MORSI DI FAME - L’EGITTO SARÀ PURE IN MANO AI FRATELLI MUSULMANI CHE ODIANO L’OCCIDENTE, MA 4,8 MILIARDI $ IN PRESTITI DAL FONDO MONETARIO FANNO SEMPRE COMODO - DA TEMPO SI TRATTAVA PER IL FINANZIAMENTO, SBLOCCATO PROPRIO ORA CHE MORSI DEVE TRATTARE TRA GAZA E ISRAELE - ANCHE SENZA IL FARAONE MUBARAK, GLI USA CONTINUANO LA POLITICA DEI DUE FORNI: SOLDI SIA A EGITTO CHE ISRAELE PER PLACARE IL MEDIORIENTE…

Ugo Tramballi per "Il Sole 24 Ore"


Quando si dice il caso: il Fondo monetario ha deciso di concedere all'Egitto un prestito di 4,8 miliardi di dollari per ridare vita all'economia. Proprio quando Mohamed Morsi sta governando con moderazione una via d'uscita dalla crisi di Gaza, l'Occidente lo premia con ciò che più gli serviva per liberarsi della sindrome di piazza Tahrir e avviare la ricostruzione economica, dopo quella politica. Da tempo si trattava per il prestito ed era noto che la concessione fosse imminente e senza ostacoli insormontabili. Tuttavia la coincidenza temporale con il riaffermarsi dell'Egitto come potenza regionale resta significativa. È un credito di fiducia oltre che un assegno reale.

L'accordo è preliminare, ma dovrebbe diventare definitivo il 18 dicembre, quando l'Egitto riceverà la prima quota. I quasi 5 miliardi verranno concessi con tranche trimestrali, a un tasso dell'1,06%. I miliardi del Fondo serviranno per risistemare le finanze disastrate e dare fiducia agli investitori interni e internazionali, in questi due anni in fuga quasi ininterrotta dall'Egitto.

Come spiega Andreas Bauer, capo delegazione Fmi al Cairo, hanno convinto le riforme economiche e fiscali presentate. Soprattutto «il piano per ridurre le spese inutili, compresa la riforma dei sussidi energetici e una migliore distribuzione perché servano ai gruppi più vulnerabili», dice un comunicato dell'Fmi. Il Governo ha anche intenzione di «aumentare le entrate attraverso riforme fiscali, che comprendano l'aumento della progressività del reddito». Il punto più importante è la trasformazione di una tassa sulle vendite finora generica e non applicata a tutti i prodotti, in una vera e più comprensiva imposta sul valore aggiunto.

Il programma economico egiziano non è ancora stato reso noto, se non ai negoziatori del Fondo. Qualche elemento era stato offerto alcuni giorni prima che iniziasse la crisi di Gaza. Nel suo profilo Facebook il primo ministro Hisham Qandil aveva spiegato che con le riforme l'Egitto intende raggiungere entro giugno 2013 una crescita economica del 3,8%, dal 2,2 del 2011/12. La ripresa dovrebbe continuare per arrivare al 6,5% entro il 2016 e al 9,8 in un decennio. Ma il primo passo è ridurre dall'attuale 11 almeno all'8,5% il deficit di bilancio entro l'anno prossimo.

Un punto fondamentale richiesto dal Fondo era anche la riduzione dei sussidi, soprattutto quelli al grano e al carburante che da soli assorbivano il 78% della spesa pubblica, secondo l'ultimo Bilancio approvato all'inizio dell'estate, ancora in piena incertezza politica. Il 20% dei 90 milioni di egiziani vive sotto la linea di povertà, un altro 20 poco al di sopra. Fra le spese inutili che il Governo ha deciso di tagliare c'è la ristrutturazione dei sussidi per eliminare quelli inutili, salvaguardando l'aiuto più necessario ai più poveri.

Sul piano delle politiche sociali gli investitori internazionali hanno poco da temere. L'idea dell'economia che esprimono i Fratelli musulmani è di gran lunga più vicina alle politiche liberiste di Chicago che al socialismo. Secondo loro l'aiuto ai ceti più svantaggiati deve dipendere più dalle moschee che dallo Stato.

L'aiuto del Fondo monetario non è il solo che l'Egitto sta trattando. L'insieme dei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo ha promesso un finanziamento da 18 miliardi. Di questi 4,5 li garantisce l'Arabia Saudita che per ora ne ha inviati 1,5. L'ultimo G-8 ha ribadito la volontà di trovare altri 20 miliardi di dollari per sostenere le economie egiziana e tunisina. La Bers, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, intende finanziare progetti nella regione per altri 3,5 miliardi di euro.

Infine gli Stati Uniti. Durante la campagna elettorale Mitt Romney aveva minacciato di tagliare gli aiuti all'Egitto: sia il miliardo e mezzo annuale alle forze armate che i nuovi progetti pubblici e privati previsti dall'amministrazione Obama. Ora, soprattutto dopo il ruolo del Governo egiziano nella crisi di Gaza, è difficile che gli Stati Uniti rinuncino a partecipare.

 

 

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