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CHE MERDONE HA PESTATO FRANCESCHINI SULLE OPERE D'ARTE DIGITALI - IL PASTICCIACCIO DEL MINISTERO DEI BENI CULTURALI, CHE SI È ACCORTO DI AVERE FATTO UNA CAZZATA QUANDO FORSE È TROPPO TARDI: COME SVELATO DALLE "IENE", SONO STATE SVENDUTI GLI "NFT", COPIE DIGITALI PERFETTE DELLE OPERE D'ARTE DEGLI UFFIZI, A UNA SOCIETÀ PRIVATA MILANESE, SENZA GARA - POI QUESTI BENI VENGONO CEDUTI A RICCHI COLLEZIONISTI E IL RICAVATO VA DIVISO 50 E 50 TRA AZIENDA E MUSEO: MA DI CHI SONO I DIRITTI LEGATI A QUELL'OPERA, SE QUALCUNO DECIDE DI ESPORLA?

Giuliano Foschini per “la Repubblica

 

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Di chi è il Tondo Doni di Michelangelo? E la Nascita di Venere di Botticelli? Ancora: ma davvero una società milanese ha messo in vendita i Canaletto, un Tiziano, e persino un Leonardo esposti agli Uffizi?

 

Anni fa queste domande non avrebbero avuto cittadinanza. E invece da qualche mese stanno rimbalzando negli uffici del ministero dei Beni culturali, dove sono preoccupati dalla possibilità di perdere - le parole sono dell'ufficio legislativo - «la gestione, il controllo e lo sfruttamento» delle immagini digitali di alcune delle opere più importanti del nostro Paese.

 

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Tanto sono allarmati che il direttore generale dei Musei, il professor Massimo Osanna, ha firmato lo scorso anno una circolare bloccando d'urgenza i contratti con questa società milanese. Ha ordinato oggi di non rinnovare quelli già siglati. E ha insediato una commissione che dovrà cercare di mettere ordine ed evitare che quello che è accaduto si ripeta.

 

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Ma, intanto, cosa è successo? La storia la racconteranno stasera le "Iene" in un servizio firmato da Antonio Monteleone e Marco Occhipinti, che hanno condotto un viaggio nel mondo delle opere d'arte italiane e degli Nft, i not fungible token: opere d'arte digitali che vengono rese uniche grazie alla registrazione in un albo pubblico, la blockchain.

 

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Il mercato è enorme: recentemente "Everydays: the first 5000 Days", un'opera di Beeple, è stata venduta per 69.4 milioni.

 

Oltre alle nuove opere, c'è un tema che riguarda anche il patrimonio esistente: ciascuna opera d'arte può avere una sua copia digitale che può essere immessa sul mercato. A proporre un'operazione del genere ai musei italiani è stata la società Cinello, che ha un brevetto in materia.

 

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L'idea è semplice: si realizza una copia digitale perfetta dell'opera. La si riproduce su un monitor ad altissima definizione, la si incornicia come si fosse al museo e la si vende a ricchi collezionisti. Il ricavato va diviso 50 e 50 tra Cinello e il museo.

 

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I primi a credere all'operazione sono gli Uffizi, che firmano un contratto - come ricostruiranno stasera le Iene - per 40 opere tra le più famose. Nell'accordo vengono stabiliti prezzi e un numero di copie massimo da mettere sul mercato.

 

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Alcune potranno essere acquistate, altre anche soltanto noleggiate. Il primo a essere venduto è proprio il Tondo Doni di Michelangelo, come annunciato trionfalmente un anno fa, per 240mila euro. Ma è proprio lì che cominciano i problemi.

 

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Qualcuno si chiede: ma ora di chi sono i diritti legati a quell'opera? Se mai il compratore dovesse decidere di esporla, può farlo senza il permesso degli Uffizi? In sostanza: non rischiamo di perdere il controllo del nostro patrimonio in un tempo in cui si va sempre più verso il metaverso?

 

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Gli Uffizi spiegano al Ministero, contratto alla mano, che non è stata data alcuna esclusiva. E quindi, il problema non esiste. Ma a Roma non sono convinti. Le Iene fanno notare due cose: che la Cinello ha ricevuto tutto senza alcuna procedura pubblica. Un regalo. Anche perché Cinello non paga alcun canone, divide gli introiti alla metà (una percentuale molto alta per un'intermediazione).

 

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E che, sebbene nel contratto non si parli di esclusiva, nei fatti c'è una clausola che quasi la disegna. Il museo si impegna infatti a non far deprezzare il bene: le copie digitali costano tanto perché sono numerate, ma se ne venissero concesse altre, quelle sul mercato perderebbero di prezzo. Dunque, Cinello potrebbe impedirne la realizzazione.

 

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Ma i problemi sono anche altri. Repubblica ha letto i verbali della commissione di esperti nominata dal ministero «in merito agli Nft e alla Criptoarte».

 

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Osanna parla di «contratti stipulati da alcuni musei» (oltre agli Uffizi, la Pilotta di Parma, la Galleria nazionale delle Marche, Capodimonte e l'Archeologico di Napoli) «immediatamente bloccati ed estremamente svantaggiosi per l'amministrazione, perché prevedevano l'alienazione della riproduzione del bene. La necessità imprescindibile è quella di far mantenere allo Stato la proprietà della riproduzione».

 

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La questione infatti non è avere paura degli Nft, che possono essere una risorsa. Ma non trasformarli in una giungla senza regole. E con pochi preferiti. Perché quella sì, fa paura.

 

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