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“BREXIT”, DENTRO O FUORI - NEL REFERENDUM DI OGGI, CAMERON SI GIOCA ANCHE IL SUO FUTURO: SE VINCE IL FRONTE DEL “LEAVE” SARA’ COSTRETTO A MOLLARE DOWNING STREET - SONDAGGISTi IN TILT: PREVEDONO UN TESTA A TESTA MA COGLIERE GLI UMORI BRITANNICI E’ TROPPO COMPLESSO

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Fabio Cavalera per il “Corriere della Sera”

 

David Cameron gioca la partita della vita. «Se perde non resisterà più di trenta secondi», prevede Ken Clarke, politico conservatore di lungo corso, europeista ed ex ministro. Forse esagera, ma i 46 milioni di britannici che sono chiamati a votare sulla Brexit decideranno le sorti del premier, oltre che quelle del Regno Unito e dell' Unione.

 

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È un appuntamento storico e dall' esito molto incerto. Con previsioni che ondeggiano. Gli analisti dei mercati propendono per una vittoria del sì all' Europa ma restano in allerta, i margini sono ristrettissimi. La City è sul chi va là e resterà operativa tutta la notte. Alcuni gestori di patrimoni hanno commissionato privatamente exit poll e proiezioni per provare a partire col piede giusto sui mercati: si capirà verso le tre o le quattro del mattino in quale direzione Londra avrà deciso di avviarsi.

 

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Pure le società che raccolgono scommesse e che spesso centrano il risultato sono allineate sulla sconfitta dell' euroscetticismo: 81% di possibilità che non ci sia lo strappo col continente. Poi però c'è il voto reale che sfugge a ogni ingessatura preventiva dei numeri. E allora cominciano sia i guai per i sondaggisti, orientati nelle ultime settimane a segnalare l' avanzata Brexit (la media calcolata sugli ultimi giorni dice 44 per Brexit e 44 per l' Europa) ma già scottati dal fallimento alle elezioni generali dello scorso anno, sia i dolori per il leader tory. L'affluenza e i milioni di indecisi spingeranno o di qui o di là.

 

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«Io rispetterò il risultato e non mi dimetterò». David Cameron affida al Financial Times questo messaggio. E non ha alternative. Confessare l'intenzione di andarsene in caso di tonfo nell' urna equivarrebbe a una resa e renderebbe più caotico il quadro. David Cameron ha voluto e promesso la consultazione nel 2013 per disfarsi della fronda interna che tentava di sbarrargli la via della riconferma a Downing Street.

 

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Ha cavalcato l' onda anti europea, si è garantito un nuovo mandato di governo, ha rinegoziato con l' Europa, si è messo alla testa del Remain pensando di chiudere abbastanza agevolmente la partita. Però ha commesso l' errore gravissimo di impostare la campagna elettorale prospettando scenari di terrore economico (recessione, disoccupazione, crollo degli investimenti) e regalando il tema sensibile dell' immigrazione alla propaganda aggressiva dell' euroscetticismo.

 

È vero che la Brexit porta con sé il fantasma di pesanti ricadute finanziarie, commerciali e industriali. Ma l' avere lasciato sullo sfondo una questione tanto sentita lo ha danneggiato. La Brexit è avanzata nelle aree più lontane dalla ripresa e più colpite dai tagli dell' austerità.

 

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Partito con il vento in poppa, David Cameron si ritrova ora in difficoltà dentro il suo governo e dentro il suo partito, metà del quale è suggestionato dai richiami dell' ex sindaco di Londra, Boris Johnson, che invoca «l' indipendenza del Regno Unito» dall' Europa. Per risalire la china ha bisogno di una vittoria chiara. Se prevarrà sul filo di lana sopravvivrà per un po'.

 

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Sarà comunque un leader in cammino sulle sabbie mobili, il che regala ansia ai mercati e alla City sempre in oscillazione quando prevalgono le incertezze politiche. La sconfitta lo porterebbe diritto al prepensionamento. Non subito ma in tempi ragionevolmente brevi. Non è pensabile che un leader «europeista» si sieda a negoziare con l' Ue tempi e modi del divorzio. L' ultimo appello, «Britannici non usciamo», è anche una preghiera di Cameron sul suo futuro: non lasciatemi solo.

 

 

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