ODIOGRAFIA DEL LÍDER MASSIMO – “D’ALEMA? IL “RE MIDA” AL CONTRARIO DEI SINISTRATI: “TUTTO CIÒ CHE TOCCA DIVENTA ORO. PER IL CAV”

Estratti da IL PEGGIORE di Giuseppe Salvaggiulo (Chiarelettere, Milano, giugno 2013)


PRETESTI
1 - "Io non conosco questa cosa, questa politica che viene fatta dai cittadini e non dalla politica".
Massimo D'Alema, discorso del 9 marzo 1997 al seminario dell'Ulivo nel Castello di Gargonza

2 - "Ci sono tre luoghi comuni: è intelligente, ha i baffi, ha la barca".
Roberto Benigni su Massimo D'Alema

3 - "Prodi e Veltroni sono due flaccidi imbroglioni", "Veltroni è un ragazzotto, Prodi non capisce un cazzo di politica", "La Lega è una costola della sinistra", "Capotavola è dove mi siedo io",

"La sinistra è una disgrazia che solo la destra rende accettabile", "Tremonti è stato come Picasso: ha inventato la finanza creativa", "Brunetta è un energumeno tascabile",
"Dove si vende l'agenda Monti?", "Il Pd è un amalgama mal riuscito."

"Berlusconi è veramente un uomo simpatico, di straordinaria simpatia." "È una frase che sottoporrei a una seria revisione critica." Massimo D'Alema, 2000 e 2011

Berlusconi era ed è ineleggibile.
Festa dell'Unità, Bologna, 2000

4 - D'Alema e Berlusconi si imitano a vicenda.
Valentino Parlato, «Corriere della Sera», 2000

5 - La testa più pensante della sinistra, e anche della destra.
Roberto Gervaso

6 - D'Alema è una specie di re Mida: tutto quello che tocca diventa oro. Per Berlusconi.
Marco Travaglio

7 - Voi de ‘il Fatto' siete tecnicamente fascisti...
Massimo D'Alema a Luca Telese, 2011

8 - Perché comprare i giornali? È un segno di civiltà lasciarli in edicola.
Intervista rilasciata da Massimo D'Alema a «Prima Comunicazione», 1995

 

«Sicuramente ti avrà risposto che è pieno di impegni all'estero, eh? Lo sapevo». 

Cosi dice Claudio Velardi che per Massimo D'Alema e stato un amico, il principale consigliere politico, un facilitatore relazionale per un leader refrattario a manifestare umanità. Lo conosce in profondità, anche a distanza e dopo tanto tempo.

«Invece io lo immagino sprofondato nel giro tragico delle serate romane, di corvée nei salotti che infestano la sinistra capitolina, a concionare sui massimi sistemi. È un povero dio, mi fa tenerezza. Ma è un buono, il più buono di tutti, un ingenuo. Gli voglio bene. Alla fine trattalo bene.»
(Le dichiarazioni di Claudio Velardi riportate in questo volume sono state raccolte nel corso di una conversazione con l'autore il 22 novembre 2012)

Rottamazione di Occhetto
Tra il 1992 e il 1994, quando Occhetto spedisce D'Alema alla Camera, a fare il capogruppo, per allontanarlo dal partito. D'Alema chiama Velardi come capo ufficio stampa, «con la missione di distruggere Occhetto. Ogni giorno alle nove di mattina raccontavo ai giornalisti le cazzate che faceva».

Un massacrante lavoro ai fianchi che fa perdere i nervi a Occhetto (una volta in Transatlantico, il grande salone di Palazzo Montecitorio, si sfoga: «Ah, dovrei avere io uno come Velardi, e allora...»). Dopo la sconfitta elettorale del 1994, D'Alema ritiene maturi i tempi della successione. E lo comunica perentoriamente e personalmente all'interessato.

«Era venuto da me un deputato di Gallipoli per dirmi che al congresso dovevo lasciare perché non sapevo dirigere il partito, perché ormai con la vittoria del berlusconismo si era aperto un ciclo completamente nuovo - roba da marziani! - della politica italiana e in buona sostanza io sarei sparito per una sorta di obsolescenza tecnica, perché avevo fatto il mio tempo, perché dovevo essere laico e capire che si poteva fare politica in tanti modi». Occhetto resiste, si lancia nelle elezioni europee di giugno, incassa un'altra batosta. È la resa. Si apre la conta interna: D'Alema contro Veltroni. Il direttore de «l'Unità» vince il referendum tra gli iscritti, ma D'Alema ribalta il risultato con il voto dell'apparato.

Vauro firma su «il manifesto» una vignetta con i due davanti al fax che sputa fogli con i voti per Veltroni e D'Alema che di soppiatto, con un calcio, stacca la spina. D'Alema rimprovera a Occhetto «nuovismo, teatralità di atti, direzione fortemente personalizzata, stile isolato che lo ha portato a vivere con difficoltà un rapporto paritari all'interno del gruppo dirigente del partito, cattivo funzionamento degli organi dirigenti, non coinvolgimento degli iscritti».

Diventa segretario in nome della difesa dell'identità e dell'organizzazione del partito contro il nuovismo liquido e americaneggiante di Occhetto e Veltroni. Ma poi lo destruttura come nessun altro, rivolgendo tutto a sé, esautorandone gli organi dirigenti e sostituendoli con un ristretto staff di nomina regia. Velardi, che aveva la stanza in fondo al corridoio a destra, giusto di fronte a quella di D'Alema, racconta: «Le decisioni le prendevamo noi nel suo ufficio, poi lui varcava la stanza della segretaria Ornella e le comunicava agli organi del partito».

La segreteria del partito viene di fatto abrogata. Si ipotizza perfino l'erezione di un muro, una separazione fisica, stagna, per evitare le contaminazioni del putrescente cadavere del partito.
Fabrizio Rondolino, per anni responsabile della comunicazione nello staff di D'Alema, rivela: «Si sentivano tutti esautorati dal nostro metodo, in un posto dove prima per spostare una pianta dovevi convocare il comitato centrale».
(Le dichiarazioni di Fabrizio Rondolino riportate in questo volume sono state raccolte nel corso di una conversazione con l'autore il 19 ottobre 2012)

Un elettroshock di immagine
Diventato segretario del Pds, D'Alema viene sottoposto a un elettroshock di immagine. Per «popolarizzarlo, umanizzarlo» e consentirgli di sfondare nel campo avversario. S'incaricano della «sbulgarizzazione» Velardi, Rondolino, Cuperlo. Interpellano Annamaria Testa, pubblicitaria autrice di campagne di successo come: «Nuovo? No, lavato con Perlana».

L'esperta incontra alcune volte D'Alema prendendo atto che «è persona di non comuni capacità comunicative, ma anche capace di rovinare un'amicizia con una battuta. Lo convinse senza fatica a essere pungente là dove serve, senza farlo per puro gusto». D'Alema ascolta attento e divertito. Cuperlo si dedica al linguaggio. Constata che è astratto, politichese con troppe parole e pochi verbi, va svecchiato e semplificato. Stila addirittura un elenco con due colonnine: da una parte le parole da evitare (asse programmatico, chiarimento politico...), dall'altra quelle da utilizzare (moderare, abbellire, ammorbidire).

Nella campagna elettorale del 1996, i risultati sono vistosi. Nel frattempo Velardi, napoletano gaudente, sottopone il segretario a un «trattamento progressivo» di trasformazione del look, dopo aver rilevato che quando D'Alema ha osato avventurarsi da solo da Cenci, nota boutique romana, «è riuscito a comprarsi l'unica giacca brutta che c'era». Il riferimento Berlusconi gli propone di fare TV del restyling diventa «l'eleganza inglese della vecchia Napoli».

Napoletano il sarto Gino Cimmino: «Quando venne da me gli consigliai il blu e il grigio e da allora non ha più adottato altri colori» racconterà nel 1998 all'Adnkronos. Napoletana la nuova camiciaia. Napoletane le cravatte, classiche ma moderne, al posto delle pregresse tetre fantasie funzionariali.

All'inizio D'Alema si sottopone all'intensa opera riformatrice «con docile disciplina»; dopo alcuni mesi, Velardi constata che «ci ha preso gusto, si è anzi appassionato a questo nuovo modo di vestire, certo per come può appassionarsi lui alle cose terrene» tanto da spiegare a Bruno Vespa: «Cerco di non portare colori troppo brillanti che farebbero risaltare il mio incarnato cadaverico».
«Quando prova un abito diventa un altro» dirà il sarto.

Primo incontro con Berlusconi
Come dimenticare il primo incontro? D'Alema lo custodisce con pudore. E solo in circostanze rare e speciali, in certe periferiche feste dell'Unità, per lenire la malinconia, si lascia andare all'amarcord, come un amante abbandonato che sfoglia l'album delle fotografie ingiallite accovacciato sul divano nelle sere d'inverno.

Seconda metà degli anni Ottanta. Berlusconi è ormai Sua Emittenza. Tra l'ottobre 1984 e il gennaio 1986 il governo Craxi ha varato tre decreti legge per riaccendere le reti Fininvest oscurate dai pretori d'assalto. Il Pci ha barattato una linea soft con la lottizzazione di Raitre. Nel 1985, richiamato dalla Puglia, D'Alema diventa responsabile stampa e propaganda del partito.

Il 17 maggio 1986, dopo che la maggioranza che sostiene il governo Craxi ha trovato l'intesa per «dare il via libera ai network televisivi privati anche nel campo dell'informazione», creando quindi una potenza di fuoco micidiale a disposizione di Dc e Psi, denuncia su «Rinascita» «il rischio di dar luogo a un grande monopolio privato come quello che fa capo a Berlusconi. [...] Avremmo un ben strano pluralismo, tutto interno allo stesso blocco di potere».

Invoca una legge antitrust e chiama alla «battaglia democratica» per «un'informazione effettivamente libera e non controllata dal governo». Il 10 ottobre dello stesso anno su «l'Unità» pubblica un articolo in cui adombra «intese vergognose» nel pentapartito perché «il vero problema per i partiti che comandano è assicurarsi il controllo sull'informazione che sarà prodotta dai network privati e di lottizzare anche quella».

Il 20 ottobre 1989, diventato direttore de "l'Unità", alla vigilia dell'approvazione della legge Mammì scrive che «tira una bruttissima aria per chi non è d'accordo» citando allarmato «il dottor Fedele Confalonieri, braccio destro di Berlusconi, che ha annunciato che il loro telegiornale si ispirerà alle idee di Andreotti, Craxi e Forlani».

È in questo contesto che Berlusconi cerca di aprire un canale con il Pci. Adele Morelli, vedova di Alessandro Natta, rivelerà ad Antonello Caporale che suo marito ricevette a Botteghe Oscure il Cavaliere, «che offrì al Pci la forza propagandistica di una delle sue reti, credo si trattasse di Rete 4, pur di ricevere tutela e comprensione politica per tutta la Fininvest». D'Alema invece viene invitato da Berlusconi, alla presenza di Gianni Letta, «per un favore politico». A sorpresa, l'incontro finisce con Berlusconi che gli scodella un'offerta di lavoro: «Lei perché non fa un talk show con noi? Sa, con noi in tv lavorano tanti bravi giornalisti, come Ferrara...».


D'ALEMA DICE DI BERLUSCONI
Massimo digrigna i denti, arrota il baffo, serra la mascella, gli tira i piatti in faccia come una moglie trascurata ed esasperata, lo inonda di contumelie: protervo, rissoso, prepotente, totalmente inattendibile, chiacchierone, persona non seria, contraddittorio, ambiguo, buffone, grande illusionista, grandissimo bugiardo, "sor tentenna" della politica italiana, irresponsabile, avventuriero, squadrista televisivo, fascista moderno,

sfascista, cinico sovversivo, reazionario, intollerante, profondamente antidemocratico, a-democratico, signore feudale, gretto, generale da quattro soldi, barbaro, pugile senza regole che sale sul ring e tira calci al basso ventre, cinico propagandista, estremista, arrogante, rozzo, primordiale, violento, volgare, immaturo, pericoloso, vandalo politico, piazzista, peggio che un idiota, avvelenatore, populista boliviano degli anni Settanta, classista, espressione del privilegio, analfabeta, imbroglione,indecoroso, ripetitore di scemenze, invadente, disastroso, venditore di Cacao Meravigliao, il piu grande venditore di favole del mondo.

Ma poi gli passa, ci ragiona, istintivamente gli fa scudo se qualcuno lo «demonizza», e realizza che in fondo Berlusconi gli piace così. Lo dice, con candore. Il 12 marzo 1996, in piena campagna elettorale, intervistato da Giovanni Minoli a Mixer: «Berlusconi ha il pregio di avere una carica umana e di essere simpatico e il difetto di non dire sempre la verità. Io invece mi ritengo sincero e spesso sono sgradevolmente sincero».

 

dalema beve DALEMA IL PEGGIORE LIBRO SU MASSIMO D ALEMA DI SALVAGGIULOVELTRONI E DALEMA D'ALEMA A PALAZZO CHIGI CON RONDOLINO, VELARDI, LATORRE E CASCELLA - 1998MASSIMO D ALEMA E SILVIO BERLUSCONIDALEMA - OCCHETTO - BERSANI - LA GIOIOSA MACCHINA DA GUERRAInciucio DAlema Berlusconi DALEMA E BERLUSCONI Massimo D'Alema e Silvio Berlusconidalema berlusconidalema berlusconi dalema berlusconidalema berluscomi da il fattoGIANNI CUPERLO

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