ANCHE I GRILLINI, NEL LORO PICCOLO, PRIVATIZZANO! - PIZZAROTTI A PARMA, VUOLE FARE COME DORIA A GENOVA: VENDERE UNA QUOTA DELL’AZIENDA DI TRASPORTO PUBBLICO

Giuseppe Salvaggiulo per "la Stampa"

A Genova, l'altro giorno, Beppe Grillo ha partecipato alla manifestazione contro il piano del Comune che apriva la strada a una parziale privatizzazione dell'azienda dei trasporti. Ha incitato i tranvieri alla «lotta all'ultimo sangue» perché «qui si stanno svendendo tutto» ma si può lanciare «una battaglia comune, epocale da estendere a tutta l'Italia» perché «i trasporti sono un bene pubblico e nessuno deve arrogarsi il diritto di venderli ai privati».

Ma Parma, unico capoluogo amministrato dal Movimento 5 Stelle, il sindaco Pizzarotti, d'accordo col Pd, vende una quota dell'azienda di trasporto pubblico e affida la gestione ai privati..

L'azienda di Parma si chiama Tep (Tranvie elettriche parmensi) e gli azionisti, alla pari, sono Provincia (a guida Pd) e Comune (M5S). A differenza della genovese Amt, la Tep non è un carrozzone indebitato, ma una società sana e ricca. Dal 2001 chiude i bilanci in equilibrio, nonostante i tagli dei contributi pubblici, e sostiene il rinnovo ecologico del parco bus con l'autofinanziamento, caso raro nel panorama nazionale. Il bilancio 2012, il primo approvato come azionista dal Comune a guida M5S, si è chiuso con un utile record di 330 mila euro.

Nonostante questo, Pizzarotti conferma la strategia di Pd e Pdl. Nomina un nuovo presidente, Mirko Rubini, che insediandosi prende l'impegno di «completare senza traumi il percorso di vendita e privatizzazione».

E fa approvare dal Consiglio comunale l'affidamento ai privati della gestione del trasposto pubblico, con una gara (la seconda, visto che il primo tentativo nel 2011 era fallito) per vendere a un privato il 49 per cento del capitale della Tep alla cifra di 8 milioni di euro. Per allettare gli investitori, al privato viene garantita, sia pure da una posizione societaria di minoranza, la nomina dell'amministratore delegato.

Nel programma elettorale di Pizzarotti, a questa soluzione non si fa cenno. In Consiglio comunale, il Pd chiede di valutare l'altra opzione, quella classica della gestione «in house», ovvero la conservazione di una società di gestione interamente pubblica. Ma la giunta risponde che, per quanto prevista dalla legge, è di fatto impraticabile.

«Ci sarebbe piaciuta - spiega l'assessore alla Mobilità Gabriele Folli - ma una società pubblica entra nei vincoli del patto di stabilità, quindi crea più problemi di quanti ne risolva. In principio sono d'accordo con Grillo a non vendere, ma per farlo bisogna cambiare le leggi nazionali».

I sindacati parmensi contestano Pizzarotti con argomenti analoghi a quelli ascoltati negli ultimi giorni a Genova contro Doria: rischio svendita, servizio peggiore, timori occupazionali. E quando anche la seconda gara va deserta, parlano di «buco nell'acqua» per le centinaia di migliaia di euro sprecate per advisor «lautamente retribuiti».

Nicola Dall'Olio, capogruppo in Consiglio comunale del Pd favorevole all'affidamento ai privati, ne fa una questione politica «per il doppiopesismo del M5S: a Genova fa barricate contro l'ipotesi di privatizzare un'azienda fallimentare, a Parma privatizza un'azienda florida. Mi aspetto che Grillo venga a Parma a manifestare contro Pizzarotti».

Il contratto di servizio con la Tep, già prorogato tra una gara e l'altra, scade a dicembre. Provincia e Comune hanno poco tempo per prorogare la proroga e cercare una nuova soluzione. Una terza gara richiede un anno e non è priva di incognite: ha senso spendere altri soldi per un bando che probabilmente andrà deserto?

I privati non investono in un quadro incerto di finanza pubblica. Come spiega Marco Ponti, economista del Politecnico di Milano, «i biglietti coprono il 30% del costo del trasporto pubblico, il resto si paga con sussidi pubblici. Le tariffe sono le più basse d'Europa, gli stipendi i più alti. Il tranviere di un'azienda pubblica guadagna il 50% più di un collega in una privata. Gare di questo tipo sono una follia, non a caso gli anglosassoni non fanno mai società miste, perché può finire in due modi: o il privato capisce che la gestione resta politico-clientelare e scappa, come accaduto a Genova; oppure corrompe il socio pubblico e s'impossessa dell'azienda».

 

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