OBAMA FULMINATO SULLA VIA DI DAMASCO - LA RUSSIA DICE “NO” ANCHE ALLA PROPOSTA DI HOLLANDE, CHE VUOLE LE ARMI ENTRO 15 GIORNI

1-DISARMO, PARIGI DÀ 15 GIORNI AL RAISS LA RUSSIA DICE NO
Maurizio Molinari per La Stampa

John Kerry e Sergei Lavrov si incontrano oggi a Ginevra nel tentativo superare i disaccordi sul piano di disarmo chimico della Siria di Bashar Assad. Alla base delle divergenze c'è la volontà di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna di includere nella risoluzione dell'Onu sul disarmo la minaccia dell'uso della forza in caso di mancata ottemperanza siriana.

La bozza di risoluzione preparata da Parigi per il Consiglio di Sicurezza è esplicita in proposito perché include la frase «se le autorità siriane non rispetteranno gli obblighi saranno adottate ulteriori misure sulla base del capitolo VII della Carta Onu» che prevede il ricorso alla forza.

Dietro il testo francese, redatto assieme a Londra e Washington, ci sono le parole pronunciate da Barack Obama nel discorso notturno alla nazione: «È stata la nostra credibile minaccia dell'uso della forza ad aver reso possibile l'opzione diplomatica». Jay Carney, portavoce della Casa Bianca, aggiunge: «Per due anni Siria e Russia si sono opposte a ogni concessione, ora il disarmo chimico è una strada positiva, il merito è della nostra scelta di minacciare la forza, ora serve una risoluzione garante di un disarmo credibile, immediato e verificabile».

È tale approccio a spiegare la scelta del presidente americano di mantenere lo schieramento militare attorno alla Siria: dal Mediterraneo Orientale al Mar Rosso fino all'Oceano Indiano ed al Golfo Persico la Us Navy è in grado di lanciare in qualsiasi momento l'attacco missilistico. Per Obama, come per l'alleato francese François Hollande, l'opzione diplomatica è un risultato delle minacce militari e dunque questo doppio binario deve riflettersi nel testo della risoluzione sul disarmo chimico.

Il Cremino si trova su posizioni opposte. È il presidente Vladimir Putin a dirlo dagli schermi della tv russa, con una scelta di tempi tesa a ribattere a quanto detto da Obama dall'East Room della Casa Bianca. «La nostra proposta per il disarmo siriano può funzionare se gli Stati Uniti e tutti coloro che li sostengono - afferma Putin - rinunciano all'uso della forza, in quanto è difficile obbligare la Siria o qualsiasi altra nazione a disarmare unilateralmente sotto la minaccia di un attacco».

Da qui la scelta del ministro degli Esteri russo Lavrov di definire «inaccettabile» la bozza francese, minacciando il veto per bloccarla. Lo scontro sul riferimento al capitolo VII della Carta Onu ha tenuto banco ieri sera fino a tarda ora al Palazzo di Vetro nella riunione a porte chiuse fra i cinque membri permanenti: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina. In attesa di vedere che Kerry e Lavrov riusciranno a sciogliere il nodo, il negoziato al Palazzo di Vetro investe però gli altri aspetti del piano di disarmo.

La Francia propone un ultimatum di quindici giorni a Damasco per consegnare l'elenco «completo e definitivo» di quantità e depositi armi proibite, l'accesso «immediato e senza restrizione a tutti i siti» e la «denuncia al Tribunale penale internazionale di chi ha commesso crimini di guerra».

C'è però anche un testo russo, che Lavrov ha recapitato al Dipartimento di Stato ieri, basato sull'intesa raggiunta con Bashar Assad, i cui dettagli restano al momento top secret. Anche se è verosimile che Mosca desideri impedire l'incriminazione del raiss e dei suoi più stretti collaboratori per aver usato i gas contro i civili.

Sullo sfondo del negoziato fra Washington, Parigi e Mosca c'è Ban Ki-moon. Il Segretario generale dell'Onu spinge per accelerare l'intesa: da un lato conta sulla veloce pubblicazione dei risultati delle ispezioni a Damasco e dall'altro dà rilievo al rapporto del Consiglio dei Diritti Umani secondo il quale fra maggio e luglio sono avvenuti «almeno 9 massacri di civili in Siria»: otto da parte delle forze governative, che hanno anche bombardato degli ospedali, e uno da parte dei ribelli.

«Le opposte fazioni commettono ogni sorta di violenze perché si sentono protette dall'impunità» si legge nel rapporto. Ban Ki-moon cita il rapporto di una Ong «Nove attacchi chimici 8 del regime,1 dei ribelli»

2-IL PENTAGONO: SI RISCHIA UNA CACCIA INFINITA COME IN IRAQ DOPO IL 1991
Francesco Semprini per La Stampa


«Attraente ma ingannevole». È questo il leitmotiv dei commenti di diversi esperti sulla proposta della Russia di porre sotto il controllo delle autorità internazionali gli arsenali chimici di Bashar al Assad. «Ci saranno complicanze tecniche notevoli», spiega Amy Smithson, esperto di armi chimiche del Monterey Institute. Secondo quanto riferisce il «Wall Street Journal», non sono pochi i diplomatici americani e europei convinti che Assad non fornirà la lista completa di siti e munizioni.

La «inspection unit» delle Nazioni Unite nota col nome di «Organization for the Prohibition of Chemical Weapons» (Opcw) ha fino a oggi presenziato alla distruzione di milioni di armi non convenzionali in sette Paesi del mondo. Tuttavia il monitoraggio e la messa in sicurezza di arsenali non convenzionali sono stati difficili in Paesi come Iraq, Corea del Nord e Iran, già in tempi di pace - avverte il «New York Times» - figuriamoci in un Paese che è entrato nel terzo anno di una guerra civile devastante».

A rendere il lavoro degli ispettori assai arduo è innanzi tutto la varietà di luoghi e strutture da passare al setaccio, fabbriche, bunker, magazzini. Secondo stime dell'intelligence occidentale sono 42 i «siti chimici» sul territorio siriano, ma in realtà se ne conoscono solo 19. Il negoziato in corso al Palazzo di Vetro dovrà poi fissare in maniera chiara quali armamenti devono essere dichiarati da Damasco dal momento che taluni, come batterie di artiglieria pesante, mortai, e lanciarazzi, possono essere armati con testate convenzionali oltre che chimiche.

E poi c'è il fattore sicurezza, operando in una zona di guerra, si impone il dispiegamento di forze di terra a protezione degli ispettori: secondo il Pentagono servirebbero almeno 75 mila soldati. Serve poi un congruo numero di esperti di cui l'Onu potrebbe essere sprovvista visto che sono solo 110 gli «ispettori chimici» col casco blu in tutto il Pianeta e il fattore sicurezza potrebbe minare il reclutamento di volontari.

Secondo gli strateghi americani, il rischio è che si ripeta una situazione simile a quella dell'Iraq dopo la Prima Guerra del Golfo del 1991, con gli ispettori impegnati per anni in una caccia senza fine per scoprire gli arsenali chimici e nucleari di Saddam Hussein.

A Washington si vaglia un approccio simile a quello utilizzato dall'amministrazione di George W. Bush per il disarmo della Libia, iniziato nel 2003 e concluso con successo. «Allora però il colonnello Gheddafi decise di dichiarare praticamente tutto - spiega Paula DeSutter, uno dei supervisori di quella operazione - non credo che ciò si ripeterà in Siria».

 

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