IL PAPA “POVERO” SNOBBA LA NOBILTÀ ROMANA: NON LI RICEVE, NON CAPISCE I LORO RITI, NON SE LI FILA

Matteo Matzuzzi per "Il Foglio"

E' finita un'epoca, tutto è cambiato. La vecchia aristocrazia romana "trincea rocciosa del Papa dai tempi di Carlo Magno", è in crisi. Francesco, il gesuita Bergoglio, è troppo distante da quel mondo che da sempre ruota attorno a San Pietro. Prima, con gli elmi della guardia nobile che scortò Pio VII in Francia per l'incoronazione di Napoleone nel 1805, e poi con le grandi cene che riunivano attorno allo stesso tavolo il gotha della nobiltà e le alte gerarchie ecclesiastiche.

Qualcuno, poi, c'è anche rimasto male per quell'accenno fatto dal Pontefice (tra un'omelia a Santa Marta e una predica dall'ambone sul sagrato di San Pietro) ai cattolici solo per moda, "inamidati, da salotto, quelli educati che discutono di teologia bevendo il tè".

Ma quando mai!, si era inalberato poco tempo fa il principe Lillio Sforza Ruspoli, ricordando che dopo "l'aggressione armata alla Città Santa" da parte dei piemontesi, i portoni dei grandi palazzi nobiliari erano stati chiusi in segno di lutto, ripetendo il gesto compiuto qualche decennio prima - e immortalato nel "Marchese del Grillo" -, quando Pio VII fu fatto prigioniero e portato in Francia, proprio come il suo predecessore poi morto a Valence.

Di fare polemica, però, non c'è alcuna voglia: "I papi si servono sempre, fin da bambini", dice Ruspoli. Anche se sul Soglio di Pietro siede uno che ben poco ha a che fare con i riti mondani, le feste, le cene e la pompa. Il fatto è che prima, mormorano nella nobiltà nera, bastava alzare il telefono e si entrava in contatto direttamente con l'appartamento papale, o quantomeno con la segreteria di stato.

C'era padre Georg, il segretario del Papa e ora prefetto della Casa pontificia, che quel mondo non lo disdegnava affatto. Ma adesso che il Pontefice abita in un residence austero che della reggia principesca non ha nulla, tutto è più complicato. Non ha neanche un segretario fisso, gliel'hanno dovuto assegnare, confessano tristi principi e principesse che alla rinuncia di Ratzinger hanno ubbidito ma faticato a comprenderne fino in fondo le ragioni.

Con Benedetto XVI c'era intesa: lui, nato nella Baviera per secoli retta dalla dinastia dei Wittelsbach, capiva l'importanza di avere al proprio fianco le grandi famiglie che alla chiesa hanno dato nei secoli cardinali, papi e perfino santi. Colonna, Borghese, Torlonia, Odescalchi, Orsini, Chigi, Ruspoli. Per farsi un'idea del ruolo che avevano, basta andare su YouTube a guardarsi qualche immagine del passato, quando a sorvegliare sulle elezioni papali era il maresciallo di Santa romana chiesa e custode del Conclave.

Figura di assoluto prestigio, che sovrintendeva a tutto e teneva nelle proprie tasche le chiavi dei portoni che nascondevano al mondo i cardinali durante l'elezione del Pontefice. L'ultimo maresciallo fu Sigismondo Chigi III, morto trent'anni fa, dieci dopo la decisione di Paolo VI di abolire per sempre la guardia nobile.

Un colpo durissimo, allora: non si trattava solo di abbandonare la sciabola da cavalleria e la giubba rossa con bandoliera, ma di rinunciare a uno status, a un privilegio riservato a pochi eletti; un incarico "non solo di fida custodia, ma ancora di decoro e di ornamento", diceva Gregorio XVI nella prima metà dell'Ottocento. D'altronde, da un secolo il Papa non era più re, e dopo il Concilio Vaticano II il vescovo di Roma rinunciò anche ai flabelli, alla tiara e alle altre insegne tipiche del potere temporale. Logico, quindi, che anche i corazzieri del vicario di Cristo, con i loro elmi piumati, fossero consegnati al libro dei ricordi. Ma la nobiltà nera è sopravvissuta, continuando a frequentare il Vaticano e intessendo relazioni d'alto livello con gli uomini più in vista della curia. Ricevimenti eleganti, cene, ritrovi che puntualmente finivano sulle riviste patinate e sui siti di gossip.

Gallerie di foto di volti sorridenti, lauti banchetti, baciamano e inchini. Poi, in una fredda mattina di febbraio, quel quadro è caduto. Francesco non dà corda a quel mondo rimasto fedele, nonostante tutto, al Papa re. Un mondo che non ha intenzione di perdere la propria identità.

Bergoglio non ha ancora ricevuto i membri della nobiltà nera né ha dato segnali sull'intenzione di fissare al più presto un'udienza loro riservata. D'altronde, da un Papa che a Buenos Aires girava in metropolitana e a Roma fin dal primo giorno ha chiesto di viaggiare solo su una modesta berlina senza stemmi, insegne e bandierine bianco-gialle, c'era da aspettarselo.

Al tè dei salotti, Francesco preferisce il buon mate argentino; alle stanze affrescate del palazzo sistino, i bianchi e spogli muri di Santa Marta; ai gentiluomini in frac e collare d'oro, i giardinieri e i postini che lavorano entro le mura leonine. Perfino sul menu, Bergoglio ha stupito gli stessi cardinali, resistendo alle verdure bollite un po' scipite del residence che avevano fatto auspicare a qualche illustre porporato una rapida conclusione dell'ultimo Conclave.

 

PAPA FRANCESCO - JORGE BERGOGLIOMaria Pia e Lilio Ruspoli Nicoletta Odescalchi Alessandra Borghese Lelio Orsini - Copyright PizziJANNE E PROSPERO COLONNA

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