1- HA CARICATO A MEZZANOTTE E DIECI LA POLIZIA. LI HANNO PORTATI VIA UNO PER UNO A BRACCIA. ERANO RIMASTI UN CENTINAIO DI “INCAZZADOS” DE’ NOANTRI. E' FINITA COSÌ TRA TENSIONE E SPINTONI LA PROTESTA DI IERI, OTTO ORE DI ASSEDIO ALLA BANCA D'ITALIA 2- MA STAVOLTA IL NEMICO NON SONO BERLUSCONI E LA POLITICA POLITICANTE MA L’ECONOMIA. NEL MIRINO, LA BANCA D’ITALIA. SI DANNO IL NOME DI “DRAGHI RIBELLI”, APRONO UN BLOG BATTEZZATO “OCCUPIAMO BANKITALIA” E PARTONO ALL’ASSALTO DI VIA NAZIONALE 3- BIFO, L’EX LEADER DEL ’77: “ATTENTI, SABATO A ROMA RISCHIAMO UN’ALTRA GENOVA” 4- PRIMO TIFOSO, MONTESCEMOLO CHE CORRE (IN FERRARI) AD APPOGGIARE LA PROTESTA

1 - I "DRAGHI RIBELLI" OCCUPANO VIA NAZIONALE
Flavia Amabile per "la Stampa"

Ha caricato a mezzanotte e dieci la polizia. Li hanno portati via uno per uno a braccia. Erano rimasti un centinaio, è stata un'operazione di pochi minuti mentre loro gridavano «Roma libera» e, seduti, aspettavano di essere trascinati via di peso. E' finita così tra tensione e spintoni la protesta di ieri, otto ore di assedio alla Banca d'Italia.

A organizzarla un gruppo di studenti universitari, precari e attivisti sull'onda di quanto è accaduto a New York con il movimento «Occupy Wall Street». Il gruppo arriva in gran parte dalle aule dei collettivi della Sapienza, protagonisti in questi anni delle proteste studentesche contro le riforme gelminiane. Ma stavolta il nemico non sono Berlusconi e la politica ma l'economia. A essere presa di mira, la Banca d'Italia. Si danno il nome di «Draghi ribelli», aprono un blog battezzato «Occupiamo Bankitalia» e partono all'assalto di via Nazionale.

Ieri pomeriggio era il giorno ideale per scendere in piazza. In Banca d'Italia si tiene un convegno, sono presenti il governatore Mario Draghi, prossimo presidente della Banca Centrale Europea. E sono attesi anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e i massimi vertici delle banche italiane. I «Draghi Ribelli» arrivano poco dopo le quattro del pomeriggio, un'ora prima dell'inizio del convegno.

La Banca d'Italia è blindata, gli agenti sono schierati a decine in tenuta antisommossa. I furgoni della polizia chiudono ogni accesso a palazzo Koch lasciando libero al passaggio di banchieri e personalità un largo tratto di via Nazionale. Il resto della strada è vietata al traffico, studenti e precari la occupano al grido di: «Liberiamo via Nazionale» e «Non abbiamo fretta».

L'obiettivo infatti è prendere possesso della strada per tre giorni e trasformare la protesta in una prova generale di sabato quando è prevista una grande mobilitazione nelle principali città europee. «La nostra è una sfida», ammette Francesco Raparelli, ricercatore universitario, da anni in prima linea nelle proteste - «Rimaniamo qui, dovranno assumersi la responsabilità di cacciarci. Ci stenderemo a terra, ci prenderemo per mano, la nostra sarà una resistenza non violenta, così come è successo per gli indignados di Brooklyn. Vedremo che cosa faranno».

Non c'è autorizzazione, e nemmeno uno di quegli accordi verbali che in questi anni hanno garantito ai manifestanti a Roma percorsi e iniziative spesso improvvisate. Ma la parola d'ordine in Questura è «flessibilità» e evitare il più possibile violenze. Quello delle forze dell'ordine «sarà un atteggiamento estremamente flessibile ma molto attento», spiega il sindaco di Roma, Gianni Alemanno.

Si crea una situazione surreale. Il centro di Roma è paralizzato dal traffico. Mentre via

Nazionale si trasforma in un'isola serena dove si canta, si balla, si ascoltano interventi di esperti di economia e militanti dei centri sociali. Il messaggio è sempre lo stesso, un no netto «a chi vuole pagare i debiti con la nostra pelle e con il nostro futuro». Lo slogan è lo stesso degli ultimi due anni: «noi questa crisi non la paghiamo, non vogliamo pagare il debito delle banche».

In serata a via Nazionale si spostano artisti, annunciano la loro presenza personaggi come Sabina Guzzanti. Nel pomeriggio si vedono Giulietto Chiesa, Giovanni Russo Spena, Elio Lannutti, Giorgio Cremaschi. Nessuna bandiera di partito.

Una delegazione composta da tre studenti della Sapienza attraversa il blocco dei blindati per portare una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al Quirinale. «Chiediamo al Presidente di prendere la parola contro i tagli e sulla reale condizione del Paese» spiega una di loro.

Alla fine sono circa due-trecento quelli che decidono di accamparsi. Alcuni si stendono sulle scale del Palazzo delle Esposizioni, altri sul selciato. Vengono montate una tenda e un gazebo, molti si sono portati un sacco a pelo. «Portate una tenda, portate un sacco a pelo, raggiungeteci!», urla al microfono Daniele De Meo. Nel frattempo i blindati della polizia hanno assunto un'aria meno minacciosa, tappezzati come sono di poster. Su uno c'è scritto: «Draghi, magari te... sbraghi».


2 - L'EX LEADER DEL '77: "ATTENTI, RISCHIAMO UN'ALTRA GENOVA"
Franco Giubilei per "la Stampa"

Franco Berardi detto Bifo, agitatore e leader del movimento bolognese del Settantasette, commenta così le cariche di ieri e dipinge una situazione allarmante in vista della manifestazione di sabato a Roma: «Non vorrei che Roma fosse la ripetizione di Genova. Lì può capitare veramente di tutto».

Pessima prospettiva, e perché potrebbe degenerare così malamente?
«Nessuno sta dando organizzazione all'appuntamento di sabato è il contrario di quanto accadde a Genova col Social Forum, che invece aveva in mano la situazione. In più si prevede un grande afflusso di gente. La voce prevalente che si sente è di non accettare lo scontro, ma comunque di non tornarsene a casa».

C'è un precedente preoccupante, i disordini di del 14 dicembre.
«Neanche in quel caso nessuno lo aveva deciso, i disobbedienti facevano i pompieri e gli antagonisti come quelli di Askatasuna a quanto so non avevano preparato niente. La realtà è che la polizia si è trovata di fronte dei ragazzini».

Ma che cosa rende pericolosa la nuova protesta?
«Ai tempi di Cossiga il sistema reprimeva ma rilanciava la crescita, il capitale aveva una strategia, oggi siamo all'agonia della capacità di governo del capitalismo, qui sta crollando tutto».

Vede delle analogie con quanto successe nel Settantasette, quando le manifestazioni si incendiarono in tutta Italia?
«Io scontri come quelli di Roma li ho visti solo nel '77, come allora c'è un'anti-istituzionalità radicale e come allora i soggetti della protesta erano gli studenti precari».

E le differenze? Sono passati trentaquattro anni...
«Negli anni Settanta c'era la percezione di un avversario consapevole, che doveva reprimere e poi ricominciare, c'era un antagonista, lo Stato, padrone di sé, che aveva in mente la riconversione e la ripresa del controllo delle fabbriche, sullo sfondo della rivoluzione tecnologica imminente. Oggi invece non c'è nessuna idea di come se ne esce. Essendo un cocciuto marxista, posso dire che non siamo mai stati così vicini al comunismo...».

E come promuovono la loro azione gli attuali protagonisti?
«Più che coi blog, ormai superati, comunicano attraverso i social network (il solito Facebook, Twitter etc, ndr), e grazie ad ambienti virtuali, siti come Edufactory, Scepsi, Kafca».

Cosa si augura per la manifestazione di sabato?
«Che non ci siano scontri, ma la campada, gli accampamenti che hanno occupato le piazze in Spagna».

3- INDIGNADO SI, MA IN FERRARI
Da "Libero" - Presidente Montezemolo, secondo lei è comprensibile la protesta degli Indignados? Risposta di Montezemolo: "Per molti aspetti sì. Il problema dei giovani oggi è il problema di questo paese". Ebbravi, gli scalmanati di Roma e Bologna si sono guadagnati il primo tifoso illustre. Il presidente della Ferrari comprende le ansie dei precari ridotti a sfamarsi alla Caritas. I loro problemi sono i problemi di questo paese. Non quelli di Montezemolo.

 

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