ENTRINO I CLOWN! - I CRUCCHI SONO SEMPRE I SOLITI STRONZI, MA ONESTAMENTE TOCCA RICONOSCERLO: L’ITALIA, NELLE ALTE SFERE, SI APPLICA PER ASSOMIGLIARE A UN CIRCO DA STRAPAZZO - I PAGLIACCI E LA PAGLIACCIATE, NEGLI ULTIMI ANNI, SI SPRECANO: DALLE GAG DI SILVIO A QUELLE DEI LEGHISTI E DI BERSANI - C’È POCO DA FARE: ABBIAMO UN’INSANA PASSIONE PER IL TRAGICOMICO…

Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"

La diplomazia prevede reazioni obbligate, per cui si capisce la fermezza con la quale il presidente Napolitano, in Germania, ha ottenuto rispetto dopo che il leader Spd si è detto «inorridito» per la vittoria in Italia di «due clown».

Detto questo, e anche apprezzato il pronto intervento di Giorgio Napolitano, occorre riconoscere che se mai esiste una figura che ha improntato di sé la vita pubblica nazionale in questo tempo buffo e sciagurato è proprio quella del pagliaccio, o del buffone, con rispetto parlando. E non uno o due soltanto, purtroppo, se ne sono visti all'opera, ma molti, anzi troppi per non dover ammettere che tale massiva e persistente abbondanza di clown non rivela essa stessa una grave patologia; e anche qualcosa che segnala un pericolo e al tempo stesso un castigo che sta arrivando, o che forse è appena arrivato.

Troppo facilmente, in Italia, si tende in effetti a dimenticare. Le barzellette presidenziali sui luoghi del terremoto, la visita di Gheddafi con tende e hostess, il provvido «invito» di capitan Schettino al cospetto di Domnica, la farsa della casa di Montecarlo, il congresso del movimento di Scilipoti, la mimica sguaiata e le pernacchie di Bossi, i colpi di sonno del presidente del Consiglio, anche alla messa di beatificazione di Papa Wojtyla, con tanto di cori e campane al momento dell'Alleluja.

Che Berlusconi sia un irresistibile gag-man e che Beppe Grillo provenga dal cabaret e abbia fatto soldi e carriera con le altrui risate è un fatto acclarato. Ma anche Bersani, benedett'uomo, ha duettato con Crozza e con la sosia di Marilyn, Maroni s'è trasformato di recente in un plausibile pupazzo da ventriloquo e perfino il professor Monti, già uomo della sobrietà, ha fatto lo spiritoso con la Geppy Cucciari e mostrato allegramente ai fotografi un pupazzetto di Pulcinella - senza peraltro che la maschera procurasse poi tutti questi voti.

E comunque. Ha fatto bene all'Italia, tutto questo, con l'aria che tira, la crisi, il buio, il caos? O magari c'è una qualche inconfessabile corrispondenza tra le buffonate e i disastri?

C'è da ridere e da rabbrividire ripensando all'interminabile elenco di clownerie andate in scena nel cuore del potere, una molla comica e dissennata che vibra ormai negli annali audiovisivi della Seconda Repubblica: il patto dei rigatoni sotto Montecitorio, Calderoli che brucia le leggi con il lanciafiamme, Topo Gigio che fa il solletico al ministro della Salute nella sala stampa di Palazzo Chigi, il toga-party dei maiali, le giacche e il «for-maglione» di Formigoni, le cravatte, le ghette e il bastone da passeggio di Oscar Giannino, il tragico tiro alla fune dei leghisti sul Ticino (con corda spezzata e feriti), gli sms di Sara Tommasi, il burlesque e le intercettazioni delle olgettine, sul ruolo delle quali senz'altro merita qui ricordare una preziosa valutazione del ministro Rotondi: «Senta, ha presente quando si chiamano i clown per animare le feste dei bambini? Ecco, in qualche modo le ragazze svolgono questa funzione».

Ecco, sì. Ma intanto sono anni che i giornali stranieri inzuppano il pane in questa umoristica brodaglia. Italiani pagliacci, non c'è scampo. Mentre i grandi comici rivendicano una loro superiorità sui comici improvvisati, e in questo senso vale ricordare un fantastico testo di Dario sul Berlusconi infojato: «Insomma, senz'accorgersene, il nostro presidente del consiglio si sta trasformando in un clown da circo.

Per apparire un autentico pagliaccio gli basterebbe agire con quella sua pompetta anche a vantaggio della moquette cranica: e, quando è in grande eccitazione, fare in modo che pompando il suo coperchietto capelluto, questo si sollevasse fino a volargli intorno come un'aureola». Si ride, infatti, e si ride, ma in questa specie di sogno selvaggio che ha preso prigioniera la vita italiana non si sta mai veramente allegri.

Al contrario. I dispositivi del comico, le scenette di politici, l'invasione di satira, il continuo ripetersi di episodi che sembrano tratti da un cinepanettone o da una farsa da Bagaglino, rivisti oggi, sembravano annunciare un destino che lascia sgomenti. Non solo la crisi economica, che già bastava, ma l'impossibilità algebrica di un governo che faccia scelte utili a contrastarla, il silenzio delle idee, il vuoto di speranze. Perfino Papa Ratzinger, in tempi non sospetti, ha finito per occuparsi di pagliacci.

Ha ricordato il direttore dell'Osservatore romano Vian «l'apologo del clown e del villaggio in fiamme narrato da Kierkegaard che Joseph Ratzinger aveva citato nella sua ‘Introduzione al cristianesimo' per descrivere la situazione di un teologo oggi: il circo che s'incendia, il clown mandato a chiamare aiuto al villaggio vicino e la gente che, dinanzi alle sue grida ride fino alle lacrime pensando ad un trucco per attrarre il pubblico. Finché le fiamme arrivano al villaggio».

E' il più triste apologo per descrivere come da parte degli uomini al potere far ridere la gente è molto pericoloso, la versione più elaborata di «al lupo al lupo». I pagliacci della sventura, i buffoni della catastrofe, le risate della sepoltura. Scrive Mussolini in una delle sue ultime lettere a Claretta: «Io sono stanco di fare il buffone. Io non sono che un ridicolo personaggio. Io sono un fantoccio grottesco». Spaventarsi è inutile, ma farci un pensierino conviene.

 

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