LETTA E IL MONTI-BIS MASCHERATO: L’ITALIA NON PUO’ CERTO PERMETTERSI IL LUSSO DELLA DEMOCRAZIA…

Marco Valerio per "il Foglio"

Inutile lasciarsi ingannare dai toni da finimondo della campagna elettorale, o dalle attuali rivendicazioni di protagonismo dei dirigenti di partito: "La grande coalizione che sostiene il governo di Enrico Letta è una versione ‘soft' di uno spazio depoliticizzato - dice al Foglio il politologo e giornalista americano Nathan Gardels - I vari partiti hanno smussato i loro spigoli più partigiani nel nome del compromesso e dell'interesse generale".

Gardels - citato più volte nel libro che Mario Monti aveva scritto l'anno scorso mentre era a Palazzo Chigi, insieme all'europarlamentare francese Sylvie Goulard, intitolato "La democrazia in Europa" (Rizzoli) - è un teorico della democrazia elitaria, cioè della necessità di innervare di competenza e organismi tecnocratici i nostri regimi politici, in modo da non lasciarli arenare nella faziosità e nella partigianeria.

Già oggi ci serviamo di Banche centrali autonome e authority indipendenti, questo metodo va ampliato. Oggi Gardels non ha problemi a parlare di quello che, al di là delle apparenze, definisce "una sorta di Monti-bis", una tecnocrazia ben dissimulata. D'altronde lo aveva già previsto sul Foglio all'indomani delle elezioni da cui il partito dell'ex presidente della Bocconi era uscito ridimensionato rispetto alle attese.

Ma non, invece, il suo "esperimento tecno-democratico". Diceva Gardels: "Nei prossimi giorni ci sarà la necessità di una forma di ‘unità nazionale' e di una ‘casta tecnocratica', necessariamente no-partisan e in un certo senso ‘depoliticizzata', affinché qualsiasi futuro governo sia preso sul serio". Era il 27 febbraio, oggi siamo al primo maggio.

Nel frattempo il detour elettorale è stato intenso, seguito poi da trattative movimentate e inconcludenti per formare un governo a guida Pd, e per finire da una scelta rocambolesca del presidente della Repubblica: "Oggi però il nuovo governo pare molto simile a quello precedente, con qualche piccolo ritocco. Ha una significativa componente tecnocratica per garantire la competenza necessaria, e un buon livello di non-partigianeria".

Al ministero dell'Economia c'è infatti un dirigente della Banca d'Italia (Fabrizio Saccomanni), agli Affari europei c'è un ex grand commis dell'Unione europea (Enzo Moavero Milanesi), alla Giustizia un ex prefetto (Annamaria Cancellieri), al Lavoro l'ex presidente dell'Istat (Enrico Giovannini), agli Esteri un ex commissario Ue (Emma Bonino, che pure è leader politico), poi ci sono ex amministratori locali e quindi politici di Pdl e Pd. Nell'esecutivo c'è un po' meno Bocconi, forse, ma più Sant'Anna di Pisa (vera università di eccellenza). Tanto rumore elettorale per nulla, quindi?

"Essenzialmente siamo davanti alla stessa ‘grande coalizione' che sosteneva Monti", commenta Gardels. Ancora: rispetto a due mesi fa, abbiamo pure lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, eccezionalmente riconfermato proprio per la sua capacità di essere garante della Costituzione (e fautore di un armistizio tra le parti politiche).

Per non dire dell'agenda economica, obbligata per ragioni di necessità. Oggi la querelle dell'Imu sulla prima casa dà molto lavoro alle agenzie di stampa e ai quotidiani, ma - come ripete Gardels - "il mercato dei bond statali, con tutti i suoi squilibri, non l'ha inventato Monti". Come dire che la necessità di rifinanziare il nostro debito pubblico rimane, e va di pari passo con l'obbligo di offrire garanzie agli investitori italiani e stranieri sulla sostenibilità delle nostre finanze pubbliche.

"Nonostante tutto il comprensibile clamore, l'Italia non ha, da sola, uno spazio di manovra fiscale per stimolare un'economia gravata da un debito pubblico pari al 130 per cento del pil. Un eventuale stimolo dovrà venire dalla Germania, che però non ha oggi l'attitudine per farlo, viste le elezioni incombenti in autunno".

Il politologo californiano non vuole passare per un fautore dell'austerity, ammette che siano da ricercare strade per dare respiro all'economia, via Banca europea degli investimenti e fondi strutturali comunitari, ma non ritiene che il governo Letta possa tentare avventure sul bilancio (non a caso è contrario all'abolizione dell'Imu, "meglio una sospensione per due anni"): "Il governo deve solo mettere assieme un piano per far affluire quei fondi in maniera efficiente verso l'Italia".

Insomma, soprattutto in economia siamo al necessario predominio delle "politiche" sulla "politica", per usare la distinzione che Letta ha attribuito a Beniamino Andreatta durante il suo primo discorso alla Camera dei deputati, ma che Gardels ha mutuato più semplicemente dalla lingua anglosassone, e in particolare dal fatto che in una crisi strutturale che viene dopo 20 anni di mancata crescita, le "policies" dovranno prevalere sulla "politics".

La democrazia perciò va depoliticizzata, soprattutto per evitare che interessi particolari e di breve termine continuino a prevalere su quelli generali e di lungo termine. Monti questo lo ripeteva spesso e volentieri, con guizzi di decisionismo ad alto tasso di anti corporativismo e anti concertativismo (che non a caso infastidirono molto burocrazie confindustriali e sindacali).

Letta oggi è più minimalista e democristiano, ma anche lui ha parlato in questi giorni della necessità di unire le forze politiche per superare "veti reciproci, chiusure partigiane, prese di posizione strumentali e contrapposizioni dannose".

"La cosa peggiore per l'Italia sarebbe ora il tentativo di provare a soddisfare tutti gli interessi acquisiti a spese della crescita e della competitività future - conclude Gardels - Il nuovo esecutivo si dovrebbe limitare a creare un po' di respiro rispetto al regime di austerity, ma se comincerà a tornare indietro sulle riforme avviate da Monti, allora la situazione non potrà che aggravarsi".

Perciò, non essendoci una Margaret Thatcher all'orizzonte, ben venga l'unità di intenti tra partiti al posto della rissa continua, e pure la stampella dei tecnocrati. Come ha scritto il politologo di Princeton Philip Pettit, teorico della depoliticizzazione, "così come la guerra è una questione troppo seria per lasciarla ai generali, la democrazia è troppo importante per lasciarla nelle mani dei politici". Per ora.

 

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