INTER-CETTO LAQUALUNQUE - UN COMICO GENOVESE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO? NON È L’OROSCOPO DI GRILLO MA L’ULTIMO DI FILM DI ANTONIO ALBANESE CON PAOLO VILLAGGIO: “UN ANNO E MEZZO FA, QUANDO HO SCRITTO LA SCENEGGIATURA, NON AVREI MAI DETTO CHE DI UN COMICO A PALAZZO CHIGI SI SAREBBE PARLATO SERIAMENTE” - NEL PARLAMENTO “DI FANTASIA”, FURBETTI, EX GALEOTTI E FANATICI SECESSIONISTI…

Aldo Cazzullo per il "Corriere della Sera"

Nel film che Antonio Albanese sta girando a Roma, il presidente del Consiglio è un comico genovese. Ma non Beppe Grillo; Paolo Villaggio. «Tutto tutto niente niente» è un film sul tracollo della politica; non a caso Cetto Laqualunque, la maschera del politicante al soldo della mafia che in «Qualunquemente» diventava sindaco, ora entra in Parlamento, passando per la galera. In carcere, Cetto incontra altri due personaggi, impersonati sempre da Albanese: Rodolfo Villaretto, avventuriero lombardo-veneto; e Franco Stoppato detto «Frengo», spacciatore fatto arrestare dalla madre. Si ritroveranno tutti e tre a Montecitorio, da deputati.

«La realtà supera la fantasia. Un anno e mezzo fa, quando con Piero Guerrera abbiamo scritto la sceneggiatura, non avrei mai detto che di un comico a Palazzo Chigi si sarebbe parlato seriamente. Del resto, l'ultimo Oscar in Italia l'ha vinto un comico, l'ultimo Nobel pure...». Ma lei, Albanese, voterebbe Grillo?

«No. Né l'ho seguito molto: non vado su Internet, non sono in Rete; non ne ho bisogno e non ne ho il tempo, preferisco passeggiare in montagna o visitare un museo. Grillo mi pare una reazione, niente più. Come era una reazione la Lega. Però Grillo ha anche dei meriti: ad esempio ha dato voce a una rabbia che avrebbe potuto prendere derive estremiste e razziste, tipo i neonazisti in Grecia. Il suo linguaggio è un modo un po' troppo facile per denunciare, richiamare l'attenzione, aprire le coscienze. Ma il suo movimento può anche essere un'occasione. Vediamo intanto cosa succede a Parma».

Il film (che uscirà a Natale) non è girato a Montecitorio ma all'Eur. Il Palazzo della politica è ricostruito in forme metafisiche, quasi surreali, «a mostrare la vacuità del potere»; con Fabrizio Bentivoglio nel ruolo di un sottosegretario dal look inquietante, «tra Karl Lagerfeld e un personaggio di Batman» sorride Andrea Salerno di Fandango, la casa di produzione. «Qualunquemente» fu girato in una villa e tra arredi sequestrati alla mafia: un set espressionista.

«Allo stesso modo, la politica è andata oltre l'immaginazione - dice Albanese -. Pensi di girare un fumetto, e ti accorgi che hai fatto del neorealismo: una radiografia dell'Italia. L'immagine della Finocchiaro al supermarket che si fa spingere il carrello dalla scorta è devastante, pare uno spot dell'antipolitica. Ma non soltanto il Pd, tutti i partiti avrebbero bisogno di vivere in modo più umile, di riavvicinarsi alla gente. E un politico sconfitto deve cambiare mestiere. È incredibile vedere personaggi che hanno devastato il Paese economicamente e moralmente, e adesso pretendono ancora di dirci cosa fare e cosa non fare». Mario Monti come le sembra?

«Monti è un medico che ci sta medicando le ferite. E medicare le ferite fa un male terribile. Un governo di salvezza nazionale non può essere simpatico. Però ci sta facendo riacquistare credibilità: non credo che Obama avrebbe fatto aprire il G8 a casa sua, a Chicago, al predecessore di Monti. Anche il modo di affrontare il terremoto ha marcato una differenza di stile. Ora però il presidente del Consiglio deve trovare pure un modo diverso, ed efficace, di sistemare i terremotati».

Per Cetto Laqualunque sarà l'ultimo giro: «Conto di farlo morire presto. L'Italia merita di meglio». «Frengo» è un personaggio che risorge dopo quindici anni: il tifoso del Foggia di Zeman. «Nel film diventa uno spacciatore esiliato in Sud America, che la madre fa incarcerare in Italia per averlo vicino a sé e beatificarlo da vivo». Finirà anche lui a Montecitorio, accanto a un personaggio nuovo, Rodolfo Villaretto, deputato del Brenta, che saluta dicendo «un morsegon!» (risposta: «'na morsegada!»), vive nel paese immaginario di Brachetto e sogna una bretella Brachetto-Padova-Vienna, perché «noi siamo austriaci».

Racconta Albanese che per mettere a fuoco la maschera di «Olfo» Villaretto è tornato a girare il Lombardo-Veneto, come aveva fatto nel '97, quando preparava lo spettacolo teatrale «Giù al Nord», titolo poi ripreso da un film di successo («Non mi hanno neppure avvisato, ma va bene così»). «Il Lombardo-Veneto è la mia terra. Mio padre, siciliano, venne a Olginate, vicino a Lecco, a fare il muratore. È morto qualche mese fa. Al funerale c'era tutto il paese. Era un uomo orgoglioso del suo lavoro, mi indicava un muro e diceva: "Vedi quello? L'ho fatto io".

Mi ha insegnato la nobiltà dell'artigianato, del lavoro fatto con le mani. Il Nord è molto cambiato in questi 15 anni. Aziende enormi sono ridotte a fantasmi. Ne ho vista una in cui era rimasto l'industriale con un solo tornio e un solo operaio, il più anziano, ormai un parente che non aveva il coraggio di licenziare».

Eppure Albanese è convinto che l'Italia «abbia un grande avvenire. Siamo un Paese straordinario: la capitale della creatività, dell'estro, dell'arte, della cultura. Purtroppo i teatri sono tutti in crisi. Sono stato all'accademia di Brera, uno dei posti più belli del mondo, e ho trovato un profondo disagio. Questo è un grosso guaio pure per l'industria e per il lavoro, perché il boom economico nasceva anche dalla grande cultura teatrale e artistica degli Anni 60, dalla fantasia, dal talento, dalla capacità di improvvisare, di vedere le cose da un'altra parte».

E lei, dopo la morte di Cetto, cosa farà? «Ogni comico ha un'autonomia di 20, 25 anni, finché lo assiste il "duende", il folletto dell'ispirazione. È successo anche ai più grandi, come Totò e Sordi. Poi si cambia mestiere. Come ha fatto Benigni, che è sempre eccezionale. O come ha fatto Grillo».

 

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