L’AVVOCATO DEL DIAVOLO - SPAZZALI, DIFENSORE DI CUSANI NEL PROCESO ENIMONT (150 MLD DI LIRE AI PARTITI) E LO SCONTRO IMPARI CON DI PIETRO: IL “FASCICOLO VIRTUALE” A CUI SOLO DI PIETRO AVEVA ACCESSO E GLI “INTERROGATORI CONTESTUALI” FATTI DA POLIZIOTTI E FINANZIERI “OPPORTUNAMENTE ISTRUITI DAL GIUDICE” - “MANI PULITE NON È STATA UNA RIVOLUZIONE MA UNA RESTAURAZIONE”…

Dino Messina per il "Corriere della Sera"

Giuliano Spazzali, classe 1939, la sigaretta perennemente nel bocchino, la voce pastosa, la erre morbida, ricorda vent'anni dopo la sua Mani Pulite. Nella «rivoluzione dei giudici», lui entrò in un ruolo difficile, quello dell'avversario elegante del pubblico ministero «eroe» del momento. Il difensore del «cattivo» nel processo Enimont, per la madre di tutte le tangenti, 150 miliardi di lire elargiti alle segreterie di partito.

Un processo spettacolo dove andò in scena la fine della Prima Repubblica che si concluse con una dura condanna per Sergio Cusani, l'assistito di Spazzali, il quale oggi rivela che la storia sarebbe andata in maniera molto diversa se solo il suo cliente avesse accettato le «sollecitazioni che gli venivano fatte in maniera esplicita: confessare, fare delle chiamate in correità e andarsene».

Quando le cose si mettevano male e lui era già in carcere dopo i suicidi di Gabriele Cagliari e Raul Gardini, «gli dissi più o meno: smettila di fare l'imputato dignitoso, racconta tutto e con qualche patteggiamento te la caverai con una condanna blanda. In cuor mio, ero perplesso su questa soluzione. E lui più di me. Ma se avesse accettato, il processo si sarebbe evitato».

Di un altro dialogo, l'avvocato Spazzali non ha mai parlato. Si svolse nella sede della Montedison di Foro Buonaparte, poco prima dei suicidi di Cagliari e Gardini, prima dell'arresto di Cusani. «Fu Sergio - racconta Spazzali -, l'unico tra i miei clienti cui abbia dato del tu, ad accompagnarmi, anche se rimase fuori dalla sala di rappresentanza dove era riunito il vertice dell'azienda: a presiedere c'era Carlo Sama. I dirigenti e gli avvocati di Montedison volevano sapere se Cusani avrebbe fatto dichiarazioni che potessero coinvolgere la società. Risposi che avrei accettato l'incarico qualunque decisione il mio assistito avesse preso».

Fu l'inizio di un'avventura, in cui il pur esperto avvocato penalista, con un curriculum che comprendeva i processi Valpreda, Marini, Negri, Duomo Connection, ebbe modo di fare esperienze del tutto inedite. «Durante il processo Cusani - racconta Spazzali - toccai con mano un paio di anomalie che sono state centrali in tutta la vicenda di Mani Pulite.

La prima era il "fascicolo virtuale", nome con cui si indicava l'enorme file di un computer che sotto un unico numero conteneva un migliaio di processi diversi. Una montagna di pagine in cui nessuno sapeva orientarsi, tranne il dottor Di Pietro, che se ne vantava. La difesa, e lo feci notare durante il processo, era invece messa nell'impossibilità di conoscere tutti gli elementi che riguardavano l'imputato.

«Accanto al fascicolo virtuale - continua Spazzali - si era sviluppata un'altra anomalia giuridica, l'"interrogatorio contestuale", che consisteva in questo: funzionari di polizia, guardie di Finanza e carabinieri, opportunamente istruiti dal giudice, che poi passava a firmare le deposizioni, interrogavano testi e inquisiti, sicché risultava che a una certa ora di un tal giorno lo stesso magistrato aveva interrogato contestualmente più persone. Cosa non solo impossibile, ma a mio avviso illegale. A onor del vero Cusani fu interrogato dal giudice Gherardo Colombo».

Le accuse per Cusani erano di falso in bilancio e appropriazione indebita. La condanna in primo grado fu a otto anni, ridotti nei successivi appelli a meno di sei. Ma Cusani tra carcere preventivo e pena ne scontò quasi quattro.

Eppure l'avvocato Spazzali è ancora convinto che il suo cliente non solo non si sia arricchito («restituì 22 miliardi di lire che erano ancora nella sua disponibilità in una banca del Liechtenstein»), ma tutto sommato abbia contribuito a creare quei fondi neri per la madre di tutte le tangenti, che serviva a ottenere il benestare dai partiti sulla fusione tra Montedison ed Eni, «senza la sensazione di commettere un reato.

A mio avviso il vero reato era di finanziamento illecito dei partiti. Credo che Cusani contribuì a creare i fondi, ma non partecipò all'attività di corruzione».
Il giudizio è nitido sui protagonisti di quella stagione: innanzitutto sul suo antagonista: «Il dottor Di Pietro era dotato di forte carica narcisistica, sostenuto dal punto di vista tecnico giuridico da Piercamillo Davigo, sotto il profilo analitico da Colombo, per la cautela generale da Gerardo D'Ambrosio.

Lui era quello che voleva essere: un uomo deciso e molto spericolato». E Francesco Saverio Borrelli? «Un supervisore dell'operazione, all'inizio preoccupato, poi sempre meno quando si accorse del consenso e del movimento nazionale dietro l'azione dei giudici».

Sull'esito di Mani Pulite Spazzali ha un'idea precisa: «Non solo il rapporto tra danaro e politica è peggiorato, prima il finanziamento illecito riguardava i partiti, ora si tratta sempre più di corruzione personale, ma non si è risolta nemmeno l'annosa dialettica tra la giustizia e la politica. Da un certo punto di vista Mani Pulite non è stata una Rivoluzione ma una Restaurazione».

 

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