QUIRINALE TRE PALLE - IL PD SI COMPATTA SOLO SE STAPPA IL PRODINO

Goffredo De Marchis per "la Repubblica"

«Pesa l'intreccio tra Quirinale e governo. La trattativa è bloccata». A 24 ore dalla riunione del Parlamento in seduta comune, Bersani e Berlusconi condividono l'analisi ma non la soluzione. Il nome giusto non c'è perché il segretario del Pd si è detto disponibile a un passo indietro personale lungo la strada che porta a Palazzo Chigi mantenendo però la formula del governo di cambiamento.

Il Cavaliere invece insiste sulla larghe intese: «Nell'esecutivo ci deve stare anche il Pdl. Non è immaginabile che faccio uscire dall'aula un gruppo di 100 persone al momento della fiducia consentendo al governo di partire. Come lo spiego ai miei elettori?».

Attraverso gli ambasciatori Gianni Letta e Vasco Errani, che ieri si sono visti e sentiti più di una volta, che hanno in mano il dossier e la delega piena dei loro referenti, la rosa è stata molto ristretta. Ma tutti i candidati offrono il fianco ai veti incrociati e non sciolgono, per il momento, il nodo presidenza della Repubblica- presidenza del Consiglio. Giuliano Amato, Franco Marini, Massimo D'Alema e l'outsider, il giudice costituzionale Sabino Cassese: questa è la quaterna su cui costruire l'accordo. Con qualche chance residua per Anna Finocchiaro, rilanciata dalla Lega, e per Luciano Violante.

A Largo del Nazareno però soffia il vento del pessimismo. «Praticamente - raccontano - siamo ai nostri di partenza. Molti papabili in campo e nessuna intesa all'orizzonte. Non è detto che sia un male, il patto è meglio farlo all'ultimo minuto».

Ma non è nemmeno detto che sia un bene perché il tempo vola e si fatica a capire come una collaborazione che latita da 50 giorni possa realizzarsi in poche ore. Bersani ha messo in conto il fallimento e dalla quarta votazione in poi, quando scatta il quorum della maggioranza assoluta, possono spuntare Romano Prodi (favorito) e Stefano Rodotà, terzo classificato nelle Quirinarie del Movimento 5stelle.

Berlusconi è arrivato a Roma ieri sera e ha subito riunito i suoi fedelissimi per conoscere gli ultimi progressi. Bersani è rimasto chiuso a Largo del Nazareno impegnato in incontri con Violante e Marini e in una lunga serie di telefonate con i candidati. Se la scrematura della notte appena trascorsa e di oggi avrà successo, i leader di Pd e Pdl s'incontreranno a quattr'occhi questa sera per suggellare l'intesa.

Gli sherpa hanno lavorato ieri su Amato come prima scelta.
Poi, però sono arrivati lo stop secco di Roberto Maroni, i fortissimi dubbi di Nichi Vendola e il segnale lampante emerso dalla consultazione grillina con la vittoria di Milena Gabanelli, la giornalista anti-casta che in una puntata di Report mise sotto accusa le pensioni d'oro. Nel quartier generale bersaniano, dopo questi passaggi, il nome dell'ex premier socialista ha perso quota: «Dobbiamo valutare sia il dato politico di una rottura a sinistra, sia il dato numerico».

Perché Amato, con quelle defezioni, avrebbe margini di successo ristretti e potrebbe finire nel mirino dei franchi tiratori. Cassese invece corrisponde all'identikit disegnato da Bersani: «Una novità, fuori dallo stretto giro dei soliti nomi». Ministro nel governo Ciampi, 78 anni, oggi è giudice costituzionale. Il Pdl è stato sondato sul suo nome e ha risposto con un'apertura decisa, quasi incondizionata. Semmai Cassese sconta l'inesperienza politica mentre tutti i soggetti in campo hanno detto finora di volere una figura che sappia come orchestrare il difficile futuro italiano. In questo senso D'Alema offre le garanzie che Pd e Pdl cercano. Ma è un nome che può tenere uniti i democratici? Matteo Renzi spiega: «I candidati per me indigeribili li ho detti pubblicamente. Sono Marini e Finocchiaro».

Significa che l'esclusione dall'elenco di Amato e D'Alema non è casuale. Con molte riserve, è ovvio, per il grande avversario del rottamatore, ossia l'ex presidente del Copasir.
Bersani pensa adesso di spostare in serata la riunione congiunta dei 495 grandi elettori del centrosinistra prevista per il pomeriggio. Se ci sarà un nome condiviso, chiederà ai parlamentari di esprimere pubblicamente critiche e perplessità.

Il grande terrore del Pd infatti è che le devastanti tensioni interne si sfoghino nel fuoco amico (non tanto amico) dentro l'urna segreta. Allora sì che del Partito democratico, nato appena sei anni fa, rimarrebbero solo macerie. Bersani finirebbe triturato, ma dietro di lui brucerebbe anche il capannone della "ditta".

Marini non è uscito dalla rosa, nonostante il niet di Renzi. Sul nome dell'ex presidente del Senato, infatti, l'istruttoria era molto avanzata e il colloquio di ieri con Bersani di ieri (reso pubblico così come quello con Violante) segnala non la consolazione del leader a due trombati, ma il sostegno a due nomi ancora in pista.

Per Marini continuano a essere forti le spinte degli ex popolari ed ex dc che non vogliono rinunciare ad affermare il principio dell'alternanza al Colle: dopo un uomo di sinistra tocca a un rappresentante del centro. Sulla Finocchiaro invece, oltre al veto del sindaco di Firenze, c'è la resistenza di Berlusconi. A suo modo, è una medaglia perché al di là della correttezza formale, l'ex capogruppo del Pd al Senato non ha mai fatto sconti sulle innumerevoli leggi ad personam nel corso del ventennio berlusconiano. Ma per la salita al Colle è un macigno.

Nelle mille voci che si rincorrono, la fantasia degli ex dc, allenati alle battaglie della Prima repubblica, si spinge a vaticinare uno scenario da brividi: viene dichiarato il fallimento della
trattativa su Amato per paura dei franchi tiratori, le prime tre votazioni si esauriscono con i candidati di bandiera e dalla quarta, al riparo da numeri in bilico, Amato rispunta e passa senza problemi. Ma può un ex socialista fidarsi di formule studiate nelle stanze degli ex dc?

Dalla votazione col quorum a maggioranza in poi (da venerdì pomeriggio), c'è solo un candidato forte: Prodi. È il preferito di Bersani e del suo entourage emiliano da sempre, ha l'appoggio di Renzi, è gradito alla base 5stelle e a un folto gruppo di parlamentari grillini. Piace anche al comico genovese, meno a Casaleggio.

L'Africa (Mali), dove il Professore è in missione per conto dell'Onu, non sarà mai così vicina all'Italia e a Roma come nelle prossime ore. Se l'accordo col centrodestra fallisce, sembra davvero impossibile che il Pd si divida sul fondatore dell'Ulivo: lo sosterranno Vendola, Bindi, Letta, Bersani, Renzi, i cattolici di Franceschini per paura di vedere spuntare un laico. Il voto di Mario Monti è scontato.

E con l'appoggio dei 5stelle si formerebbe una maggioranza teorica che condurrebbe il segretario del Pd a Palazzo Chigi. Ma in quali condizioni? Con Berlusconi sulle barricate, pronto all'Aventino parlamentare, alle piazze convocate h24, a evocare in ogni luogo la drammatica fotografia di un'Italia spaccata in due. Bersani non scarta neanche Stefano Rodotà, ex deputato Pds, giurista paladino dei beni comuni e dei diritti civili.

Al segretario piace molto, ma il Pd rischia una nuova spaccatura. I cattolici non digeriscono il curriculum di un laico a tutto tondo, che non ha mai strizzato l'occhio alla Chiesa. Alla fine, tutto ruota attorno al Partito democratico. Che arriva alla partita finale sfibrato, lacerato. E si butta in questa sfida per uscirne guarito. O quasi.

 

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