L’OSCENO DEL VILLAGGIO - IL PRODE MARPIONNE DEFINISCE “OSCENE” LE LEGITTIME CRITICHE DEI POLITICI AI 2 ANNI DI CASSA INTEGRAZIONE A MELFI (LUI “RINNOVA” E NOI PAGHIAMO I SUOI DIPENDENTI) - “NON HO SCELTA, DEVO CAMBIARE MACCHINARI, MICA FACCIO PANINI” - MA SU MELFI è SOPRATTUTTO MONTI, IL FINE ECONOMISTA, AD AVER PRESO UNA CANTONATA CLAMOROSA: HA FATTO PARTIRE LA SUA “SALITA” IN POLITICA DA UNO STABILIMENTO CHE CHIUDE I BATTENTI DOPO UNA SETTIMANA…

1- FIAT/ MARCHIONNE: OSCENE DICHIARAZIONI POLITICI SU MELFI IN MERITO AD ANNUNCIO CASSA INTEGRAZIONE
(TMNews) - "Oscene". Così il numero uno di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, ha definito le dichiarazioni di ieri di alcuni politici sulla cassa integrazione annunciata dal Lingotto per Melfi.

"Può darsi - ha aggiunto Marchionne riferendosi ad alcuni politici - che non abbiano capito di cosa stanno parlando". Il numero uno di Fiat e Chrysler ha poi lanciato alcune frecciate nei confronti di Nichi Vendola e al sindacato dei metalmeccanici della Cgil. "La Fiat è qui da 114 anni. Sel 114 anni fa non c'era e nemmeno la Fiom".

Marchionne ha poi ribadito che la cassa integrazione per Melfi è "una mossa obbligata", necessaria a ristrutturare lo stabilimento per poter partire con le nuove produzioni, come è avvenuto anche a Toledo. "È assolutamente normale. Uno che capisce un minimo sa benissimo che per poter passare dalla produzione di una vettura ad un'altra deve fermarsi per ristrutturare lo stabilimento. Non ho scelta, perché devo cambiare i macchinari, le installazioni e i robot. Non è che faccio i panini...".

Marchionne ha poi osservato come Fiat in Italia abbia trovato "ostacoli enormi" per potersi adeguare alla competizione a livello mondiale. "L'unica mia richiesta - ha aggiunto - è di colmare il divario tra noi e gli altri e di non vergognarci di essere italiani".


2- MONTI TRADITO DA MARCHIONNE
Giorgio Meletti per "il Fatto Quotidiano"

Sulla Fiat il premier Mario Monti ha fatto una scommessa perdente. Negli ultimi due giorni il professore ha incassato due sonori schiaffoni da Sergio Marchionne. Il primo lunedì pomeriggio. Mentre Monti iniziava la registrazione di Porta a Porta , il numero uno della Fiat, a Detroit, chiacchierando con giornalisti italiani lo liquidava: "Nei mesi scorsi ho difeso e sostenuto il suo governo, ora però si è aperta una fase diversa, e la parola tocca agli elettori. Non vi dico per chi voto. Del resto, la Fiat è filogovernativa per definizione".

Monti o Bersani, purché se magna. Il secondo è arrivato la mattina dopo, con l'annuncio di due anni di cassa integrazione straordinaria, per tutti i lavoratori a rotazione, nello stabilimento di Melfi. In attesa dei nuovi modelli da produrre (500L e piccolo Suv marca Jeep da esportare in tutto il mondo, con un miliardo di investimenti) tutti a casa fino a tutto o quasi il 2014.

Monti è spiazzato. Il 20 dicembre scorso aveva scelto Melfi come trampolino per il suo "folle volo" verso le elezioni, per cantare in coro con Marchionne l'inno della nuova Italia, flessibile e competitiva. "Il nostro piano non è per i deboli di cuore", disse Sergio. "Ma noi sappiamo che c'è un'Italia forte di cuore", rispose Mario, e si lanciò in lodi per "questo passo di avvicinamento ulteriore della Fiat all'Italia".

Ieri un dito nell'occhio di Monti lo ha messo l'ex leader della Cisl Savino Pezzotta, che ha annunciato l'addio all'Udc con l'accusa di "non non aver modificato l'agenda Monti in senso sociale", per poi aggiungere un colpo durissimo: "C'è tutta la questione del lavoro che è drammatica: la decisione della Fiat su Melfi lo conferma. Chi è andato laggiù a parlare dell'economia italiana dovrebbe dare adesso qualche spiegazione. Mi riferisco a Monti, naturalmente".

Il successore di Pezzotta al vertice della Cisl, Raffaele Bonanni, ha liquidato i due anni di cassa straordinaria per Melfi come "un piccolo sacrificio". E la distanza tra i due sindacalisti è significativa del trambusto che la questione Fiat sta portando dentro tutti gli schieramenti. La Fiom di Maurizio Landini ha perso il monopolio dello scetticismo. Ieri sera Monti ha tentato una reazione: "Un'impresa multinazionale ha il dovere di ricordarsi qual è quel Paese che l'ha resa grande".

Frase già detta l'anno scorso a Torino, e rispolverata tardivamente. Ormai il guaio è fatto. Bastava guardare i grandi giornali di ieri per farsi qualche domanda. "Due anni di cassa a Melfi", titolava la Repubblica , e l'articolo cominciava con "dal nostro inviato a Detroit". Titolo da Detroit del Sole 24 Ore : "Marchionne: in Italia niente chiusure". La Fiat è già andata via, e lo storico dell'industria Giuseppe Berta ha consegnato la sua sentenza al giornale online Lette ra43 .

Primo: "Marchionne continua a dire: in Italia non chiudo gli stabilimenti, ma non li chiude semplicemente perché in cambio chiede la cassa integrazione".

Secondo: "Marchionne ha sempre detto che la sua presenza in Fiat si sarebbe conclusa a fine 2014, proprio quando finirà la cassa richiesta a Melfi, e quindi i problemi in Italia li lascerà a chi verrà dopo".

La richiesta di cassa integrazione straordinaria (che serve per le ristrutturazioni) si spiega con il fatto che la Fiat sta per esaurire i due anni dell'ordinaria, che copre la crisi di mercato. Intanto a Pomigliano finirà a luglio la cassa straordinaria per i 2500 operai mai riassunti nella nuova fabbrica della Panda. Gli esclusi di Pomigliano dovranno ottenere la cassa integrazione in deroga, che, a differenza di ordinaria e straordinaria, è a carico dello Stato. Poi ci sono i 1400 di Termini Imerese, fermi ormai da più di un anno: anche per loro la cassa non è eterna.

I dati usciti ieri sulle vendite di auto in Europa nel 2012 confermano la gravità della situazione: meno 8,2 per cento, e siamo al livello più basso dal 1995; la frenata più brusca è in Italia, meno 20 per cento, mentre la Fiat perde il 15,8 per cento delle vendite e nel continente è sorpassata dalla Bmw. Marchionne nel frattempo si occupa solo di discutere con i sindacati americani i termini della fusione Fiat Chrysler, e il dramma di Melfi, Pomigliano e Mirafiori rischia di irrompere nella campagna elettorale. Per questo Monti la carta di Melfi se l'è giocata proprio male.

 

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