SALTANO I TAPPI DEL “DIVO”: IL GENERALE DEI SERVIZI MALETTI RICHIAMATO IN ITALIA DOPO LA MORTE DI ANDREOTTI

Gianni Barbacetto e Andrea Sceresini per il "Fatto quotidiano"

Che strano. Per 17 anni il generale dei servizi segreti Gian Adelio Maletti è rimasto tranquillo nel suo "esilio" a Johannesburg, in Sudafrica. Proprio la notte dopo la morte di Giulio Andreotti, la giustizia italiana si è ricordata di lui e gli ha finalmente notificato l'ordine di esecuzione pena, per una condanna a 14 anni diventata definitiva quasi due decenni fa, nel 1996. Da oggi, Maletti è ufficialmente latitante.

"Con Andreotti mi sono sempre scontrato", racconta al telefono il generale. "Ho sempre detto: finché è vivo, in Italia non mi fanno tornare. Se anche dovessi presentarmi volontariamente alla frontiera, mi caccerebbero via a calci". La sera del 7 maggio, il giorno dopo la scomparsa del Divo Giulio, una squadra di cinque poliziotti lo va invece a cercare al suo indirizzo romano. "È la casa di mia figlia. Lo sanno tutti che io da anni vivo in Sudafrica. Sono stati letteralmente gettati fuori casa da mio genero che ha detto che non poteva tollerare l'invasione di un'abitazione privata e che io vivo a Johannesburg, non a Roma".

IL SID E LA FAIDA TRA L'ALA "AMERICANA" E QUELLA "FILO-ARABA"
Gian Adelio Maletti arriva al comando dell'ufficio D (il controspionaggio) del Sid (il servizio segreto militare), un paio d'anni dopo la strage di piazza Fontana. Appartiene all'ala dei servizi vicina agli americani e agli israeliani. Entra subito in contrasto con l'ala filo-araba e con Andreotti, che di quell'ala è il punto di riferimento politico. Il dossier più scottante che gestisce è quello su piazza Fontana, naturalmente: depista l'inchiesta giudiziaria - secondo quanto dice una sentenza definitiva - facendo fuggire all'estero alcuni indagati (Giovanni Ventura, Guido Giannettini, Marco Pozzan).

Nel 1981 il suo nome viene trovato negli elenchi della loggia P2. Processato, è uno dei pochissimi che esce dal dibattimento P2 con una condanna: a 14 anni, non per l'appartenenza alla loggia segreta di Licio Gelli, ma per rivelazione di segreti di Stato e sottrazione di atti e documenti concernenti la sicurezza dello Stato. Gli viene contestato di aver fatto uscire dagli archivi dei servizi un dossier, chiamato Mi.Fo.Biali: conteneva la storia segreta di deviazioni istituzionali e ruberie di Stato attorno all'enorme business del petrolio comprato dalla Libia.

Qualcosa di quelle ruberie viene alla luce anni dopo, quando i vertici (andreottiani) della Guardia di finanza sono coinvolti nello "scandalo dei petroli". Nella vicenda, scrivono i giudici, "è evidente l'interesse di Giulio Andreotti, che nella sua qualità di ministro della Difesa aveva autorizzato lo spionaggio politico utilizzando mezzi illegali".

Il dossier è formato dal Sid nel 1974-75. Negli anni seguenti esce dagli archivi del Nod (una struttura del servizio) e invece di approdare nelle cassaforti di Forte Braschi, sede del Sid, plana sulla scrivania del giornalista Mino Pecorelli, che lo pubblica in parte sul suo giornale, Op. Maletti viene condannato in primo grado nel 1994.

La sentenza diventa definitiva nel 1996. Il difensore del generale, l'avvocato Michele Gentiloni Silverj, tenta di ottenere la revisione del processo dopo che un ufficiale dei servizi, il colonnello Antonio Viezzer, rivela di essere stato lui a dare il dossier al mitico capitano Antonio Labruna, che poi lo passa a Pecorelli. Revisione respinta , perché restava intatta la catena di comando: sopra Labruna e Viezzer, c'era il capo dell'ufficio D, il generale Maletti.

"Ma quella condanna definitiva del 1996 non è mai stata eseguita", dice oggi l'avvocato Gentiloni. "Si svegliano adesso, 17 anni dopo. In una vita di avvocatura penale, non avevo mai visto una cosa simile". Dal Sudafrica, il vecchio generale (ha compiuto 92 anni) negli ultimi tempi ha fatto due volte capolino nei processi italiani:in quello di Milano su piazza Fontana (in cui era imputato e da cui è uscito assolto); e in quello di Brescia sulla strage di piazza della Loggia (in cui era teste).

Ora sa di non avere più nulla da perdere. Alla sua età difficilmente sarà rinchiuso in una cella. È l'ultimo testimone vivente di una stagione che nasce in piazza Fontana e si chiude con la scoperta degli elenchi P2 e poi di Gladio. Adesso che Andreotti non c'è più, è saltato l'estremo tappo politico su quella stagione. Se Maletti decidesse di parlare, potremmo riscrivere la storia d'Italia dagli anni Settanta ai Novanta.

"La grazia? Il senatore disse: meglio che resti a Johannesburg"
"Sì, Andreotti non amava il mio assistito", racconta l'avvocato Gentiloni. "Quando provammo a chiedere la grazia al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per farlo tornare in Italia, domandammo un sostegno ad alcune personalità. Io chiesi anche ad Andreotti che, gentilissimo, mi rispose: ‘Avvocato, per me il generale sta bene in Sudafrica'".

A leggere l'ordine di esecuzione della pena, firmato dal pubblico ministero di Roma Nicola Maiorano, si scopre che la pena da scontare, dopo condoni e indulti, resta di sei anni. Il pm ordina "di procedere all'arresto e alla traduzione del condannato presso l'istituto di detenzione più vicino". La data in calce è 18 marzo 2013, dunque prima della morte di Andreotti. Ma comunque 17 anni dopo la sentenza.

"Eipoliziottisisonomossipropriolaseradopoche Giulio se n'è andato da questo mondo, portando con sé i suoi tanti segreti. Ora spero che i suoi archivi e i suoi diari vengano resi pubblici", sillaba Maletti. "Guardi, io sono convinto che un archivio ci sia. Esiste, non c'è dubbio. Non so dove possa essere e che cosa contenga, anche se immagino che si tratti di un contenuto molto interessante.

Andreotti sapeva tutto e aveva certamente informatori in Italia, in Vaticano e in ambienti internazionali. Alcune cose sono state forse ibernate, a causa dell'esistenza in vita di Andreotti. Adesso che è morto, potrebbero essere scongelate. Non dubito che si sia costituito un archivio privato, come giustificano il carattere e la lunga carriera dell'uomo. È forse lì che potrebbero trovarsi nuovi importanti elementi o informazioni. Ma chi oggi ha interesse a cercarli e soprattutto la facoltà di farlo? E poi, se quelle carte esistono, dove saranno finite? A ogni modo, mi creda: qualche cosa verrà fuori, non c'è dubbio".

 

GIULIO ANDREOTTI E ANNA MAGNANI GIULIO ANDREOTTI E ANNA MAGNANI TOTTI E ANDREOTTIMino PecorelliPecorelli

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