CHE ROTTURA DI PD - SULL’ITALICUM LA MINORANZA PD FA LE BARRICATE: IN 100 PRONTI AL NO IN ASSEMBLEA - RENZI STOPPA I RIBELLI: “ORA SI DECIDE, NON È IL MONOPOLI” - SPERANZA MEDIA: IN GIOCO IL SUO POSTO DA PRESIDENTE DEI DEPUTATI DEM

Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”

 

bersani renzi bersani renzi

L’unità del Pd è appesa a un filo di ragnatela. E solo stasera, dopo l’assemblea del gruppo con il premier, si saprà se il partito miracolosamente regge o se la spaccatura è destinata a consolidarsi, con conseguenze imprevedibili. 
 

Roberto Speranza ha riunito i suoi deputati (un centinaio su 310 del gruppo parlamentare) e la decisione che ha compattato le inquiete anime della sinistra è votare no stasera in assemblea «se il premier non apre», per poi procedere in ordine sparso in Aula. Una posizione che tiene conto del timore di molti di essere finiti in un cul-de-sac e che Matteo Renzi ha presto stoppato, con un ultimo severo monito: «L’iter delle riforme costituzionali e dell’Italicum non è il Monopoli, non si può ricominciare e tornare a vicolo Corto. Ora si decide». 
 

BERSANI LETTA RENZI BERSANI LETTA RENZI

La giornata è stata scandita dallo scontro sulla fiducia, che Nico Stumpo definisce «un grave errore politico e istituzionale». Il premier la vuole per scongiurare trappole e imboscate, la minoranza si oppone. Sono ore angosciose, per la sinistra. «Se non votiamo l’Italicum, come potremo restare nel Pd?» sfoga la sua ansia alla buvette una deputata di Area riformista. E un bersaniano doc, accasciato su un divanetto: «Nessuno vuole la scissione, dove mai potremmo andare?». Umori di una sfida persa in partenza. E stasera è in agenda la resa dei conti. 
 

roberto speranzaroberto speranza

La determinazione del segretario sta lacerando la minoranza, divisa tra duri e dialoganti. Anche per questo Speranza, stretto com’è tra il ruolo di capogruppo e quello di leader di corrente, cercherà una mediazione fino all’ultimo. In gioco, oltre alla tenuta del Pd, c’è il suo posto di presidente dei deputati. Ieri ha incontrato Bersani e lo ha trovato, raccontano, fermo su posizioni di assoluta intransigenza.

 

Oggi Speranza vedrà Renzi, per dirgli faccia a faccia quel che ha scandito davanti ai suoi deputati: «Matteo, rotto il patto con Forza Italia la maggioranza si è ristretta e in Aula, senza un pezzo di Pd, potremmo avere problemi di numeri. Pensaci, perché stiamo rischiando una grave spaccatura». Un tentativo di mediazione che appare disperato e forse non lo è, perché Speranza offrirà al leader un accordo: mandare giù il rospo dell’Italicum, in cambio di un’apertura sulla riforma del Senato. Il problema è che una simile intesa sta bene ai dialoganti, ma è ritenuta inaccettabile da Bersani — fermo sul no a prescindere dalla fiducia — e dai suoi fedelissimi, pronti a votare i loro emendamenti. «Parlo al gruppo e se non ci sono novità, so già cosa dire» tiene il punto l’ex segretario, convinto che «il combinato disposto tra legge elettorale e Senato non è commestibile» e che il peso di una eventuale rottura ricadrà sulle spalle di Renzi . 
 

roberto speranzaroberto speranza

Il bersaniano Alfredo D’Attorre non vuole votare una legge che «introduce l’elezione diretta del premier» e contesta che si possa invocare la disciplina di partito quando si sta introducendo «una modifica di sistema». E Pippo Civati non si stanca di ripetere il suo no. 
A sinistra sospettano che Renzi punti a separare gli «scissionisti» dai dialoganti, per garantirsi i voti. L’arma è la cosiddetta «pistola carica» delle urne anticipate, espressione che fa venire i brividi a Gianni Cuperlo: «Bisognerebbe smetterla di minacciare pistole e scendere tutti dal ring». E poi, parlando con altri deputati: «Spero non mettano la fiducia, perché dopo un tale strappo la legislatura è finita». 
 

ALFREDO D'ATTORREALFREDO D'ATTORRE

Se il governo porrà la fiducia, correndo il rischio che venga a mancare il numero legale, tutti o quasi la voteranno. Ma cosa accadrà quando si tratterà di dire sì alla legge? Per Damiano, Epifani, Stumpo, Zoggia e molti altri sarebbe pressoché impossibile votare il provvedimento se c’è la fiducia, il che poi renderebbe difficile ai dissidenti sentirsi a casa nel Pd. Un tema che si annulla se i partiti di opposizione chiederanno il voto segreto: passaggio insidioso, che potrebbe unire tutte le forze che lavorano per affossare Renzi. 

bersani renzi bersani renzi

 

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