
PER ELLY I REFERENDUM SONO L’OCCASIONE PERFETTA PER DISARMARE I RIFORMISTI DEM – ADERENDO ALLA BATTAGLIA REFERENDARIA DI MAURIZIO LANDINI, SCHLEIN CONQUISTA LO SCALPO IDEOLOGICO DEL JOBS ACT, CHE È STATO IL CUORE DELL’AZIONE RIFORMISTA CON CUI IL PD RAGGIUNSE IL 40% NEGLI ANNI DI MATTEO RENZI – PER L’EX MINISTRO DELRIO È “UNA BRUTALE OPERAZIONE DI ANNIENTAMENTO CHE MIRA A CONCLUDERSI CON IL CONGRESSO STRAORDINARIO”
Estratto dell’articolo di Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
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Elly Schlein ha già vinto i referendum senza dover aspettare il risultato. Perché a prescindere dalla percentuale dei votanti – che anche dentro la Cgil dicono «non raggiungerà il quorum» – ha scommesso sui quesiti referendari per normalizzare definitivamente il suo partito e spogliare i riformisti della loro identità.
[…] L’obiettivo di Schlein è ridefinire il profilo politico del partito per arrivare a una sua radicale mutazione genetica. Aderendo alla battaglia referendaria di Maurizio Landini, infatti, «Elly» conquista lo scalpo ideologico del Jobs act, che è stato il cuore dell’azione riformista con cui il Pd raggiunse il 40% negli anni di Matteo Renzi.
È un modo per mettere simbolicamente tra parentesi la revisione dell’articolo 18, che portò al superamento delle posizioni massimaliste a sinistra. È il «game over» di una stagione, per parafrasare un ragionamento del presidente del Copasir Lorenzo Guerini. «Una brutale operazione di annientamento che mira a concludersi con il congresso straordinario», secondo l’ex ministro Delrio.
Il fatto è che Schlein sta realizzando un disegno condotto con coerenza fin da quando militava nel movimento Occupy Pd. E ora che il Pd l’ha conquistato, nessuno può dire di non averla vista arrivare.
Semmai tra gli stessi riformisti c’è chi fa autocritica ricordando cos’è accaduto da quando «Elly» è diventata segretaria: un riferimento ai ripetuti tentativi di mediazione con la leader, «quella ricerca del minimo rischio che ci ha portati alla delegittimazione esistenziale».
Vedere il segretario del proprio partito che sconfessa un pezzo di storia del partito, dev’essere straniante per chi quella storia ha contribuito a realizzarla. È più doloroso di sapere che alle prossime elezioni saranno proposti una dozzina di seggi sicuri ai riformisti […]
referendum su jobs act e cittadinanza
Ecco qual è la valenza della scelta referendaria operata da Schlein, che non si cura nemmeno degli alti lai di cui avverte l’eco attraverso voci di ostili manovre centriste, tanto sofisticate quanto velleitarie: voci di presunte triangolazioni con pezzi di Forza Italia che sarebbero state benedette addirittura dal Vaticano e dalla famiglia Berlusconi, e di cui c’è traccia nei conciliaboli in Parlamento.
Lì dove si racconta che mesi fa gli eredi del Cavaliere avrebbero ricevuto Ernesto Ruffini, l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, oggi in odor di politica. Chissà se è (anche) per questo che la segretaria del Pd ha impresso un’accelerazione con i referendum.
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È difficile prevedere se queste manovre avvolgenti possano avere esito. È certo che il Pd ha già vissuto una stagione simile proprio negli anni del renzismo. Solo che allora la sinistra interna decise di andare allo scontro aperto, fino alla scissione: fu il costo pagato per piegare il leader dell’epoca, guarda caso grazie a un referendum. Quello sulla riforma costituzionale.
Si vedrà se Schlein indirà anzitempo le assise di partito, ma non c’è dubbio che la segretaria del Pd — aderendo al progetto della Cgil — ha di fatto aperto un congresso straordinario. E ritiene che, al di là della percentuale dei votanti, questa sia la strada per prepararsi alla sfida di palazzo Chigi, agganciando nell’alleanza Giuseppe Conte.
Proprio attorno al leader del M5S si attesta la nuova trincea degli avversari interni di Schlein. L’ex premier grillino la sta sfruttando accreditando le voci secondo le quali «nel Pd nutrono dei dubbi su Elly». Versione edulcorata di certi discorsi che esponenti dem gli hanno fatto, solleticandone l’ego: «...Perché tu hai esperienza di governo...».
È la prova del disorientamento nel Pd. L’altro giorno al Senato, dopo il question time della presidente del Consiglio, Dario Franceschini ha sorpreso un amico senatore con una confidenza: «Giorgia Meloni è stata abile e brava». Non era un endorsement per la leader della destra, era l’allerta per le condizioni in cui versa la sinistra.
dario franceschini (3)
REFERENDUM ABROGATIVI 8 E 9 GIUGNO 2025