NUN T’A-REGGIA CHIÙ! - QUELLO CHE UN TEMPO ERA LA REGGIA DI CARDITELLO, “REAL DELIZIA” DEI BORBONI, OGGI È UN RUDERE ABBANDONATO AL DEGRADO - DOPO AVERCI PIAZZATO LE DISCARICHE ABUSIVE, LA CAMORRA S’È PORTAVA VIA TUTTO: MATTONELLE, AFFRESCHI, COLONNE DI MARMO, PERSINO L’IMPIANTO D’ALLARME! E LE ASTE PER IL RESTAURO VANNO DESERTE (NON CONVIENE A NESSUNO FARE I CONTI CON I BOSS) - URGE INTERVENTO DEL PIO ORNAGHI…

Gian Antonio Stella per il "Corriere della Sera"

A casa di quale boss sono ora le colonnine dell'altana di Carditello? Quale sicario camorrista si è rubato i cancelli settecenteschi? Quale trafficante di rifiuti tossici si è fottuto i camini e brandelli degli affreschi. Quella che fu la Versailles agreste dei Borbone, appestata dalle vicine discariche, sprofonda in un insultante degrado. Spogliata giorno dopo giorno di quanto ancora conserva di prezioso.

Perché i re di Napoli avessero scelto questa campagna a sud dell'antica Capua per costruire la loro meravigliosa villa oggi semiabbandonata, lo dicono le testimonianze di tanti scrittori incantati, a partire da Plinio il Vecchio: «Da qui comincia la celebre Campania Felix, da questo punto hanno inizio i colli pieni di viti...».

Un'immagine ripresa secoli dopo da Wolfgang Goethe: «Bisogna vedere questi paesi per comprendere cosa vuol dire vegetazione e perché si coltiva la terra. (...) La regione è totalmente piana e la campagna intensamente e diligentemente coltivata come l'aiuola di un giardino». E poi ancora da Charles Dickens, affascinato dalla «strada piana che si allunga in mezzo a viti tenute a tralci che paiono festoni tirati da un albero all'altro».

Istituita da Carlo di Borbone come reggia di caccia perché circondata da boschi popolati da cervi, fagiani, cinghiali, e successivamente trasformata da Ferdinando IV come reggia di campagna nel cuore di una tenuta modello di 2.070 ettari, Carditello fu progettata Francesco Collecini, a lungo braccio destro di Luigi Vanvitelli. Tutto intorno, a perdita d'occhio, campi coltivati bagnati dalle acque dei Regi Lagni.

Passata con l'Unità d'Italia ai Savoia, la tenuta venne via via abbandonata finché, come ha ricostruito sul Corriere del Mezzogiorno l'architetto Gerardo Mazziotti, «nel 1920 gli immobili e l'arredamento passarono dal demanio all'Opera nazionale combattenti e i 2.070 ettari della tenuta furono lottizzati e venduti. Rimasero esclusi il fabbricato centrale e i 15 ettari circostanti» che nel Secondo dopoguerra, dopo essere stati occupati dai nazisti, «entrarono a far parte del patrimonio del Consorzio generale di bonifica del bacino inferiore del Volturno». Via via affogato in un mare di debiti. In larga parte nei confronti del Banco di Napoli il quale, di fatto, ha oggi nelle mani il destino della tenuta.

Per qualche anno la reggia, a dire il vero, era tornata a vivere. I responsabili della linea ad Alta Velocità, volendo un ufficio da queste parti, si incapricciarono della splendida dimora borbonica. E dopo un restauro interessato più che altro alla facciata e alle stanze utilizzate dalla Direzione e del tutto indifferente alle cascine, alle stalle, ai magazzini della tenuta che all'intorno si sgretolavano, occuparono il loro pezzo di villa il tempo necessario e poi ciao.

Da quel momento, senza neppure un custode che desse un'occhiata a quel tesoro artistico e architettonico (ne risultano 465 in Provincia, di custodi, concentrati soprattutto alla Reggia di Caserta e all'anfiteatro romano di Capua), è cominciato a Carditello il grande saccheggio. Mentre tutt'intorno, in quella Campania feconda descritta da una Carolina Bonaparte estasiata («Questa è una terra promessa.

Nella campagna si vedono festoni di viti attaccati agli alberi con sparsi grappoli di uva assai più belli di quelli che gli ebrei portarono a Mosé...») si ammucchiavano montagne di rifiuti, più o meno puzzolenti e tossici, in discariche illegali allestite dalla camorra o più o meno legali ma spropositate, la reggia è stata giorno dopo giorno cannibalizzata.
Tutto, si sono portati via. Tutto. Hanno scalpellato e rubato i camini antichi scampati alla razzia dei nazisti e quelli finto-antichi che avevano preso il loro posto. I pavimenti di cotto. I gradini di marmo di una delle due grandi scalinate centrali.

Le acquasantiere della cappella, spaccate durante la rimozione così da lasciare osceni spuntoni che escono dal muro. I simboli in marmo dei Borbone. Pezzi di affreschi di Jacob Philip Hackert e Fedele Fischetti staccati dalle pareti con la stolta e criminale imperizia di analfabeti attirati dall'idea di farsi qualche centinaio di euro vendendo questi ritagli sul mercato nero o a qualche capozona dei Casalesi.

Una rapina quotidiana. Incoraggiata per qualche tempo dalla stupidità della macchina burocratica dei Beni culturali che solo nel 2004 e cioè un anno dopo il pignoramento giudiziario del 2003, si è accorta (incredibile ma vero) di non avere mai messo un vincolo monumentale su questa sontuosa ma ammaccata dimora che i Borbone chiamavano «Real Delizia». E così, di settimana in settimana, sotto gli occhi esterrefatti di quanti amano il nostro patrimonio e devono assistere impotenti alla sua disfatta, la tenuta di Carditello è stata abbandonata a se stessa.

Senza uno straccio di manutenzione. Aggredita e divorata dalla vegetazione che fino a poche settimane fa, quando un volontario della Protezione civile, Tommaso Cestrone, si è messo di buzzo buono a mettere un po' di ordine con le ruspe e le seghe elettriche, pareva una selva colombiana.

E parallelamente crollava il prezzo con il quale il giudice delegato alla grana, Valerio Colandrea, tentava di trovare un acquirente dopo la rinuncia («troppi soldi, non ce la facciamo») della Regione. Trentacinque milioni di euro nelle intenzioni iniziali della stima, meno una quindicina necessari (allora) per i restauri. Poi sempre meno. Finché non è andata a vuoto, giorni fa, anche l'asta che partiva da una quindicina di milioni.

Ovvio. Chiunque compri, a meno che non sia un ras dei Casalesi in vena di farsi una dimora (magari attraverso un prestanome) che affermi la sua monarchia assoluta sulla zona, sa che ogni camion di cemento, ogni cassetta di piastrelle, ogni tubo di rame rischia di pagare pedaggio alla camorra.

Contemporaneamente, infischiandosene delle denunce dei giornali, delle polemiche, delle grida di dolore degli esperti, degli appelli ai ministri, delle petizioni accorate per salvare la reggia come quella di «Orange Revolution», delle sporadiche intemerate delle autorità locali (Emiddio Cimmino, il sindaco del Comune di San Tammaro, ha annunciato giorni fa che entrava in sciopero della fame) il saccheggio è andato avanti.

Al punto che solo in questi giorni il custode giudiziario, l'avvocato Luigi Meinardi, ha potuto accorgersi che nonostante avesse fatto murare tutti i cancelli della villa per arginare almeno in parte la razzia, i vandali mandati forse da qualche boss camorrista deciso a «ingentilire» qualche suo villone sparso in questa ex campagna stuprata dall'edilizia più brutta del Creato, si sono portati via quasi tutto il pavimento e quasi tutte le colonnine che reggevano le balaustre dell'altana che svetta sui campi e le discariche.

Vi chiederete: ma non potevano mettere almeno un sistema d'allarme? L'avevano messo. Ma se lo sono portati via. Come si sono portati via tutto l'impianto elettrico, la centralina, i quadri di comando, i fili passati nelle canaline: tutto. Assolutamente tutto. Al punto che oggi a Carditello non c'è più neppure la luce elettrica.

Questa mattina, pare, s'affaccerà da queste parti il ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi. A chi l'attende avrebbe fatto sapere di avere una qualche speranzella di trovare una soluzione prima della prossima asta. Vedremo. Ma certo, mai quanto stavolta, come forma di risarcimento, in occasione dei 150 anni dell'Unità, nei confronti del Mezzogiorno anche qui tradito dai Savoia, lo Stato dovrebbe essere presente. Dovrebbe strappare Carditello al degrado, al pattume e alla camorra, restaurarlo e farne di nuovo, come merita, una «delizia». Non è solo una questione di salvaguardia. È una questione d'onore.

 

REGGIA DI CARDITELLO REGGIA CARDITELLO REGGIA CARDITELLO REGGIA CARDITELLO REGGIA CARDITELLO

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