ITALIA, ‘UNFIT’ PER LA DEMOCRAZIA? - MUGHINI SULL’ABISSO: L’“INDUSTRIA DELLA DEMOCRAZIA”, UN WELFARE MASCHERATO, NEGLI ANNI HA DATO LAVORO (ANZI STIPENDIO) A OLTRE UN MILIONE DI ITALIANI, CHE VIVONO SULLE SPALLE DEI CONNAZIONALI - AGGIUNGERE “LA FARSA, L’ORRORE, LA VERGOGNA DI QUEL CHE SUCCEDE NELLA POLITICA LOCALE E QUELLA DI GENERALI E COLONNELLI E CAPITANI CHE ANNUNCIANO LA LORO FATALE DISCESA IN CAMPO”….

Giampiero Mughini per "Libero"

È molto semplice. Se il cittadino italiano il più leale e rispettoso delle regole della convivenza democratica se ne sta a leggere tutti i giorni i nostri giornali, diventa se non un nemico certo uno spregiatore della democrazia.

Per un motivo il più semplice e il più terrificante di tutti: la democrazia italiana viene svuotata e divorata ogni giorno dalla sua costosissima industria, dalla sua bassissima produttività politica, da quella vera e propria invasione dei barbari costituita dalla buona parte del personale degli odierni partiti e partituzzi in cui è frantumata la scena politica del terzo millennio.

A raccontarla breve la nostra democrazia è stata disegnata nel secondo dopoguerra dopo gli sfasci e le tragedie del fascismo reale e della guerra mondiale. La nostra Costituzione, un abito elegante ma che oggi va purtroppo indossato per occasioni pubbliche tutto affatto diverse da quelle dei secondi anni Quaranta, era stata modellata su quegli umori e su quei problemi.

Giustissimo dare il primo posto ai partiti che erano stati annichiliti dal Duce, giustissimo dare la parola a istituzioni rappresentative che si bilanciavano tra loro e anche se appariva strano che Camera e Senato facessero esattamente le stesse cose, col risultato di raddoppiare tempi e costi della democrazia.

Poi arrivò il vento degli anni Sessanta e seguenti, il «tutto è politica» che tradotto in lingua italiana voleva dire «tutto è in mano ai partiti e possono farne quello che vogliono». A rendere la democrazia ancora più vicina al popolo reale e alle sue esigenze vennero create le istituzioni regionali, e poi addirittura le Unità Sanitarie Locali animate non dagli specialisti ma dai portaborse della politica. Poi arrivò il finanziamento pubblico dei partiti, sulla base del sacrosanto presupposto che i comizi e i manifesti elettorali costano e che tanti comizi e tanti manifesti elettorali fanno il sale della democrazia.

Soldi di cui adesso leggiamo che vengono spesi in laute cene punteggiate di ostriche. L'ho detto, nacque e si sviluppò paurosamente un'industria della democrazia che negli anni ha dato lavoro fino a oltre un milione di italiani, e se ci mettiamo gli operai in «permesso sindacale» fanno ancora di più. Tutta gente indispensabile alla democrazia, alla limpidezza e all'efficacia delle sue decisioni, alla prontezza con cui uno Stato e le sue istituzioni devono rispondere ai problemi sempre nuovi che si presentano a straziare una società? Ma nemmeno per idea.

Tutti voi lo sapete e lo pensate e anche se talvolta non lo dite, che la nostra democrazia è vestita di stracci. In termini di funzionamento meriterebbe il voto più basso in condotta, e tutto questo mentre i suoi costi si fanno sempre più allucinanti se si pensa alla qualità media della classe partitica della Seconda repubblica. Chi di voi, e a meno che non abbia in corso un qualche business, riceve a casa sua un uomo di partito con cui chiacchierare ed essere stimolato e apprenderne di più sui nostri casi e sul regresso della nostra economia?

In casa mia negli ultimi dieci anni sono entrati Umberto Ranieri, un piddino napoletano «riformista » di quelli che piacciono a me, e Fabrizio Cicchitto, uno che conosco da quarant'anni, uno che i libri li legge e li scrive anche e di cui capisco la pena a fare l'irto mestiere che fa. La nostra è una democrazia vestita di stracci, e non so ancora che cosa la aspetta quanto a impotenza e a possibilità suicidarie. È o no un dato significativo che noi che non andremo a votare e che non ne abbiamo nessuna voglia di andarci, siamo poco meno del 40 per cento del popolo italiano?

Leggi i giornali e ti si rizzano i capelli. I costi dell'Autonomia siciliana, stipendi e prebende che gridano vendetta, costi sopportati da tutti i contribuenti italiani e ne sta parlando uno che è nato in Sicilia. Gli stipendi e i privilegi dei dipendenti del Senato, gente che guadagna anche tre volte quello che guadagna un primario di ospedale a tempo pieno e che magari ogni tanto salva una vita.

La farsa, l'orrore, la vergogna di quel che succede nella politica locale ad esempio romana, dov'è un frastornante avvicendamento di personaggi accusati di essersi strafocati a pranzo e cena e di avere portato in giro amanti con i soldi che dovrebbero alimentare il funzionamento della democrazia.

La farsa - anche quella, anche quella - di generali e colonnelli e capitani che annunciano la loro fatale discesa nel campo della politica e anche se lo sappiamo che di fanteria dietro le spalle hanno sì e no qualche battaglione. Non abbiamo affatto bisogno di nuovi partiti e partituzzi e di «facce nuove», una merce che in politica non significa nulla di nulla. Nell'Europa del Secondo dopoguerra non erano facce nuove né Alcide De Gasperi né Konrad Adenauer né il socialista francese Pierre Mendès- France.

Quando la democrazia francese negli anni Cinquanta stava per andare in malora sotto la pressione della tragedia della Guerra d'Algeria, non si rivolse affatto a una «faccia nuova». Chiamarono un esule orgoglioso della politica francese, il generale Charles de Gaulle. Il quale fece la cosa la più semplice di tutte. Cambiò le istituzioni della democrazia.

Dall'era della carrozza la fece passare all'era dell'aereo supersonico, o per lo meno ci provò. Perché in fatto di democrazia una cosa è la sua retorica, che ahimé non serve più a nulla, altra cosa gli strumenti di cui dispone per decidere e fare. Esattamente come di ogni altra cosa della vita.

 

GIAMPIERO MUGHINI fiorito polveriniCorrado Passera, Giovanna Salza, Luca MontezemoloFABRIZIO CICCHITTO alcide degasperi

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