INGROIA QUESTO! - L'ASSOLUZIONE DEL GENERALE MORI AFFOSSA IL PROCESSO SULLA “TRATTATIVA STATO-MAFIA”

Giovanni Bianconi per "Il Corriere della Sera"

C'è un bel pezzo del processo sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia che rischia di vacillare, dietro l'assoluzione dell'ex investigatore di punta dell'Arma dei carabinieri Mario Mori. La sentenza di ieri non riconosce solo l'innocenza del generale, è anche un colpo vibrato all'impianto dell'altro dibattimento appena avviato.

Certo, sono due vicende giudiziarie separate; certo, questo è solo un verdetto di primo grado; certo, dall'altra parte la Procura è reduce da due iniziali successi come il rinvio a giudizio e la competenza della Corte d'assise di Palermo.

Però, intanto, dopo un dibattimento approfondito e fin troppo lungo, tre giudici non hanno creduto alla storia del boss Provenzano lasciato latitante «per consolidare il suo potere all'interno dell'organizzazione mafiosa, che in ossequio ai taciti accordi scaturiti dal periodo stragista e dalle parallele trattative avrebbe, come s'è poi effettivamente verificato, definitivamente garantito l'abbandono della linea di scontro violento con lo Stato».

Era la tesi della Procura, bocciata dal tribunale. Storie di vent'anni fa, quando l'Italia era squassata dalle bombe piazzate da Cosa nostra, trasformate in capi d'imputazione e accese dispute giuridiche.

Il processo Mori-Obinu è contenuto quasi per intero nel processo sul «patto inconfessabile» rinviato a dopo l'estate per discutere della lista dei testimoni proposta dall'accusa. Gran parte dei quali hanno già sfilato nel dibattimento sulla presunta mancata cattura di Provenzano, con l'esito di mandare assolti i due imputati.

Anche la presunta falsa testimonianza dell'ex ministro Nicola Mancino, ipoteticamente commessa proprio davanti ai giudici del processo Mori, potrebbe avere un corso diverso alla luce di questa assoluzione.

Le motivazioni dei giudici si conosceranno fra tre mesi, ed è possibile che svolgano qualche considerazione anche su quel passaggio dibattimentale che vide Mancino contrapposto agli ex colleghi di governo Scotti e Martelli. Un'eventuale lettura dei fatti a favore del primo non condizionerebbe le valutazioni di altri giudici, ma sarebbe un punto a favore dell'ex titolare del Viminale, che ancora non si capacita di trovarsi imputato al fianco di Riina e Bagarella.

La querelle tra la Procura e il Quirinale sulle intercettazioni indirette fra Mancino e Napolitano nacque da lì, dal processo Mori, e il verdetto di primo grado potrebbe far rileggere anche le pieghe di una vicenda che ha provocato un conflitto istituzionale senza precedenti.

L'ufficio guidato dal procuratore Messineo, per il quale il Csm ha avviato una procedura di trasferimento anche a causa della gestione di alcuni passaggi di questa vicenda, ha perso una partita importante - sebbene non decisiva - del campionato che si gioca intorno alla presunta trattativa.

Agli atti del processo ci sono le sentenze definitive delle Corti di Firenze che hanno accertato un segmento della vicenda: gli incontri tra Mori e l'ex sindaco Ciancimino percepiti dai mafiosi come disponibilità dello Stato a scendere a patti pur di far cessare gli attentati. Ma, appunto, è un segmento. Il resto della ricostruzione dell'accusa, il prima e il dopo, è ancora tutto da dimostrare.

Un altro segmento è il mancato blitz nelle campagne di Mezzojuso, nell'ottobre 1995, dove forse si poteva arrestare Provenzano. Il tribunale ha detto che i fatti «non costituiscono reato», formula che consente a Messineo di sostenere che gli stessi fatti «da noi contestati non sono stati ritenuti infondati», in attesa delle motivazioni che chiariranno il ragionamento dei giudici. E quanto potrà influire sull'altro dibattimento.

L'ex pm Ingroia sostiene, forse con un eccesso di sintesi, che con la sentenza di ieri «la trattativa Stato-mafia non c'entra nulla», ma intanto due testimoni inseriti nella lista stilata dalla Procura per l'altro processo - l'ex carabiniere Michele Riccio e Massimo Ciancimino - sono indicati dal tribunale come ipotetici responsabili di reati, in ogni caso poco o per nulla attendibili. I pubblici ministeri si mostrano colpiti ma non abbattuti, restano convinti della bontà della loro ricostruzione e promettono di andare avanti senza tentennamenti.

Perché non ci sono solo Riccio e Ciancimino, o la mancata cattura di Provenzano, ma per esempio, la revoca di oltre trecento decreti di carcere duro per altrettanti detenuti per fatti di mafia, nell'autunno del '93. Su quel passaggio anche Mori, nella sua autodifesa, ha fatto capire di credere che qualche trattativa ci fu. Ma non da parte sua. Chissà che ne diranno i giudici che l'hanno assolto, in attesa dell'altra sentenza. Quella più importante. Per gli imputati e per fare un po' di luce su un pezzo sanguinoso e ancora oscuro della storia d'Italia.

 

MARIO MORIINGROIA Bernardo provenzano arrestatoToto RiinaMASSIMO CIANCIMINO

Ultimi Dagoreport

donald trump vladimir putin giorgia meloni

DAGOREPORT - HA RAGIONE VANNACCI: È DAVVERO UN MONDO AL CONTRARIO – IL VERTICE DELLA CASA BIANCA, CON I LEADER EUROPEI E ZELENSKY IN GINOCCHIO DA TRUMP PER CONVINCERLO A NON ABBANDONARE L’UCRAINA, È STATO IL PIÙ SURREALE E “MALATO” DELLA STORIA POLITICA INTERNAZIONALE – LA REGIA TRUMPIANA HA MESSO GIORGIA MELONI ALLA SINISTRA DEL "PADRINO", NEL RUOLO DI “PON-PON GIRL”, E MACRON, NEMICO NUMERO UNO, A DESTRA. MERZ, STARMER E LA POVERA URSULA, SBATTUTI AI MARGINI – IL COLMO SI È RAGGIUNTO QUANDO TRUMP È SCOMPARSO PER 40-MINUTI-40 PER “AGGIORNARE” PUTIN ED È TORNATO RIMANGIANDOSI IL CESSATE IL FUOCO (MEGLIO LA TRATTATIVA PER LA PACE, COSÌ I RUSSI CONTINUANO A BOMBARDARE E AVANZARE) – QUANDO MERZ HA PROVATO TIMIDAMENTE A INSISTERE SULLA NECESSITÀ DELLA TREGUA, CI HA PENSATO LA TRUMPISTA DELLA GARBATELLA A “COMMENTARE” CON OCCHI SPACCANTI E ROTEANTI: MA COME SI PERMETTE ST'IMBECILLE DI CONTRADDIRE "THE GREAT DONALD"? CILIEGINA SULLA TORTA MARCIA DELLA CASA BIANCA: È STATA PROPRIO LA TRUMPETTA A SUGGERIRE ALL'IDIOTA IN CHIEF DI EVITARE LE DOMANDE DEI GIORNALISTI...

francesco milleri gaetano caltagrino christine lagarde alberto nagel mediobanca

C’È FRANCO E FRANCO(FORTE) - SULLE AMBIZIONI DI CALTAGIRONE E MILLERI DI CONTROLLARE BANCHE E ASSICURAZIONI IN ITALIA PESA COME UN MACIGNO L’INCOGNITA DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA - GIÀ OGGI, PUR AVENDO IL 30 PER CENTO DI MEDIOBANCA, I DUE RICCONI NON POSSONO DECIDERE LA GOVERNANCE DELLA BANCA PERCHÉ NON SONO “HOLDING BANCARIE” REGOLATE DALLA BCE (E CE MANCHEREBBE CHE PER FARE OCCHIALI O CEMENTO UNO SI METTE IN CASA GLI ISPETTORI DI FRANCOFORTE) - DOMANI AVRANNO IL CONTROLLO DI MPS E SI TROVERANNO NELLE STESSE CONDIZIONI, CIOÈ SENZA POTER TOCCARE PALLA. COSA SUCCEDERÀ ALLORA IN MEDIOBANCA E GENERALI DOPO L’8 SETTEMBRE? SI PROCEDERÀ PER ACCORDI SOTTOBANCO TRA AZIONISTI E MANAGER CON LA BENEDIZIONE DEL GOVERNO, O SI PROCEDERÀ ALLA LUCE DEL SOLE SEGUENDO LE REGOLE EUROPEE? AH, SAPERLO…

donald trump grandi della terra differenza mandati

FLASH! - FA MALE AMMETTERLO, MA HA VINTO DONALD TRUMP: NEL 2018, AL G7 IN CANADA, IL TYCOON FU FOTOGRAFATO SEDUTO, COME UNO SCOLARO CIUCCIO, MENTRE VENIVA REDARGUITO DALLA MAESTRINA ANGELA MERKEL E DAGLI ALTRI LEADER DEL G7. IERI, A WASHINGTON, ERA LUI A DOMINARE LA SCENA, SEDUTO COME DON VITO CORLEONE ALLA CASA BIANCA. I CAPI DI STATO E DI GOVERNO EUROPEI, ACCORSI A BACIARGLI LA PANTOFOLA PER CONVINCERLO A NON ABBANDONARE L'UCRAINA, NON HANNO MAI OSATO CONTRADDIRLO, E GLI HANNO LECCATO VERGOGNOSAMENTE IL CULO, RIEMPIENDOLO DI LODI E SALAMELECCHI...

pietrangelo buttafuoco alessandro giuli beatrice venezi

DAGOREPORT – PIÙ CHE DELL’EGEMONIA CULTURALE DELLA SINISTRA, GIULI E CAMERATI DOVREBBERO PARLARCI DELLA SEMPLICE E PERENNE EGEMONIA DELL’AMICHETTISMO E DELLA BUROCRAZIA – PIAZZATI I FEDELISSIMI E GLI AMICHETTISSIMI (LA PROSSIMA SARÀ LA DIRETTRICE DEL LATO B VENEZI, CHE VOCI INSISTENTI DANNO IN ARRIVO ALLA FENICE), LA DESTRA MELONIANA NON È RIUSCITA A INTACCARE NÉ LO STRAPOTERE BARONALE DELLE UNIVERSITÀ NÉ LE NOMINE DIRIGENZIALI DEL MIC. E I GIORNALI NON NE PARLANO PERCHÉ VA BENE SIA ALLA DESTRA (CHE NON SA CERCARE I MERITEVOLI) CHE ALLA SINISTRA (I BUROCRATI SONO PER LO PIÙ SUOI)

donald trump giorgia meloni zelensky macron tusk starmer

DAGOREPORT - DOVE DIAVOLO È FINITO L’ATTEGGIAMENTO CRITICO FINO AL DISPREZZO DI GIORGIA MELONI SULLA ‘’COALIZIONE DEI VOLENTEROSI”? - OGGI LA RITROVIAMO VISPA E QUERULA POSIZIONATA SULL'ASSE FRANCO-TEDESCO-BRITANNICO, SEMPRE PRECISANDO DI “CONTINUARE A LAVORARE AL FIANCO DEGLI USA” - CHE IL CAMALEONTISMO SIA UNA MALATTIA INFANTILE DEL MELONISMO SONO PIENE LE CRONACHE: IERI ANDAVA DA BIDEN E FACEVA L’ANTI TRUMP, POI VOLA DA MACRON E FA L’ANTI LE PEN, ARRIVA A BRUXELLES E FA L’ANTI ORBÁN, INCONTRA CON MERZ E FA L’ANTI AFD, VA A TUNISI E FA L’ANTI SALVINI. UNA, NESSUNA, CENTOMILA - A MANTENERE OGNI GIORNO IL VOLUME ALTO DELLA GRANCASSA DELLA “NARRAZIONE MULTI-TASKING” DELLA STATISTA DELLA GARBATELLA, OLTRE AI FOGLI DI DESTRA, CORRONO IN SOCCORSO LE PAGINE DI POLITICA INTERNA DEL “CORRIERE DELLA SERA”: ‘’PARE CHE IERI MACRON SI SIA INALBERATO DI FRONTE ALL’IPOTESI DI UN SUMMIT A ROMA, PROPONENDO SEMMAI GINEVRA. MELONI CON UNA BATTUTA LO AVREBBE CALMATO” - SÌ, C’È SCRITTO PROPRIO COSÌ: “CON UNA BATTUTA LO AVREBBE CALMATO”, MANCO AVESSE DAVANTI UN LOLLOBRIGIDA QUALSIASI ANZICHÉ IL PRESIDENTE DELL’UNICA POTENZA NUCLEARE EUROPEA E MEMBRO PERMANENTE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL'ONU (CINA, FRANCIA, RUSSIA, REGNO UNITO E USA) - RIUSCIRÀ STASERA L’EROINA DAI MILLE VOLTI A COMPIERE IL MIRACOLO DELLA ‘’SIRINGA PIENA E MOGLIE DROGATA’’, FACENDO FELICI TRUMP E MACRON?