PENATI PER LOTTARE - DOPO 9 ORE DI INTERROGATORIO, L’EX BRACCIO MALDESTRO DI BERSANI NON AMMETTE NULLA E CONTRATTACCA: “MAI PRESO TANGENTI” - EPPURE È CADUTA ANCHE L’ULTIMA GIUSTIFICAZIONE PER L’ACQUISTO (A PREZZI FOLLI) DELLA SERRAVALLE DA GAVIO: LA PROVINCIA NON AVREBBE COMUNQUE OTTENUTO LA MAGGIORANZA DELLE AZIONI - E NELLE TANGENTI PAGATE IN LUSSEMBURGO, SPUNTA UN CONTO ANTONVENETA CHE AVREBBE RIPIANATO IL DEBITO DI PIERO DI CATERINA CON BANCA INTESA. “A SUA INSAPUTA” (ANNAMO BENE)…

Paolo Colonnello per "la Stampa"

Chiarito tutto, parola di Filippo Penati. Ma si è mai visto un indagato dichiarare il contrario dopo un lungo interrogatorio? Così anche l'ex presidente della Provincia di Milano, forzatamente sorridente al termine di quasi 9 ore di confronto davanti ai pm monzesi Mapelli e Macchia, non sfugge alla regola.

Aggiungendo però un paio di cose molto precise: mai preso tangenti per l'affare Serravalle e nemmeno un euro dagli altri imprenditori. «Ho riferito quanto a mia conoscenza e credo di aver dato un contributo che ritengo comunque importante», spiega il politico in un breve comunicato che riassume il lungo confronto.

Ma ieri, l'esponente diessino, si è giocato ben più di un semplice «chiarimento» rispetto alle accuse che gli sono piovute sulla testa in questi mesi (dalla corruzione, alla concussione, al finanziamento illecito): precisamente la propria libertà personale, visto che tra meno di due settimane il tribunale del riesame dovrà decidere se accogliere il ricorso dei magistrati sul suo mancato arresto.

Così il verbale di ieri e gli accertamenti che ne scaturiranno, saranno fondamentali per capire quanto «la verità di Penati» sia assoluta o molto relativa. Un verbale che i magistrati hanno deciso di secretare e che non è escluso possa essere riaperto tra breve: o per un nuovo interrogatorio o addirittura per dei confronti con altri coimputati. Segno che ieri Penati non è andato a trattare una resa ma, munito di un trolley zeppo di documenti, si è presentato per contrattaccare, tentando di smantellare quelle che i suoi legali nei giorni scorsi hanno definito «suggestioni» accusatorie.

«Ho risposto a tutte le domande - scrive Penati - ricostruendo nel dettaglio i rapporti da me intrattenuti sia con i coimputati sia, soprattutto, con gli imprenditori che mi hanno accusato». Ai quali, sembra di capire, ha rigettato la palla sostenendo in pratica che i rapporti di denaro intercorsi tra gli imprenditori Piero di Caterina e Giuseppe Pasini nei loro incroci sulle lottizzazioni prima dell'area ex Marelli e poi dell'area Falck, erano cose che riguardavano più i loro affari che la sua ascesa politica.

Non a caso, la nota di Penati conclude con queste parole: «Desidero precisare che, all'esito della decisione giudiziaria, mi riterrò libero di chiedere alla magistratura di accertare se coloro che mi hanno accusato, lo abbiano fatto ingiustamente».

Penati non si è sottratto nemmeno alle domande sul ruolo svolto dalle coop emiliane e dal presidente di queste, Omer degli Esposti, finito sul registro degli indagati per corruzione insieme ad altri due «consulenti» per aver ricevuto, tra il 2001 e il 2003, dall'imprenditore Pasini due milioni e mezzo di euro in cambio di «prestazioni inesistenti». Penati, che avrebbe sostenuto di non essere stato lui a coinvolgere le Coop, non avrebbe comunque chiamato in causa i vertici nazionali del partito e tanto meno fatto il nome del segretario Bersani.

E' ovvio che di fronte a una secretazione, che prelude a indagini più approfondite, certe domande possano rimanere senza risposta. Ma che il «sistema Sesto», ovvero un sistema che legava gli affari alla politica in un incessante scorrere di denaro e favori, sia stato una realtà, forse nemmeno Penati ha potuto negarlo. Per questo ha dovuto precisare anche il ruolo svolto dal suo ex braccio destro Vimercati, la cui figura finora è rimasta sempre sottotraccia, pur condividendo tutte le imputazioni di Penati.

E qualcosa di più ha detto anche sul ruolo di Pasini, candidato sindaco per il centrodestra nelle ultime elezioni comunali a Sesto San Giovanni ma rimasto silenzioso sulle tangenti che avrebbe versato a Penati (4 miliardi di lire, prima tranche di una somma complessiva di 20 miliardi) fino a quando non è stato chiamato in causa dal pirotecnico Di Caterina. Va aggiunto che sul pagamento dei 4 miliardi, presi in consegna da Di Caterina, è in corso una nuova rogatoria in Lussemburgo.

I pm hanno infatti scoperto che il debito contratto da Pasini con Banca Intesa, che si occupò dell'operazione anticipando i 4 miliardi sulla filiale lussemburghese, venne ripianato da un conto di Antonveneta Luxemburg di cui l'imprenditore dice di non sapere nulla. Un benefattore a sua insaputa, insomma. Chi si nasconde dietro questo nuovo conto? Mistero. Uno dei tanti che contribuiscono a rendere talvolta nebulosa la catena di accuse contro Penati.

Stesso discorso per la vicenda Serravalle: nessuna mazzetta da Gavio nè dal suo braccio destro Binasco, ha sostenuto il politico. Sebbene i magistrati gli abbiano contestato il fatto che la storia delle azioni pagate al gruppo di Tortona ben più del prezzo di mercato in nome del cosiddetto "premio di maggioranza", non stava in piedi.

Perché, ritiene l'accusa, Penati quando trattò l'acquisto di quel pacchetto azionario nel 2005, consentendo a Gavio una plusvalenza di 179 milioni di euro e alla Provincia di Milano la maggioranza assoluta, sapeva già che in realtà una parte di quel tesoretto avrebbe dovuto spartirlo con la nascente provincia di Monza-Brianza (istituita con una legge fin dal 2004 ma diventata operativa solo dal 2006), annullando perciò lo sbandierato controllo assoluto sull'autostrada e dunque il valore stratosferico delle azioni appena acquistate. Ciò nonostante, Penati ha negato su tutta la linea: nessuna tangente, nemmeno attraverso le consulenze al suo amico architetto Renato Sarno.

E se rimane il sospetto che il successivo acquisto da parte di Gavio per 50 milioni di euro di azioni Bnl deciso per favorire la scalata di Unipol, possa aver fatto parte di un accordo corruttivo a livello nazionale, dimostrarlo sarà molto difficile. Resta il famoso pagamento di 2 milioni di euro a Di Caterina attraverso il versamento di una caparra per l'acquisto, mai avvenuto, di un immobile.

Soldi versati da Bruno Binasco, amministratore delegato del gruppo Gavio, e certificati da una minacciosa e mail di Di Caterina che li qualificava come «anticipi» di ben altri pagamenti «per le notevoli somme già versate a Penati». Un finanziamento illecito, secondo i pm. Una fandonia di Di Caterina, secondo Penati.

 

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