IL VENTENNIO FINI-TO - LA MESTA INTERVISTA DI FINI: AVEVA IN TASCA IL BIGLIETTO VINCENTE DELLA LOTTERIA PER UNA NUOVA DESTRA SDOGANATA DAL PASSATO E L’HA PERSO

Da "la Repubblica"

22 Gennaio 1994: Gianfranco Fini tiene a battesimo l'assemblea fondativa dei Circoli di Alleanza Nazionale, il primo atto costituente del nuovo partito - Alleanza Nazionale - che nascerà l'anno dopo a Fiuggi. Vent'anni dopo, l'ex leader di An è nel suo studio di ex presidente della Camera, affollato delle foto delle figlie più piccole, sei e quattro anni. Sereno, un po' amaro, tranchant: «Oggi in questo Paese non c'è più un partito di destra, di una destra repubblicana, europeista, aperta sulle questioni dei diritti civili e dell'immigrazione».

E' così: 20 anni dopo, la destra italiana non batte un colpo. Ci sono i rancori, i sopravvissuti, i nostalgici del potere distribuiti qua e là: dentro la Lega, dentro Forza Italia, dentro Fratelli d'Italia, un po' da Storace, un po' da Alfano, un po' cani sciolti. Ci sono gli elettori potenziali, ricorda Fini, quelli sì, ma sono al momento orfani. La chiacchierata parte dal tempo che fu ma guarda al panorama attuale: «Oggi siamo arrivati alla caricatura delle ragioni e dei valori della destra come le intendevo io e, con me, Alleanza Nazionale».

Partiamo da lì, dal ‘94, quando prende forma una nuova offerta politica. E' l'anno in cui muore Karl Popper, si inaugura il tunnel della Manica, nasce il Ppi di Martinazzoli. Un secolo fa...
«Ricordo il fervore, l'entusiasmo, l'ottimismo di quel periodo. Eravamo convinti di poter superare la complessità dei problemi. Erano cadute le pregiudiziali sul Msi. Venivamo dal ‘93, anno formidabile in cui la destra missina aveva incassato risultati straordinari alle amministrative, io a Roma, la Mussolini a Napoli e poi la vittoria di nostri sindaci a Chieti, Benevento, Latina, a Cerignola, patria di Di Vittorio.

Fu chiaro a me, e alla classe dirigente di allora, Pinuccio Tatarella in testa, che si era creato uno spazio politico elettorale per la destra. Un'intuizione che fu anche di Domenico Fisichella, non missino, cui va il merito di aver teorizzato le ragioni della svolta.

Non si trattava di fare il restyling al Msi ma di elaborare una piattaforma di valori e programmi che segnasse una discontinuità - l'anno dopo, a Fiuggi, arrivò lo strappo storico con il giudizio sul fascismo - volevamo un partito aperto alla società e a quel ceto politico, soprattutto democristiano, ma non solo, rimasto travolto dal crollo della Dc».

Rileggo i nomi di allora: Domenico Fisichella, Publio Fiori, Gustavo Selva, Gaetano Rebecchini, Pietro Armani. Democristiani, socialisti, liberali, repubblicani... Più i missini, più i monarchici. Questo era Alleanza Nazionale. Oggi è modernariato.
«Ne do ancora un giudizio positivo. Fu il tentativo, con luci e ombre, di fondare una destra repubblicana che si riconoscesse senza ambiguità nei valori fondanti della Costituzione, recidendo il legame storico che il Msi aveva con il fascismo. Dirò meglio: passammo, anche in ragione del cambio della legge elettorale, dalla volontà missina di alternativa al sistema alla volontà di An di governare il Paese attraverso una politica di alleanze e in forza del consenso elettorale».

An ha governato, ha conosciuto il potere, alcuni dei suoi ne sono stati contaminati, e poi c'è stata la morte per confluenza nel Pdl.
«Lo considero il mio errore capitale: non ho capito che la confluenza di An dentro il Pdl avrebbe innescato in Berlusconi l'abbandono di ogni mediazione. Io sono il Capo, io decido e chi non è d'accordo lo caccio... Il Pdl doveva essere una risposta al Pd di Veltroni. E' stato un fallimento».

E adesso dov'è la destra politica in Italia?
«Quella che intendevo io, aperta sulle questioni di fondo, europeista, non c'è. Però vedo con sorpresa che, su integrazione e diritti civili, l'enfant prodige della politica, Matteo Renzi, dice le stesse cose che dicevo io anni fa, ma non perché io sia diventato di sinistra e lui di destra, semplicemente perché le vecchie etichette vanno superate.

Destra non significa fare la campagna per uscire dall'euro ma battersi per una politica monetaria comune, destra significa etica della responsabilità e cultura della legalità, niente di più lontano dalle leggi ad personam e dal berlusconismo».

Oggi la Lega corteggia Marine Le Pen.
«E' alla ricerca di un'identità, dopo il flop del federalismo, la perdità della verginità con la corruzione in casa. Per noi di An fu impensabile, per un problema valoriale, confermare il rapporto stretto che aveva avuto l'Msi con Le Pen padre. Noi guardavamo all'Ump di Sarkozy».

Vent'anni dopo c'è chi vuole riesumare il simbolo di An per le Europee.
«Alleanza Nazionale nacque da un progetto politico. Volerla resuscitare mi sembra più il tentativo da parte di un ceto politico di salvare se stesso dal rischio di non raggiungere il quattro per cento».

Fuori dall'intervista, così Gianfranco Fini, quasi interrogando se stesso: «Mi chiedo cosa ne penserebbero, di questa politica, Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante».

 

SILVIO BERLUSCONI PUNTA FINI LA CASA DELLE LIBERTA FINI CASINI FITTO BUTTIGLIONE BOSSI BERLUSCONI fini e berlusconiGIANFRANCO FINI FINI E TATARELLAfini mussolinimntctro28 fini mussoliniGiorgio almirante con fini sta05 gasparri storacegiorgio almirante manifesto MSI DNmarine le pen

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ursula von der leyen donald trump dazi matteo salvini

DAGOREPORT – LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI LEADER EUROPEI, CUI È RIMASTA UNA SOLA VIA DI USCITA, QUELLA COSIDDETTA “OMEOPATICA”: RISPONDERE AL MALE CON IL MALE. LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI. LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE  AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI – ASCOLTATE JOSEPH STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA: “TRUMP NON AGISCE SECONDO ALCUN PRINCIPIO ECONOMICO, NON CONOSCE LO STATO DI DIRITTO, È SEMPLICEMENTE UN BULLO CHE USA IL POTERE ECONOMICO COME UNICA LEVA. SE POTESSE, USEREBBE QUELLO MILITARE’’

steve witkoff marco rubio sergei lavrov

RUBIO, IL TAJANI STARS AND STRIPES – IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO NON TOCCA PALLA E SOFFRE IL POTERE DI STEVE WITKOFF, INVIATO DI TRUMP IN MEDIO ORIENTE CHE SE LA COMANDA ANCHE IN UCRAINA. IL MINISTRO DEGLI ESTERI USA PROVA A USCIRE DALL’ANGOLO PARLANDO DI “NUOVA IDEA” DELLA RUSSIA SUI NEGOZIATI IN UCRAINA. MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI PUTIN, LAVROV, SUBITO VEDE IL BLUFF: “CONFERMIAMO LA NOSTRA POSIZIONE” – TRUMP AVEVA OFFERTO DI TUTTO A WITKOFF, MA L’IMMOBILIARISTA NON HA VOLUTO RUOLI UFFICIALI NELL’AMMINISTRAZIONE. E TE CREDO: HA UN CONFLITTO DI INTERESSE GRANDE QUANTO UN GRATTACIELO...

diletta leotta ilary blasi stefano sala pier silvio berlusconi

FLASH – IL BRUTALE AFFONDO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU ILARY BLASI E DILETTA LEOTTA (“I LORO REALITY TRA I PIÙ BRUTTI MAI VISTI”), COSÌ COME IL SILURAMENTO DI MYRTA MERLINO, NASCE DAI DATI HORROR SULLA PUBBLICITÀ MOSTRATI A “PIER DUDI” DA STEFANO SALA, AD DI PUBLITALIA (LA CONCESSIONARIA DI MEDIASET): UNA DISAMINA SPIETATA CHE HA PORTATO ALLA “DISBOSCATA” DI TRASMISSIONI DEBOLI. UN METODO DA TAGLIATORE DI TESTE BEN DIVERSO DA QUELLO DI BABBO SILVIO, PIÙ INDULGENTE VERSO I SUOI DIPENDENTI – A DARE UNA MANO A MEDIASET NON È LA SCURE DI BERLUSCONI JR, MA LA RAI: NON SI ERA MAI VISTA UNA CONTROPROGRAMMAZIONE PIÙ SCARSA DI QUELLA CHE VIALE MAZZINI, IN VERSIONE TELE-MELONI, HA OFFERTO IN QUESTI TRE ANNI…

giorgia meloni elly schlein luca zaia vincenzo de luca eugenio giani elly schlein elezioni regionali

PER UNA VOLTA, VA ASCOLTATA GIORGIA MELONI, CHE DA MESI RIPETE AI SUOI: LE REGIONALI NON VANNO PRESE SOTTOGAMBA PERCHÉ SARANNO UN TEST STRADECISIVO PER LA MAGGIORANZA – UNA SPIA CHE IL VENTO NON SPIRI A FAVORE DELLE MAGNIFICHE SORTI DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È IL TENTATIVO DI ANTICIPARE AL 20 SETTEMBRE IL VOTO NELLE MARCHE, DOVE IL DESTRORSO ACQUAROLI RISCHIA DI TORNARE A PASCOLARE (IL PIDDINO MATTEO RICCI È IN LEGGERO VANTAGGIO) – IL FANTASMA DI LUCA ZAIA IN VENETO E LE ROGNE DI ELLY SCHLEIN: JE RODE AMMETTERE CHE I CANDIDATI DEL PD VINCENTI SIANO TUTTI DOTATI DI UN SANO PEDIGREE RIFORMISTA E CATTO-DEM. E IN CAMPANIA RISCHIA LO SCHIAFFONE: SI È IMPUNTATA SU ROBERTO FICO, IMPIPANDOSENE DI VINCENZO DE LUCA, E SOLO UNA CHIAMATA DEL SAGGIO GAETANO MANFREDI LE HA FATTO CAPIRE CHE SENZA LO “SCERIFFO” DI SALERNO NON SI VINCE…

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni

NULLA SARÀ COME PRIMA: PIER SILVIO BERLUSCONI, VESTITO DI NUOVO, CASSA IL SUO PASSATO DI RAMPOLLO BALBETTANTE E LANCIA IL SUO PREDELLINO – IN UN COLPO SOLO, CON IL COMIZIO DURANTE LA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI, HA DEMOLITO LA TIMIDA SORELLA MARINA, E MANDATO IN TILT GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI, MINACCIANDO LA DISCESA IN CAMPO. SE SCENDE IN CAMPO LUI, ALTRO CHE 8%: FORZA ITALIA POTREBBE RISALIRE (E MOLTO) NEI SONDAGGI (IL BRAND BERLUSCONI TIRA SEMPRE) – NELLA MILANO CHE CONTA IN MOLTI ORA SCOMMETTONO SUL PASSO INDIETRO DI MARINA DALLA GESTIONE “IN REMOTO” DI FORZA ITALIA: D'ALTRONDE, LA PRIMOGENITA SI È MOSTRATA SEMPRE PIÙ SPESSO INDECISA SULLE DECISIONI DA PRENDERE: DA QUANTO TEMPO STA COGITANDO SUL NOME DI UN SOSTITUTO DI TAJANI?