SUL MARE SVENTOLA BALENA BIANCA! LETTA-ALFANO-FRANCESCHINI: IL GOVERNO DEGLI ULTIMI DEMOCRISTI

1 - LA RIVINCITA DELLA BALENA BIANCA
Filippo Ceccarelli per "La Repubblica"

Per anni e anni, infatti, tutta una generazione di giornalisti politici cresciuti a pane e Zac, Fanfani e Andreotti, De Mita, Forlani e Donat Cattin, altro non ha fatto che interpretare ogni movimento, o spostamento, o passaggio come un rientro in campo, finalmente, della politica, e cioè della Dc.

Era un po' la nostalgia a generare l'equivoco. Ma bastava una rimpatriata di reduci alla Domus Mariae, una ben augurante fibrillazione pseudocentrista o anche solo un vago documento del professor Pellegrino Capaldo perché le trombe, fin lì riposte nei loro polverosi contenitori, tornassero a squillare il ritorno dello scudo crociato, perepèperepè.

Nel frattempo Bossi faceva sconquassi, Berlusconi ingaggiava drammatiche gare di burlesque con il mondo intero, D'Alema e Veltroni si contendevano i vari partiti che cambiavano nome, Casini lasciamo perdere, ma la Dc non tornava per niente, morta e sepolta com'era nel giardino dei ricordi e anche dei rimpianti - per quanto Marco Follini, cui si deve una rassegna di quattro o cinque libri di argomento democristiano, non si stancasse di ripetere: «Attenzione, la Dc non c'è più, ma i democristiani ci sono ancora».

Eccome, ovvero: appunto. Per mettere le mani avanti si può attenuare l'impatto dicendo che sono tornati di moda. Uno di loro, Enrico Letta, sta da ieri a Palazzo Chigi. Un altro, Matteo Renzi, si sta per prendere il Pd. Un altro ancora, Alfano, già delegato del Movimento giovanile per la Sicilia e così seguace di Martinazzoli da essersi recato sulla tomba dell'ultimo segretario democristiano, è al Viminale.

Non a torto, nel suo caso, c'è chi sostiene che il lungo bagno nelle acque berlusconiane, dal lodo ad personam alle usanze cortigiane con tanto di melopea idolatrica "Meno male che Silvio c'è" abbia cancellato nel giovane Angelino ogni imprinting democristoide.

E tuttavia fra i vantaggi e i viziacci di quella particolarissima specie antropologica era senz'altro da annoverare una certa efficace, per non dire opportunistica adattabilità. Per cui se mai un giorno il ministro dell'Interno riuscirà a restituire al Cavaliere la libertà di andarsene a costruire ospedali in giro per il Terzo Mondo, come spesso annunciato, c'è da scommettere che l'avrà fatto in modo molto, ma molto democristiano.

Quanto al presidente del Consiglio in attesa di fiducia, l'altra sera a Porta a porta Follini si è meravigliato di sentirsi attribuire una frase che non ricordava: «Letta è l'ultimo frutto del grande albero democristiano ». Ma al netto della retorica da talkshow, la sottoscrive aggiungendo che vede in lui un tratto umano e soprattutto, in un tempo di autodidatti, una scuola politica.

I maestri di Letta sono stati: Nino Andreatta, Romano Prodi e lo zio Gianni. I primi due, c'è da dire, anche piuttosto puntuti, mentre a proposito del terzo è irresistibile rammentare
che qualcosa del conte zio dei Promessi sposi Letta senjor ce l'avrebbe pure: "Un certo credito", senza dubbio; "ma nel farlo valere - osserva Manzoni - e nel farlo rendere con gli altri, non c'era il suo compagno". Là dove il punto decisivo sta nel garbo rotondo, nel tocco delicato, nell'inventiva suadente che pare di cogliere nella composizione del presente governo.

Ovvio che in Letta junior si coglie un salto evolutivo. Non tanto nelle sbandierate passioni pop o in quel gioco, Subbuteo, che al limite può considerarsi come l'aggiornamento del vecchio calciobalilla dell'oratorio. Né pare troppo significativo che sia lui che Renzi abbiano impegnato l'aggettivo "sexy" in politica (il sindaco di Firenze per il titolo di un libro che poi fu cambiato; il presidente per auspicare un certo tipo di Pd). È che il "giovane" Enrico, più di tanti suoi predecessori, è assai proiettato sulla politica internazionale, parla le lingue, è anche spiritoso, pure con lampi che non si vorrebbero qui definire di lieve cinismo, ma insomma dai quali, non sembri casuale il ritorno anche di Manzoni, "traluce dei padri la fiera virtù".

A tutto ciò si aggiunge - e fa grande effetto in un tempo di cialtroni maleducati - la competenza e la cortesia. L'una e l'altra si sposavano, nella variante esistenziale democristiana, con l'essere, come si diceva con mille sottintesi, "navigati". Letta pure lo è. Basti pensare su quanti pochi nemici può contare; o anche al rapporto di rivalità con Franceschini, cui ha riconosciuto un posto strategico nel suo governo.
Esistevano del resto dc caldi e dc freddi.

Lui appartiene alla seconda specie. Sorvegliato, misurato, disponibile, ma parecchio determinato. Solo in secondo momento si prenderà atto che può anche essere spregiudicato. Non lui come persona, ma le circostanze le opportunità che gli si prospettano. Per quanto riguarda l'arte specifica di fregare gli avversari i canoni democristiani prevedevano di non fare mai qualcosa contro qualcuno, ma di operare affiché altre entità lo facessero, però mai fino in fondo.

A tale proposito, e parziale conferma del revival, si coglie l'occasione non solo per segnalare che è appena uscito un aureo libricino di Giuliano Ramazzina, dal significativo titolo "Muoia Sansone ma non i dorotei" (Marcianum), ma anche per ricordare un'indimenticabile formula del giornalista Giuseppe Crescimbeni secondo il quale «i democristiani ti accecano, ma dopo - e qui si fermava in una pausa molto teatrale - ti passano il cane lupo".

Come dire: la vita, pur con tutti i suoi guai, prosegue. Ecco, sostiene Follini, per vent'anni si è combattuta in Italia una guerra senza vincitori e troppi vinti. Capricci, ostentazioni, risse, trasgressioni di ogni sorta. C'era da celebrare un rito di pacificazione. Serviva un democristiano, Letta, e un comunista, Napolitano. Gli impicci restano, ma la suggestione, pensa un po', sconfina addirittura nella speranza.

2. MA I BIG EX PCI SONO SCOMPARSI
Tommaso Ciriaco per "La Repubblica"

Massimo D'Alema fuori dal governo, neanche un ministero per Walter Veltroni, lontano da Palazzo Chigi pure Pierluigi Bersani. A prima vista, una débacle per i massimi eredi di Botteghe Oscure.

Direttore Emanuele Macaluso, come la mettiamo? Non c'è posto per i big ex comunisti nel governo.
«Non è tanto un problema di provenienza dal Pci - basti pensare a Napolitano - ma di comportamenti che hanno avuto i singoli big. Non c'è da stupirsi. Nel Pd sono confluiti Ds e Margherita, ma tra i Ds c'è sempre stata una guerriglia interna. D'Alema, Veltroni...».


Ed è finita con un governo in cui non c'è traccia dei massimi dirigenti Pci-Pds-Ds.

«Sono scomparsi i big. Il Pd ha cancellato quella storia. Nella Margherita, invece, tutto sommato c'è sempre stata una certa solidarietà».

Allarghiamo lo sguardo agli ultimi vent'anni.
«La cosa più grave è il fatto che una storia, più che le persone, sono state cancellate. Perché se si pensa alla storia della Dc, si parla subito di De Gasperi o Moro. Ma il Pci?

Togliatti è stato cancellato. Di Terracini, Pajetta, Amendola non se ne parla più, anche loro cancellati. Come se non fossero stati protagonisti della Resistenza, della Costituente, della Repubblica».

Tornando al governo Letta, cosa ha pesato? Le divisioni?
«E' un fatto politico, una generazione ha mostrato di non essere in grado di reggere più la situazione. Il criterio è stato quello di saltare una generazione, quelli che hanno avuto un ruolo. Vale anche per Berlusconi e Schifani».

Resta un dato: se si esclude D'Alema - che non corse però da candidato premier - nessun ex Pci è diventato premier.
«Però c'è uno che è diventato Presidente della Repubblica e che ha avuto riconoscimenti straordinari... E poi Ingrao e Iotti Presidenti della Camera. C'è stata una fedeltà istituzionale e democratica del Pci riconosciuta già allora.

E poi c'è stato D'Alema a Palazzo Chigi, Veltroni vicepremier, Fassino alla Giustizia. Da questo punto di vista il riconoscimento è stato totale».

E ora l'esecutivo guidato da Letta.
«Un'operazione molto giusta. C'è adesso una nuova generazione, anche di giovani cattolici. E poi c'è Carrozza, eletta nel Pd. C'è Bray, che viene da sinistra. Certo, sono scomparsi i big».

 

ARNALDO FORLANI MariaPia Fanfani DE MITA FORLANI GIULIO ANDREOTTI SULLA SEDIA A ROTELLE Mons Andreatta Rosy Bindi ed Enrico LettaALFANO GIURA AL QUIRINALE CON LETTA E NAPOLITANOMartinazzoli MATTEO RENZI E GIORGIO NAPOLITANO

Ultimi Dagoreport

brunello cucinelli giorgia meloni giuseppe tornatore

A PROPOSITO DI…. TORNATORE – CRISI DEL CINEMA? MA QUALE CRISI! E DA REGISTA TAUMATURGO, NOBILITATO DA UN PREMIO OSCAR, CIAK!, È PASSATO A PETTINARE IL CASHMERE DELLE PECORE DEL SARTO-CESAREO CUCINELLI - MICA UN CAROSELLO DA QUATTRO SOLDI IL SUO “BRUNELLO IL VISIONARIO GARBATO”. NO, MEGA PRODUZIONE CON UN BUDGET DI 10 MILIONI, DISTRIBUITO NELLE SALE DA RAI CINEMA, ALLIETATO DAL MINISTERO DELLA CULTURA CON TAX CREDIT DI 4 MILIONCINI (ALLA FINE PAGA SEMPRE PURE PANTALONE) E DA UN PARTY A CINECITTA' BENEDETTO DALLA PRESENZA DI GIORGIA MELONI E MARIO DRAGHI - ET VOILÀ, ECCO A VOI SUI GRANDI SCHERMI IL “QUO VADIS” DELLA PUBBLICITÀ (OCCULTA) SPACCIATO PER FILM D’AUTORE - DAL CINEPANETTONE AL CINESPOTTONE, NASCE UN NUOVO GENERE, E LA CRISI DELLA SETTIMA ARTE NON C’È PIÙ. PER PEPPUCCIO TORNATORE, VECCHIO O NUOVO, È SEMPRE CINEMA PARADISO…

theodore kyriakou la repubblica mario orfeo gedi

FLASH! – PROCEDE A PASSO SPEDITO L’OPERA DEI DUE EMISSARI DEL GRUPPO ANTENNA SPEDITI IN ITALIA A SPULCIARE I BILANCI DEI GIORNALI E RADIO DEL GRUPPO GEDI (IL CLOSING È PREVISTO PER FINE GENNAIO 2026) - INTANTO, CON UN PO’ DI RITARDO, IL MAGNATE GRECO KYRIAKOU HA COMMISSIONATO A UN ISTITUTO DEMOSCOPICO DI CONDURRE UN’INDAGINE SUL BUSINESS DELLA PUBBLICITÀ TRICOLORE E SULLO SPAZIO POLITICO LASCIATO ANCORA PRIVO DI COPERTURA DAI MEDIA ITALIANI – SONO ALTE LE PREVISIONI CHE DANNO, COME SEGNO DI CONTINUITÀ EDITORIALE, MARIO ORFEO SALDO SUL POSTO DI COMANDO DI ‘’REPUBBLICA’’. DEL RESTO, ALTRA VIA NON C’È PER CONTENERE IL MONTANTE ‘’NERVOSISMO’’ DEI GIORNALISTI…

john elkann lingotto fiat juventus gianni agnelli

A PROPOSITO DI… YAKI – CHI OGGI ACCUSA JOHN ELKANN DI ALTO TRADIMENTO NEL METTERE ALL’ASTA GLI ULTIMI TESORI DI FAMIGLIA (“LA STAMPA” E LA JUVENTUS), SONO GLI STESSI STRUZZI CHE, CON LA TESTA SOTTO LA SABBIA, IGNORARONO CHE NEL FEBBRAIO DEL 2019, SETTE MESI DOPO LA SCOMPARSA DI MARCHIONNE, IL NUMERO UNO DI EXOR E STELLANTIS ABBANDONÒ LA STORICA E SIMBOLICA “PALAZZINA FIAT”, LE CUI MURA RACCONTANO LA STORIA DEL GRUPPO AUTOMOBILISTICO. E SOTTO SILENZIO (O QUASI) L’ANNO DOPO C’ERA STATO LO SVUOTAMENTO DEL LINGOTTO, EX FABBRICA EMBLEMA DELLA FIAT – LA PRECISAZIONE: FONTI VICINE ALLA SOCIETÀ BIANCONERA SMENTISCONO QUALSIVOGLIA TRATTATIVA CON SAUDITI...

giorgia meloni matteo salvini

DAGOREPORT – ESSÌ, STAVOLTA BISOGNA AMMETTERLO: SULLA LEGGE DI BILANCIO MATTEO SALVINI HA PIÙ DI QUALCHE SACROSANTA RAGIONE PER IMPEGNARSI A MORTE NEL SUO RUOLO DI IRRIDUCIBILE SFASCIACARROZZE DELLA MARCHESINA DEL COLLE OPPIO (“IL GOVERNO SONO IO E VOI NON SIETE UN CAZZO!’’) - DIETRO UNA FINANZIARIA MAI COSÌ MICRAGNOSA DI 18 MILIARDI, CHE HA AFFOSSATO CONDONI E PENSIONI CARI A SALVINI, L’OBIETTIVO DELLA DUCETTA È DI USCIRE CON UN ANNO IN ANTICIPO DALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEFICIT ECCESSIVO ATTIVATA DALL'EUROPA NEL 2024. COSÌ SARÀ LIBERA E BELLA PER TRAVESTIRSI DA BEFANA PER LA FINANZIARIA 2026 CHE SARÀ RICCA DI DEFICIT, SPESE E "MENO TASSE PER TUTTI!", PROPRIO IN PERFETTA COINCIDENZA CON LE ELEZIONI POLITICHE 2027 – OVVIAMENTE LA “BEFANA MELONI” SI PRENDERÀ TUTTO IL MERITO DELLA CUCCAGNA, ALLA FACCIA DI LEGA E FORZA ITALIA…

moravia mussolini

‘’CARO DUCE TI SCRIVO...’’, FIRMATO ALBERTO MORAVIA - “AMMIRO L'OPERA DEL REGIME IN TUTTI I VARI CAMPI IN CUI SI È ESPLICATA E IN PARTICOLARE IN QUELLO DELLA CULTURA. DEBBO SOGGIUNGERE CHE LA PERSONALITÀ INTELLETTUALE E MORALE DELLA ECCELLENZA VOSTRA, MI HA SEMPRE SINGOLARMENTE COLPITO PER IL FATTO DI AVERE NEL GIRO DI POCHI ANNI SAPUTO TRASFORMARE E IMPRONTARE DI SÉ LA VITA DEL POPOLO ITALIANO” (1938) - LE 998 PAGINE DEI “TACCUINI” DI LEONETTA CECCHI PIERACCINI SONO UNA PREZIOSISSIMA MEMORIA, PRIVA DI MORALISMO E DI SENTIMENTALISMO, PER FICCARE IL NASO NEL COSTUME DELL’ITALIA LETTERARIA E ARTISTICA FINITA SOTTO IL TALLONE DELLA DITTATURA FASCISTA - DAL DIARIO DI LEONETTA PIERACCINI, SPICCANO LA VITA E LE OPERE E LA SERVILE E UMILIANTE LETTERA A MUSSOLINI DEL “SEMI-EBREO” ALBERTO PINCHERLE, IN ARTE MORAVIA – ALTRA NOTA: “SIMPATIA DI MORAVIA PER HITLER. EGLI DICE CHE DEGLI UOMINI POLITICI DEL MOMENTO È QUELLO CHE PIÙ GLI PIACE PERCHÉ GLI PARE NON SIA MOSSO DA AMBIZIONE PERSONALE PER QUELLO CHE FA...”

leonardo maria del vecchio - gabriele benedetto - andrea riffeser monti - marco talarico - luigi giacomo mascellaro

DAGOREPORT - ELKANN NON FA IN TEMPO A USCIRE DALLA SCENA CHE, ZAC!, ENTRA DEL VECCHIO JR: DAVVERO, NON SI PUÒ MAI STARE TRANQUILLI IN QUESTO DISGRAZIATO PAESE - GIÀ L’ACQUISIZIONE DEL 30% DE ‘’IL GIORNALE’’ DA PARTE DEL VIVACISSIMO LEONARDINO DEL VECCHIO, ANTICIPATA IERI DA DAGOSPIA, HA SUSCITATO “OH” DI SORPRESA. BUM! BUM! STAMATTINA SONO SALTATI I BULBI OCULARI DELLA FINANZA E DELLA POLITICA ALL’ANNUNCIO DELL'EREDE DELL VECCHIO DI VOLER ACQUISIRE IL TERZO POLO ITALIANO DELL’INFORMAZIONE, IN MANO ALLA FAMIGLIA RIFFESER MONTI: “LA NAZIONE” (FIRENZE), “IL RESTO DEL CARLINO” (BOLOGNA) E “IL GIORNO” (MILANO) - IN POCHI ANNI DI ATTIVITÀ, LMDV DI DEL VECCHIO HA INVESTITO OLTRE 250 MILIONI IN PIÙ DI 40 OPERAZIONI, SOSTENUTE DA UN FINANZIAMENTO DI 350 MILIONI DA INDOSUEZ (GRUPPO CRÉDIT AGRICOLE) - LA LINEA POLITICA CHE FRULLA NELLA TESTA TRICOLOGICAMENTE FOLTA DELL'INDIAVOLATO LMDV, A QUANTO PARE, NON ESISTE - DEL RESTO, TRA I NUOVI IMPRENDITORI SI ASSISTE A UN RITORNO AD ALTO POTENZIALE ALLO "SPIRITO ANIMALE DEL CAPITALISMO", DOVE IL BUSINESS, ANCHE IL PIU' IRRAZIONALE, OCCUPA IL PRIMO POSTO E LA POLITICA E' SOLO UN DINOSAURO DI BUROCRAZIA…