HA RAGIONE RENZIE! AMNISTIA E INDULTO NON SERVONO A UNA CIPPA. MEGLIO DEPENALIZZARE E RIFORMARE LA GIUSTIZIA - IL VERO SCANDALO E’ CHE LE NOSTRE GALERE SONO PIENE DI STRANIERI, TOSSICI, MALATI E DETENUTI IN ATTESA DI GIUDIZIO - LE MOSSE GIUSTE PER LIBERARE LE CARCERI

Francesco Bonazzi per Il Secolo XIX

L'offerta crea la propria domanda. Gli economisti la chiamano "Legge di Say" o teoria degli sbocchi. Fa danni da un paio di secoli e negli ultimi tempi è tornata di attualità perché sembra aver ispirato la crisi dei Subprime e tutto il peggio della finanza speculativa. Bene, se si guardano i numeri della consueta "emergenza carceri", e soprattutto se si analizzano le scelte politiche che l'hanno generata e che vengono riproposte anche in questi giorni per risolverla, viene da pensare che anche il sistema punitivo italiano sia governato dalla Legge di Say.

Sempre nuove celle e sempre nuovi reati, insieme al giochetto di introdurre aggravanti specifiche sull'allarme del momento (violenza negli stadi o sulle donne, protezione dei cantieri o "incidenti del sabato sera") finiscono per produrre sempre più detenuti. E svuotare ogni tanto le prigioni con un'amnistia o con un indulto, come i partiti stanno per fare ancora una volta, è come ripianare i debiti all'Alitalia ogni cinque anni. Tampona, ma non risolve.

In Italia, la parola "sovraffollamento" è quasi venuta a noia. Il nostro paese, in Europa, è al terzo posto dietro Serbia e Grecia, con un tasso del 47%. Il regolamento penitenziario prevede 47.615 posti letto, ma allo scorso 30 settembre avevamo ben 64.758 persone dietro le sbarre. Siamo ai limiti della tortura.

Questi primi numeri delimitano il problema, ma non lo spiegano. Quando si chiede a un bambino "chi va in prigione", la risposta di solito è "i delinquenti". Se si domanda chi sono questi "delinquenti", ci si sente dire che sono assassini, ladri, rapinatori e spacciatori.

L'ultimo rapporto "Space" del Consiglio d'Europa spiega che a fine 2011, nei 47 paesi membri, i reclusi con sentenza definitiva per omicidio erano il 12% del totale, quelli per furto semplice il 17,5% e quelli per furto aggravato un altro 12%. Mentre chi ha violato le leggi sulla droga (non solo lo spaccio) rappresentava il 17,5%. I bambini hanno dunque ragione. E come mix di reati, l'Italia è nella media europea.

Se invece ci si chiede chi c'è veramente in prigione, servono altre cifre. E crollano tutte le certezze. Dentro ci vanno solo i delinquenti matricolati? No, perché nelle prigioni italiche ci sono ben 24.600 detenuti in attesa di sentenza definitiva. Addirittura la metà di loro, per la precisione 12.333, aspetta ancora una sentenza di primo grado. Gli immigrati "vengono in Italia a commettere reati", come recita un luogo comune razzista?

Se si guardano le statistiche delle condanne si scopre che la propensione a delinquere non ha nazionalità. Ma se si guarda il passaporto di chi sta dietro le sbarre, gli stranieri sono 22.770: oltre un terzo del totale. Il detenuto medio è un duro tutto muscoli e tatuaggi? Tatuaggi forse sì, ma la salute è un'altra cosa. In carcere il consumo di psicofarmaci è altissimo e quello di metadone anche. Secondo il Sappe, il sindacato di Polizia penitenziaria, il 23% ha problemi di droga.

Dunque dentro queste celle da svuotare al più presto con amnistia o indulto perché "ce lo chiede l'Europa", abbiamo una gran massa di extracomunitari, tossicodipendenti, malati e incensurati in attesa di processo. Non possono votare, però la politica, ciclicamente, sembra tanto sensibile alla loro condizione.

Ma gli atti di clemenza come risposta al sovraffollamento servono? L'ultimo indulto, quello del 2006, prevedeva uno sconto di tre anni sulle pene detentive. Il numero dei detenuti crollò immediatamente da 61.264 a 39.005 unità, senza che si registrassero aumenti apprezzabili dei tassi di criminalità. Ma alla fine del 2009 nelle carceri della Penisola si accalcavano 64.791 persone. Il problema, allora, è strutturale.

"Il sistema non può fare a meno di produrre delinquenti", scriveva il filosofo Michel Foucault all'inizio degli anni Settanta. E proprio in quel periodo, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nel Vecchio Continente, schizzavano improvvisamente verso l'alto i tassi di carcerazione. Il nostro, oggi, non è particolarmente elevato. Ci aiutano ancora le ultime statistiche del Consiglio d'Europa, per le quali, ogni 100.000 abitanti, in Italia ci sono 110,7 detenuti.

La media Ue è un po' più alta e si attesta a quota 122,2. Per citare qualche stimata democrazia, in Olanda si fermano a 69,5. In Germania a 86,8. In Francia (111,3) e in Grecia (110,3) è come in Italia. In Inghilterra e Spagna siamo oltre quota 150. Se si guarda agli Usa, spesso citati come modello di efficienza carceraria, nel 2000 il tasso era arrivato a sfondare quota 700, con un picco di un milione e 615 mila detenuti raggiunto nel 2009.

Adesso, dopo tre anni di depenalizzazioni e incentivi vari alle pene alternative, ci sono 50 mila carcerati in meno. Ma è impossibile dimenticare che nel 1978, negli Usa, i reclusi erano solo 307.000. Un quinto di adesso.

Tutti questi numeri, a meno di avventurarsi in elucubrazioni razziste, suggeriscono alcune risposte. Da noi servirebbero 50 nuovi penitenziari da 400 posti, ma per il famoso "Piano carceri" non ci sono i soldi. Così si sono recuperati quasi 3 mila posti letto con le ristrutturazioni e forse si potrebbe arrivare ad altri 10 mila.

Ma la costruzione di nuovi penitenziari, anche affidandosi ai privati, tanto negli Usa quanto in Gran Bretagna non è bastata a soddisfare la crescente "domanda" di carcerati che sembrava arrivare dalla società. Anzi, secondo vari studi, a volte un eccesso di "offerta" punitiva, suggerito ai governanti di turno da un'opinione pubblica sempre più allarmata, avrebbe addirittura stimolato la domanda. Applicando la famigerata "Legge di Say", si potrebbe dire che la cella ha creato il detenuto.

Invece la depenalizzazione del consumo di droga, strada battuta non solo dall'Olanda, ma anche dal Portogallo, incide in modo deciso e duraturo sui tassi di carcerazione. La depenalizzazione di reati minori o controversi, come quello di clandestinità previsto dalla Bossi-Fini, impedisce che la prigione diventi una discarica sociale.

Il ricorso intensivo alla detenzione domiciliare o al lavoro diurno in strutture esterne, come ha fatto la Germania negli ultimi anni, favorisce il reinserimento del condannato nella società e abbatte i tassi di recidiva. Infine, una riforma della giustizia secondo canoni di minima efficienza ridurrebbe a livelli meno indecenti il fenomeno tutto italiano della maxi-carcerazione preventiva.

Queste riforme costano, si dirà, mentre un indulto no. Vero. Ma è solo una prova ulteriore che la differenza tra giustizia e clemenza è innanzitutto una questione di serietà.

 

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