già lasciato quasi 4 miliardi di dollari delle sue riserve nel breve volgere di dicembre e gennaio, l'estate australe da queste parti.

Due mesi, massimo tre, dicono gli economisti, e quando lo Stato non avrà più dollari per sorreggere il valore della sua moneta arriverà il crac. Si salvi chi può. D'altra parte basta dare uno sguardo alle cifre. Il dollaro si scambia sul mercato ufficiale controllato a 8 pesos mentre su quello "vero", parallelo, libero, continua a crescere. Era a undici, poi a dodici, oggi è a tredici. Il 60% di più. Per contenere la pressione, all'inizio della settimana, il governo ha dischiuso l'uscio. Ha svalutato e liberato parzialmente l'acquisto di dollari che era completamente proibito alle persone dalla fine del 2011. Non basta. La fuga dai pesos è ormai un fiume in piena e chiunque ha risparmi cerca di metterli al sicuro nelle monete forti.

Così l'Argentina è tornata a correre sull'ottovolante come alla fine del 2001 quando la crisi precipitò nel default, nella cancellazione del debito estero dei bond (che tanti risparmiatori italiani stanno ancora soffrendo) e in una delle svalutazioni più pesanti della storia. Lo scenario c'è tutto. L'inflazione cresce (+4% solo a gennaio), il deficit fiscale - ossia la differenza fra quanto lo Stato spende e quanto incassa - pure. Mentre i sindacati si preparano al rinnovo dei contratti pretendendo aumenti al di sopra del 30%, ossia l'inflazione reale del 2013.

L'altro guaio che confonde la congiuntura è l'immagine di debolezza e confusione del governo. La Presidenta Cristina Kirchner non c'è. A dicembre è scomparsa per settimane nei suoi possedimenti in Patagonia convalescente per una operazione. A causa di una caduta le si era formato un ematoma nel cranio. È tornata a Buenos Aires solo per andare all'Avana dove, mentre il suo esecutivo tremava, si è fatta fotografare insieme a Fidel Castro e alla moglie dell'anziano ex lider maximo, Delia Soto del Valle. Ha evitato accuratamente il vertice economico di Davos.

È nervosa, distratta. Forse vorrebbe addirittura mollare prima di essere travolta dalla tempesta in arrivo. In tv vanno, una volta per uno, il segretario alla presidenza, Capitanich, e il ministro dell'Economia, Axel Kicillof. Provano a mettere delle pezze. Chi compra dollari per la paura del crollo del peso è «un traditore della patria», affermano. «L'ultima svalutazione non avrà effetto sui prezzi», giurano. Altrimenti minacciano multe e sanzioni ai negozi che «speculano».

Ma il circolo ormai è vizioso e nessuno sa veramente cosa fare per invertire lo scivolone ormai dietro l'angolo. Se lo Stato spende i suoi dollari per sostenere il peso, non ne ha per finanziare le importazioni. I supermercati si svuotano, le fabbriche si fermano. La scarsità dei prodotti rilancia l'inflazione. Nessuno vende perché non sa quanto costerà domani quello che ha. Così si favoleggia di container alla rada lontano dal porto pieni di mercanzie che gli importatori non scaricano. Aspettano per evitare di perderci.

Il problema - dice un analista finanziario - è che a Buenos Aires da tempo «il denaro scotta in mano». Una famiglia di classe media che ha risparmi in pesos non sa cosa farsene se non osservare come perdono valore. Non li mette in buoni del Tesoro perché dopo il fallimento del 2001 non si fida. Fino all'altro ieri non poteva neppure cambiarli in dollari perché era proibito.

E non può neanche investirli nel mercato immobiliare perché, da quando Cristina ha deciso che le transazioni per l'acquisto di immobili possono avvenire solo in pesos, nessuno vende più. Stagflazione è la parola maledetta. Vuol dire stagnazione economica, crescita inesistente del Pil con inflazione alta. È comunque il destino prossimo dell'economia argentina se i suoi piloti riusciranno a salvarla dal tracollo del default della fine dei dollari nelle casse del Banco Centrale.

In fondo è uno scenario semplice, il governo dovrebbe tagliare, e molto, le spese. Ma non può, senza incendiare il Paese. In questa strettoia da brividi Capitanich e Kicillof si trovano abbandonati dalla Presidenta. Kicillof è un ministro dell'economia molto giovane. Poco più di quarant'anni. Ha assunto l'incarico a dicembre scalzando il suo rivale perché, si dice, ha sedotto Cristina intuendone la psicologia. È piuttosto bello, ma anche un po' presuntuoso. Kicillof è un simpatizzante di Carlo Marx. Da assistente all'Università faceva lezioni sul plusvalore e sul feticismo delle merci. Ora vorrebbe smentire i manuali d'economia e avviare l'Argentina verso la «fine del capitalismo».

Nuove tormente sembrano inevitabili anche se la differenza con il 2001 è profonda. Questa volta l'Argentina è da sola con i suoi ciclici drammi politico- economici. Si teme un contagio regionale, ma nulla di più. Il Paese della Kirchner è da tempo fuori dai mercati del credito, litiga con l'Fmi e non ha forme per finanziare i suoi debiti. Gli investimenti stranieri se ne sono andati verso la Colombia, nuovo gioiello dell'economia sul Pacifico.

Se il peggio deve ancora arrivare la politica già si muove per spartirsi il dopo Cristina. Sperando che non sia così drammatico come si preannuncia. Le elezioni sono lontane, in teoria. Fine 2015. Ma Cristina ci arriverà? Una variabile positiva, si sostiene nella capitale, questa volta potrebbe essere il Papa argentino.

Sui giornali adesso Bergoglio furoreggia per la copertina di Rolling Stone e il disegno nel quale vola come Superman. E c'è perfino un aspirante candidato che attende la benedizione dal Vaticano per la lanciarsi nella scalata alla Casa Rosada. È il presidente del Parlamento Julian Dominguez che sogna un movimento alla Solidarnosc, Wojtyla più Walesa, per rimettere a posto il Paese e regalargli un futuro meno tragico. Poi c'è anche chi se ne va. È triplicato in pochi mesi il numero degli argentini che scelgono di spostare la residenza nel vicino Uruguay. Lungo le spiagge di Punta del Este.

Hanno cominciato gli intellettuali e gli artisti come la disegnatrice Maitena, famosissima qui per una deliziosa striscia di comics, e il ballerino Julio Bocca. E la tendenza ha successo. D'altra parte perché restare a Buenos Aires che sarà anche bella ma è sporca, pericolosa, caotica e dall'avvenire incerto? Molto meglio il piccolo Stato riformista di Pepe Mujica. Magari noioso, ma ben governato e accogliente dall'altra parte del Rio de la Plata. Chi non può, e sono naturalmente la stragrande maggioranza, attende intrepido. L'Argentina è sull'ottovolante del suo ennesimo tango monetario e nessuno può prevedere quando e soprattutto come scenderà.


2. E CRISTINA TELEFONA AL PAPA: ‘SANTITÀ, CI AIUTI ANCHE LEI'
Marco Ansaldo per ‘La Repubblica'

Giusto ieri, con una tempestività che la dice lunga sull'amore coltivato da Francesco per il suo Paese d'origine, l'Osservatore Romano ha pubblicato un lungo inedito di Jorge Mario Bergoglio. Una pagina in cui i tanti ricordi di gioventù («non vorrei cadere nella psicologia dell'ex alunno - si schermiva - un atteggiamento nostalgico, proustiano») , si mescolano con gli anni del noviziato. Il futuro sacerdote è già proteso verso la Compagnia dei gesuiti, eppure affascinato dai salesiani, da quella che giudica come «una cultura cattolica per nulla "bigotta"». Quella lettera, datata 1990, è impastata da 4 decenni di affetto e passione per l'Argentina e per le tante persone evocate.

Oggi, per il suo Paese il Papa appare molto preoccupato. Le notizie provenienti da Buenos Aires sulla crisi economica e finanziaria non allietano di certo i momenti che Francesco dedica all'informazione. Bergoglio continua a seguire la stampa locale. Fra i suoi amici di un tempo conta alcuni giornalisti, e da loro ha notizie di prima mano.

Già in arcivescovado tutte le mattine riceveva La Nacion dall'edicolante di Calle Bolivar, vicino a Plaza de Mayo, a pochi passi dalla cattedrale, e non fu insolito che, una volta eletto Papa, proprio quello sia stato fra i primi ad essere chiamato, trasecolando per sentirsi disdire l'abbonamento con una telefonata dal Vaticano. Adesso Francesco consulta di tanto in tanto i siti di informazione online, e poi discute le notizie a pranzo o a cena con i cardinali e i monsignori riuniti a tavola nella sala mensa di Casa Santa Marta.

Una fonte sostiene anzi che il Pontefice si senta al telefono «quasi ogni giorno» con la
Presidenta, Cristina Kirchner, o con i suoi consiglieri, proprio per avere il polso sul reale stato delle cose, assicurando sempre e comunque il suo personale pensiero e la preghiera incessante per il popolo che adora. La preoccupazione del Papa, com'è ovvio, si concentra sulle difficoltà sociali della gente. A lui stanno a cuore le famiglie, i senza lavoro, e le tante persone che, lontano dalla capitale («le periferie» a lui care), soffrono e combattono per il pane quotidiano e la loro dignità di uomini.

Proprio per questo uno dei referenti abituali è Mario Aurelio Poli, il monsignore che Bergoglio, diventato Francesco, spostò dalla Pampa alla capitale, facendone il suo successore come arcivescovo. Poli verrà adesso creato cardinale nel Concistoro del 22 febbraio. Il Pontefice al telefono lo ascolta e lo consiglia con regolarità.
Cristina Kirchner, poi, la Presidenta, è stata il primo capo di Stato ricevuto a livello ufficiale.

Un incontro cordiale, benedetto dalla presenza del tradizionale mate (il tè argentino), e che soprattutto su impulso di Francesco è servito a stemperare gli anni di tensione fra la dinastia dei Kirchner al potere (prima il marito Nestor, poi Cristina) e il rappresentante della Chiesa cattolica.

Su Plaza de Mayo, la Casa Rosada si affaccia proprio davanti alla cattedrale. Eppure, per ben 14 volte l'arcivescovo Bergoglio chiese udienza al capo dello Stato, vedendosi sempre recapitare un rifiuto. Adesso la situazione si è capovolta. I contatti appaiono più fluidi. E sembra che sia la stessa Kirchner a chiedere spesso «il conforto e il consiglio» (oltre che la preghiera) all'uomo che un anno fa nessuno a Buenos Aires avrebbe immaginato Pontefice.

Perché l'orecchio di Francesco è costantemente orientato sul Sud America. Non è un caso se il suo primo viaggio all'estero sia avvenuto in Brasile. Non un caso che abbia scelto come suo secondo assistente, assieme a don Alfred Xuereb già in carica con Benedetto XVI, il monsignore argentino Fabian Pedacchio Leaniz. E non scontato che abbia voluto confermare, come segretario della Pontificia commissione per l'America Latina, il professore uruguayano Guzman Carriquiry.

L'Argentina è tuttora nella testa e nel cuore del Papa. Ma, a differenza dei suoi due predecessori stranieri, Wojtyla e Ratzinger, Bergoglio non è corso a salutare il proprio Paese dopo il Conclave. Il viaggio papale a Buenos Aires può attendere. Avverrà, con calma, nel 2016. Intanto, Francesco riceve con gioia le delegazioni latino- americane. E accoglie con allegria i calciatori del suo San Lorenzo che - miracolo! - quest'anno hanno vinto lo scudetto. In attesa che un'altra grazia dal cielo, meno prosaica, scenda sull'Argentina, e regali al Paese speranza e stabilità.

 

Cristina Fernandez de Kirchner CRISTINA KIRCHNER cristina kirchner presidente CRISTINA FERNANDEZ DE KIRCHNER DA PAPA BERGOGLIO A SAN PIETRO CRISTINA FERNANDEZ DE KIRCHNER DA PAPA BERGOGLIO A SAN PIETRO CRISTINA KIRCHNER E PAPA BERGOGLIO CRISTINA FERNANDEZ DE KIRCHNER E PAPA FRANCESCO BERGOGLIO CRISTINA FERNANDEZ DE KIRCHNER E PAPA FRANCESCO BERGOGLIO CRISTINA FERNANDEZ DE KIRCHNER E PAPA FRANCESCO BERGOGLIO verbitsky cristina Kirchner JORGE BERGOGLIO E CRISTINA KIRCHNER jpeg

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