IL BANANA DA SBUCCIARE - VENT’ANNI DI TENTATIVI (FALLITI) DEI POTERI FORTI A CERCARE DI FAR FUORI SILVIO

Lodovico Festa per "Il Giornale.it"

Nella primavera del 1994 dentro il nostro ristretto establishment economico si iniziò a pensare che la corsa politica di Silvio Berlusconi fosse meno bizzarra di quello che s'era previsto. Il «re» Gianni Agnelli se ne uscirà con una delle solite battute brillanti e ciniche: «Se Berlusconi perde, perde solo lui, se vince vinciamo tutti».

Solo qualche settimana dopo, però la vittoria apparirà meno di «tutti»: non solo non si eleggerà presidente del Senato il suo candidato, Giovanni Spadolini, ma quando il presidente della Fiat si lamenterà per la disobbedienza di fronte a una platea confindustriale a Verona, verrà fischiato.

Anche da qui un'irritazione verso il governo berlusconiano che fa sì che l'ammiraglia dell'establishment, il Corriere della Sera, svolga ruolo primario di destabilizzazione anticipando, e diffondendo durante un vertice G8 a Napoli, l'avviso di garanzia per una delle prime inchieste antiberlusconiane. Dalla sua, Confindustria di Luigi Abete (dove la mente è il fedelissimo Fiat Carlo Callieri) apparirà più propensa a dialogare con Sergio Cofferati che con un governo impegnato in un'audace riforma delle pensioni.

In questa fase l'asse Fiat-Mediobanca è ancora il fulcro di un establishment legato a un patto con la politica (a lungo con la Dc ma dopo gli anni '70 insieme consociativamente e conflittualmente anche con il Pci) non privo di virtù (il ruolo di Enrico Cuccia nell'accumulazione capitalistica post '45 fu insostituibile, Agnelli fu prezioso ambasciatore dell'Italia verso gli Stati Uniti) ma dalla logica particolarmente escludente.

Certo, negli anni '90 matura la coscienza che la fine della Guerra fredda cambia tutto, si vive Mani pulite con smarrimento (ma poi cavalcandola), si ragiona in modo astratto (con guasti per l'Italia anche grazie a uomini legati all'establishment come Carlo Azeglio Ciampi) di vincoli esterni (europei) per «disciplinare» la società nazionale. L'unica cosa che s'inventa è il riformismo referendario senza nerbo e visione di Mario Segni.

Alla fine anche il grande establishment di Gianni&Enrico ha una reazione snobistica verso Silvio, cercando di continuare quel ruolo di regia dietro le quinte che però funzionava solo grazie al partito-Stato Dc che lo consentiva. Comunque in quel dicembre del 1994 grazie a Oscar Luigi Scalfaro si manda a casa il «disubbidiente», lo si sostituisce con l'uomo di mondo Lamberto Dini e per qualche settimana ci si convince che tutto sia risolto.

Come oggi Giorgio Napolitano sarà l'uomo più vecchio (Cuccia) a vedere da più «giovane», comprendendo l'urgenza di innovazioni radicali in politica come in economia, constatando l'affermarsi di una centralità nuova di Romano Prodi con gestione oligarchica delle privatizzazioni tesa a nuovi equilibri chiusi di potere (tendenza ben rappresentata da Giovanni Bazoli) senza neanche la spinta allo sviluppo della Mediobanca d'antan. Verificando la subalternità alla Germania e la poca attenzione alla parte vitale dell'industria.

Il più geniale «gnomo» italiano perseguirà invece un reale pluralismo finanziario, lavorerà per legare attraverso le Popolari la media impresa alla finanza strategica, aiuterà Massimo D'Alema quando sembrava voler riformare lo Stato e sosterrà la svolta anti-Fiat di Confindustria con Antonio D'Amato.

Tutto ciò s'impatterà con la crisi del gruppo presieduto da Agnelli che vuole preservare le sue influenze politiche ancor prima delle condizioni di rilancio imprenditoriale. Quest'ultima tendenza si collegherà naturalmente all'antiberlusconismo, porterà a un duro (definitivo?) ridimensionamento di Mediobanca, preparerà un «ritorno» torinese in Confindustria con Luca Cordero di Montezemolo, appoggerà il nuovo tentativo di Prodi con tanto di editoriale benedicente di Paolo Mieli sul Corriere della Sera.

Ma Prodi l'unica cosa che saprà fare sarà consolidare l'Intesa di Bazoli smantellando un presidio del vecchio establishment (Marco Tronchetti Provera a Telecom Italia). Da qui nuove delusioni, il lancio via Corriere-Confindustria montezemoliana della lotta anti Casta (altra fonte di disgregazione permanente della società italiana) e la scelta di un altro abatino (Walter Veltroni) come contendente di Berlusconi.

Dopo l'ennesima sconfitta quel che resta dell'establishment lavorerà per cercare di disgregare il nuovo governo berlusconiano inventandosi il «liberale» Gianfranco Fini, cercando (con altalenanti successi) di separare Giulio Tremonti da Berlusconi, usando (l'imprinting è bazoliano) Giuseppe Mussari presidente dell'Abi per portare su posizioni antiberlusconiane Emma Marcegaglia, arrivando alla fine (su prioritaria ispirazione di una sempre più sbandata Mediobanca) a inventarsi il governo Monti.

E ora? Mentre la Fiat grazie a Sergio Marchionne si occupa finalmente più di industria che di politica, e così Mario Greco alle Generali, Federico Ghizzoni e Giuseppe Vita a Unicredit, l'unico baluardino del vecchio establishment resta Intesa anche se Enrico Cucchiani ha in mente più di far da banchiere che regista di giochi nazionali, e l'asse Sergio Chiamparino-John Elkann gli fa da sponda, mentre Bazoli, non solo si è visto affondare Mussari ma ha perso con la non elezione di Umberto Ambrosoli in Lombardia l'ultima carta per sparigliare ed è condizionato dai non brillanti risultati (Rcs è solo l'ultimo esempio) che caratterizzano la sua lunga presidenza della banca.

Forse alla fine di questi venti anni si apre la via per un establishment nuovo non più chiuso e irritato dagli outsider: anche se non sarà facile ai «nuovi» esercitare quel ruolo unificante che un establishment anche aperto deve assumersi. Il rischio di defilarsi dalle proprie responsabilità si combina con certa frenetica irrisolutezza che si nota anche in un imprenditore di valore come Giorgio Squinzi.

 

berlusconi corna GIANNI AGNELLI LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO Luigi Abete Giorgio Napolitano cuccia MASSIMO DALEMA

Ultimi Dagoreport

matteo salvini luca zaia giorgia meloni

DAGOREPORT – COSA SI SONO DETTI GIORGIA MELONI E LUCA ZAIA NELL'INCONTRO A PALAZZO CHIGI, TRE SETTIMANE FA? - TOLTA SUBITO DI MEZZO L'IDEA (DI SALVINI) DI UN POSTO DI MINISTRO, LA DUCETTA HA PROVATO A CONVINCERE IL “DOGE” A PRESENTARE UNA SUA LISTA ALLE REGIONALI IN VENETO MA APPOGGIANDO IL CANDIDATO DEL CENTRODESTRA (ANCORA DA INDIVIDUARE) - MA TRA UNA CHIACCHIERA E L'ALTRA, MELONI HA FATTO CAPIRE CHE CONSIDERA ZAIA IL MIGLIOR LEADER POSSIBILE DELLA LEGA, AL POSTO DI UN SALVINI OSTAGGIO DELLE MATTANE DI VANNACCI – UN CAMBIO DI VERTICE NEL CARROCCIO EVOCATO NELLA SPERANZA CHE IL GOVERNATORE ABBOCCHI ALL’AMO...

elly schlein giorgia meloni beppe sala ignazio la russa maurizio lupi marcello viola

DAGOREPORT - NESSUNO VUOLE LE DIMISSIONI DI BEPPE SALA: DA SINISTRA A DESTRA, NESSUN PARTITO HA PRONTO UN CANDIDATO E TRA POCHI MESI A MILANO COMINCIANO LE OLIMPIADI MILANO-CORTINA – MA SALA VUOLE MANIFESTARE ALL'OPINIONE PUBBLICA UNO SCATTO DI DIGNITÀ, UN GRIDO DI ONESTÀ, UNA REAZIONE D'ORGOGLIO CHE NON LO FACCIA SEMBRARE  ''LU CIUCCIO 'MIEZZO A LI SUONI'' - L’UNICO A CHIEDERE IL PASSO INDIETRO DEL SINDACO È IGNAZIO LA RUSSA, CHE INVECE UN CANDIDATO CE L’HA ECCOME: MAURIZIO LUPI. METTENDO SOTTO LA SUA ALA IL PARTITO DI LUPI, "NOI MODERATI", ‘GNAZIO SOGNA IL FILOTTO: CONQUISTARE SUBITO IL COMUNE DI MILANO E NEL 2028 LA REGIONE LOMBARDIA – MOLTO DELL’INCHIESTA SULL’URBANISTICA DIPENDERÀ DALLA DECISIONE DEL GIP, PREVISTA PER MERCOLEDI': SE IL GIUDICE NON ACCOGLIERÀ LE RICHIESTE DEI PM (CARCERE O DOMICILIARI PER GLI INDAGATI), LA BUFERA PERDERÀ FORZA. VICEVERSA…

ravello greta garbo humphrey bogart truman capote

DAGOREPORT: RAVELLO NIGHTS! LE TROMBATE ETERO DI GRETA GARBO, LE VACANZE LESBO DI VIRGINIA WOOLF, RICHARD WAGNER CHE S'INVENTA IL “PARSIFAL'', D.H. LAWRENCE CHE BUTTA GIU’ L'INCANDESCENTE “L’AMANTE DI LADY CHATTERLEY’’, I BAGORDI DI GORE VIDAL, JACKIE KENNEDY E GIANNI AGNELLI - UN DELIRIO ASSOLUTO CHE TOCCO’ IL CLIMAX NEL 1953 DURANTE LE RIPRESE DE “IL TESORO D’AFRICA” DI JOHN HUSTON, SCENEGGIATO DA TRUMAN CAPOTE, CON GINA LOLLOBRIGIDA E HUMPHREY BOGART (CHE IN UN CRASH D’AUTO PERSE I DENTI E VENNE DOPPIATO DA PETER SELLERS). SE ROBERT CAPA (SCORTATO DA INGRID BERGMAN) SCATTAVA LE FOTO SUL SET, A FARE CIAK CI PENSAVA STEPHEN SONDHEIM, FUTURO RE DI BROADWAY – L’EFFEMMINATO CAPOTE CHE SI RIVELÒ UN BULLDOG BATTENDO A BRACCIO DI FERRO IL “DURO” BOGART - HUSTON E BOGEY, SBRONZI DI GIORNO E UBRIACHI FRADICI LA NOTTE, SALVATI DAL CIUCCIO-TAXI DEL RISTORANTE ‘’CUMPÀ COSIMO’’ - QUANDO CAPOTE BECCÒ IL RE D’EGITTO FARUK CHE BALLAVA ALLE 6 DEL MATTINO L’HULA-HULA NELLA CAMERA DA LETTO DI BOGART… - VIDEO + FILM

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni antonio tajani quirinale alfredo mantovano

DAGOREPORT - NON CI SARÀ ALCUNA ROTTURA TRA MARINA E PIER SILVIO: NONOSTANTE LA NETTA CONTRARIETÀ ALLA DISCESA IN POLITICA DEL FRATELLINO, SE DECIDESSE, UN GIORNO, DI PRENDERE LE REDINI DI FORZA ITALIA, LEI LO SOSTERRÀ. E L’INCONTRO CON LA CAVALIERA, SOLLECITATO DA UN ANTONIO TAJANI IN STATO DI CHOC PER LE LEGNATE RICEVUTE DA UN PIER SILVIO CARICATO A PALLETTONI, È SALTATO – LA MOLLA CHE FA VENIRE VOGLIA DI EMULARE LE GESTA DI PAPI E DI ‘’LICENZIARE’’ IL VERTICE DI FORZA ITALIA È SALTATA QUANDO IL PRINCIPE DEL BISCIONE HA SCOPERTO IL SEGRETO DI PULCINELLA: TAJANI SOGNA DI DIVENTARE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NEL 2029, INTORTATO DA GIORGIA MELONI CHE HA PROMESSO I VOTI DI FRATELLI D’ITALIA. UN SOGNO DESTINATO A SVANIRE QUANDO L’EX MONARCHICO SI RITROVERÀ COME CANDIDATO AL QUIRINALE UN ALTRO NOME CHE CIRCOLA NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, QUELLO DI ALFREDO MANTOVANO…

giorgia meloni alfredo mantovano francesco lollobrigida carlo nordio andrea giambruno

DAGOREPORT - NON SI PUO' DAVVERO MAI STARE TRANQUILLI: MANTOVANO, IL SAVONAROLA DI PALAZZO CHIGI – D'ACCORDO CON GIORGIA MELONI, PRESA LA BACCHETTA DEL FUSTIGATORE DI OGNI FONTE DI ''DISSOLUTEZZA'' E DI ''DEPRAVAZIONE'' SI È MESSO IN TESTA DI DETTARE L’ORTODOSSIA MORALE  NON SOLO NEL PARTITO E NEL GOVERNO, MA ANCHE SCONFINANDO NEL ''DEEP STATE''. E CHI SGARRA, FINISCE INCENERITO SUL "ROGO DELLE VANITÀ" - UN CODICE ETICO CHE NON POTEVA NON SCONTRARSI CON LA VIVACITÀ CAZZONA DI ALCUNI MELONIANI DI COMPLEMENTO: CI SAREBBE LO SGUARDO MORALIZZATORE DI MANTOVANO A FAR PRECIPITARE NEL CONO D’OMBRA PRIMA ANDREA GIAMBRUNO E POI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA – IL PIO SOTTOSEGRETARIO PERÒ NON DORME SONNI TRANQUILLI: A TURBARLI, IL CASO ALMASRI E IL TURBOLENTO RAPPORTO CON I MAGISTRATI, MARTELLATI A TUTTA CALLARA DA RIFORME E PROCURE ALLA FIAMMA...

pier silvio berlusconi silvia toffanin

L’IMPRESA PIÙ ARDUA DI PIER SILVIO BERLUSCONI: TRASFORMARE SILVIA TOFFANIN IN UNA STAR DA PRIMA SERATA - ARCHIVIATA LA FAVOLETTA DELLA COMPAGNA RESTIA ALLE GRANDI OCCASIONI, PIER DUDI HA AFFIDATO ALL'EX LETTERINA DELLE SUCCULENTI PRIME SERATE: OLTRE A “THIS IS ME”, CON FASCINO E MARIA DE FILIPPI A MUOVERE I FILI E SALVARE LA BARACCA, C'E' “VERISSIMO” CHE OCCUPERÀ TRE/QUATTRO PRIME SERATE NELLA PRIMAVERA 2026. IL PROGRAMMA SARÀ PRODOTTO DA RTI E VIDEONEWS CON L’OK DELLA FASCINO A USARE LO “STUDIO-SCATOLA" UTILIZZATA DA MAURIZIO COSTANZO NEL FORMAT “L’INTERVISTA” - COSA C'E' DIETRO ALLE MANOVRE DI PIER SILVIO: E' LA TOFFANIN A COLTIVARE L'AMBIZIONE DI DIVENTARE LA NUOVA DIVA DI CANALE 5 (CON I CONSIGLI DELLA REGINA DE FILIPPI) O È LA VOLONTÀ DEL COMPAGNO DI INCORONARLA A TUTTI I COSTI, COME UN MIX DI LILLI GRUBER E MARA VENIER?