roberto saviano

“PHILIP ROTH MI DISSE: NON INVIDIEREI MAI UNA VITA DI MERDA COME LA TUA” – ROBERTO SAVIANO SI CONFESSA AD ALDO CAZZULLO – “HO PENSATO AL SUICIDIO. L’AMORE MI MANCA. VIVO RECLUSO, HO CONTINUE CRISI DI PANICO, IL PENTITO CARMINE SCHIAVONE MI DISSE: “IL NOSTRO DESTINO È LO STESSO. NON CI PERDONERANNO MAI" – "LE ACCUSE DI ESSERE UN PERSEGUITATO DI PROFESSIONE? L’ALTRO GIORNO UNA SIGNORA MI HA VISTO DA SOLO: “NON HAI LA SCORTA, VISTO CHE ERA TUTTO UNA CAZZATA?”. MI ACCUSANO DI ESSERE ANCORA VIVO - HO VISTO RUSHDIE PIÙ SOLLEVATO DOPO L’ATTENTATO: NON POSSONO PIÙ DIRGLI CHE LA FATWA FOSSE TUTTA UNA MESSINSCENA – GLI INSULTI ALLA MELONI E LA RISPOSTA A CHI LO ACCUSA DI AVER SPUTTANATO NAPOLI: "SE L’HO SPUTTANATA, PERCHÉ DA TUTTO IL MONDO CI VOGLIONO VENIRE?” (NON PER TE, ROBERTI’…) – IL LIBRO

Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera - Estratti

roberto saviano 45

 

Roberto Saviano, cosa ci faceva ai funerali di papa Francesco?

«Ero stato ai funerali di Wojtyla, da giovane cronista. Seguivo il percorso della vendita dei panini, organizzata dal clan».

 

I panini dei funerali di Wojtyla venduti dalla camorra?

«Così andò».

 

E stavolta?

«Il sagrato pareva un posto scomodo per le autorità. Il legno di Francesco voleva essere toccato non da persone di potere. È stato sepolto dagli ultimi, per sua volontà».

 

Ha conosciuto il Papa?

«Ho avuto con lui vicinanze e prossimità sull’immigrazione. Con Michela Murgia andammo nella Cappella Sistina. Un cardinale ci disse: resistere! Si riferiva alla difesa dei migranti in mare. Papa Francesco ha messo il suo corpo su un tema che non ha mai portato consenso in questi anni».

 

Crede in Dio?

«Sono un ateo convinto, attratto dalla spiritualità. Il Vangelo è un meraviglioso capolavoro letterario, la Torah continua fonte di interrogazione. Sono un ateo che bazzica le strade dello spirito. Nei momenti più difficili della mia vita, come questo, non ho trovato soccorso in un dio, ma nelle pagine dei testi sacri, in cui riconosco l’uomo meglio che in qualsiasi altro».

roberto saviano

 

Perché è un momento difficile?

«Ho la sensazione di aver sbagliato tutto».

 

Quando l’ha provata?

«L’altro giorno, ai funerali di mia zia Silvana, che per me è stata la seconda madre. Non erano nemmeno funerali: non c’era nessuno. I miei vivevano a Caserta. Fin dal 2006 se ne sono dovuti andare nel Nord Italia, anche per mia responsabilità. Sradicati. Non sono riusciti ad aprirsi e si sono isolati. La mia scelta l’hanno pagata altri. Io ne ho fatto attività, impegno. La mia famiglia ha solo pagato. Ha dovuto fronteggiare le insinuazioni: loro figlio, loro nipote aveva diffamato la sua terra…».

 

Si sente in colpa?

«Sì. A un certo punto della mia vita pensavo di aver fatto qualcosa di talmente determinante, che mi sentivo diverso da tutti gli altri scrittori. Avevo un’ambizione ancora più delirante: non solo affermare il libro; accendere la luce sulle cose, mostrare la verità. Dare superpoteri ai lettori. Far vedere quello che la cronaca non ti mostra o ti mostra a pezzi. Avevo un’ossessione: con i libri, cambiare la realtà. Ci sono riuscito? Ricorda Simon Weil? “Grande sventura sarebbe morire impotenti non solo a vincere ma anche a comprendere”. Ecco, io credo che sono riuscito a far comprendere».

 

roberto saviano cover

In che modo?

«Quelli che mi accusano di aver sputtanato Napoli, dovrebbero riflettere: se l’ho sputtanata, perché da tutto il mondo ci vogliono venire? Io su Napoli ho acceso una luce. E con la luce il cambiamento è possibile. È esplosa la vita. Ma questo a me impone un prezzo altissimo».

 

Quale?

«Io esisto per quello che rappresento, non per quello che sono. La cosa peggiore che può succedere a uno scrittore è diventare un simbolo. Diventi di sasso. Sono oppresso da un senso di solitudine, che nasce da una cosa molto grave: l’impossibilità di sbagliare. Se sei uno scrittore, devi sbagliare, devi contraddirti, devi vivere. La letteratura deve contrariare il lettore. Il lettore deve trovarmi in posizioni inaspettate».

 

Invece?

«Invece per anni ho lottato con una logica militare. Non volevo lasciare neppure uno spiraglio per far attaccare la mia battaglia. E questo mi è costato molto caro. In passato attaccare uno scrittore significava per il potere rischiare di sollevare un’immensa attenzione su di lui; oggi non più così. Oggi nella Turchia di Erdogan uno scrittore, Ahmet Altan, prende l’ergastolo, ma questo non accende alcun interesse sui suoi romanzi. Se le tue parole, quando perseguitate, non generano interesse, protezione, nemmeno curiosità, allora possono farti qualsiasi cosa».

 

Lei non è all’ergastolo.

«Vero. Ma vivo la mia situazione come se lo fossi. Vivo recluso, senza vederne la fine. 

 

 

fazio saviano

(…) L’altro giorno ho fatto sui social una storia sul gol del Bologna all’Inter, puntando il dito contro i dirigenti della curva più infiltrata dalla ’ndrangheta d’Italia. Ho avuto migliaia di attacchi».

 

Era prevedibile, no?

«Assolutamente sì, l’avevo fatto apposta. Conservo l’istinto a mettermi nei casini. Volevo far incazzare i tifosi, dopo che l’inchiesta “Doppia curva” ha dimostrato come la ’ndrangheta abbia federato le due curve di San Siro. Poi però sono dovuto andare a Milano per lavoro. I carabinieri della protezione erano nervosissimi. E mi sono detto: com’è possibile arrivare alla mia età con tutti questi guai, e non pensare che ti prendi un sacco di insulti, di orrore, di isolamento?».

 

Resta il fatto che viviamo in un Paese in cui lei è libero di esprimere la sua opinione.

«Certo. Gli intellettuali turchi, iraniani, russi che prendono posizione contro il potere non hanno una vita dignitosa e riparata. Se restano nei loro Paesi rinunciano alla loro vita. Ma questa cosa — rinunciare alla vita — è successa anche a me. Non credevo di pagare così tanto. Certo, pensavo di pagare un prezzo, ma non così a lungo. Ma pensavo di durare poco».

roberto saviano meloni

 

Credeva che l’avrebbero uccisa?

«Sì. Nel 2006 avevo ventisei anni. Ero convinto di non arrivare ai trenta, che mi avrebbero ammazzato nel giro di cinque anni. Non potevo immaginare che il processo a Francesco Bidognetti, detto Cicciotto di Mezzanotte, il boss che con il suo avvocato mi minacciò, sarebbe durato sedici anni. E ancora non è finito. A volte mi sento ridicolo. E mi chiedo: vivrò la vita così?».

 

Cosa le manca di più?

«La libertà di movimento, la clausura è un incubo; e lo è anche dover sempre mentire per difendere gli spazi privati. Le mie relazioni amichevoli e amorose sono compromesse da come io ho deciso di vivere la mia condizione.

 

Qualsiasi incontro lo devo fare in casa. Se esco, con cinque carabinieri di scorta, a volte sette, non sono certo invisibile. E la visibilità è la fine di ogni gesto intimo. La tensione, tra i processi e i casini vari, è così alta che chiunque abbia a che fare con me si sente in dovere di difendermi. E tutto questo è diventato pesantissimo.

Frequentarmi significa stare dalla mia parte, essere inserito nella mia bolla. La sera di Pasqua i miei parenti, i miei amici mi hanno tenuto compagnia fino alle 7 di sera. Poi sono usciti per Napoli, hanno fatto le 4 del mattino, e hanno fatto benissimo. Ma io sono dovuto restare a casa da solo. Simbolo della mia esistenza».

roberto saviano michela murgia

 

È così anche per l’amore?

«Soprattutto per l’amore. Quando voglio bene a una persona, quando una persona mi vuole bene, il rapporto è sabotato. Lei ti saluta, esce, e tu resti chiuso. E non è colpa di chi esce, anzi nessun sentimento sopravvive alla gabbia. E sarei un uomo di potere? Mi viene attribuito un potere che non ho».

 

Lei scrive. Influenza.

«Ma non sono un leader politico. Non ho il Parlamento a proteggermi. Non decido le carriere altrui. Non ho denaro da assegnare. E ho i cannoni dei politici puntati contro. Mi hanno portato in tribunale il capo del governo, il suo vice Salvini, il ministro Sangiuliano. Con Sangiuliano ho vinto, con la Meloni ho perso, con Salvini i processi sono in corso».

 

Lei insultò la Meloni.

«Volevo creare scandalo con quella parola. Definire le Ong taxi del mare per me era un’infamia, una crudeltà: chi è in mare va salvato. Sono stato condannato, ma vado fiero delle parole del giudice che come attenuante ha ricordato nella sentenza l’“alto valore morale delle critiche mosse”».

 

Il suo nuovo libro, «L’amore mio non muore», che Einaudi sta per pubblicare, ha in copertina una foto di donna.

roberto saviano tifoso del napoli

«È tutto quello che resta di Rossella Casini, fiorentina, scomparsa nel nulla il 21 febbraio 1981, a poco più di vent’anni, colpevole di essersi innamorata di Francesco, figlio di un boss calabrese, coinvolto in una faida. Una storia vera. Mi sto mettendo in un’altra situazione complicata. Come dopo Gomorra, verrò accusato: anziché il sole meraviglioso del Sud, stai raccontando l’ombra. Ma io voglio illuminare per poter trasformare».

 

(...)

 

Che rapporto aveva con Michela Murgia?

«La nostra amicizia mi ha donato vita. Michela allargava il campo visivo, tagliava i lacci ai sentimenti rendendoli degni, tutti. Citando Victor Hugo, non trovo più Michela dov’era, ma so che ovunque io vada è con me. Ho commesso un errore madornale: ci incontravamo spesso per soccorrerci, sostenerci in situazioni di emergenza, e mi sono perso l’aspetto ludico che Michela dava alla vita. Nel suo mondo queer, Michela ha portato avanti un percorso di liberazione. Il suo grande insegnamento non è il libertinismo, o la distruzione della famiglia tradizionale. È la possibilità di sentirsi nelle relazioni sempre liberi di scegliere; e ogni scelta d’amore ha il diritto d’essere riconosciuta e non subire stigma».

 

 

 

Come ha ricostruito la storia?

«Grazie alle carte giudiziarie, e al racconto del cugino. Rossella si innamora del figlio del boss. Lo cerca fisicamente, e lui resta sconcertato: ti insegnano che la donna si concede, non ti cerca. Ma l’amore non può mai essere un sentimento che media con le dinamiche di potere. L’amore è sempre dissidente».

 

Come si incontrano i protagonisti?

il post di roberto saviano contro gli ultras dell inter

«Lui, Francesco Frisina, ha l’unghia del mignolo lunga. Al Sud questo significa che non fai un lavoro manuale. Rossella lo trova bizzarro, stravagante. Lui fa a botte con i picchiatori fascisti che a una festa prendono di mira un amico di Rossella. Per amore lei arriva a citofonare a un boss della ’ndrangheta, ricercato dai nemici e dalla polizia, per chiedergli di fermare la faida. Il boss è sconvolto, non tanto dal gesto della ragazza, quanto dal fatto che lei crede a un sentimento che possa contrastare le regole.

Ma il capo non può fermarsi. Altrimenti perderebbe il potere».

 

Chi è Rossella?

«Una ragazza a metà tra una hippie e una Giovanna d’Arco. Naive, ingenua negli slanci; molto consapevole nelle scelte. Vede i cadaveri a terra, vede la faida, va a parlare con i giudici. Il libro ha tre finali. Rossella scompare e non ci sono colpevoli. Il clan viene assolto: ci sono le prove logiche, non gli elementi probatori. A Palmi raccontano che sia fuggita con un giapponese. In realtà, non sappiamo dove sia il suo corpo. Un pentito racconta che sia stata stuprata, smembrata e gettata in mare, in pasto ai pesci. Associare il corpo a una terra di sepoltura avrebbe creato un problema».

 

Ora c’è il libro. E la foto.

«L’ha ritrovata una giornalista. È la foto del suo libretto universitario. La sera prima di scomparire, Rossella aveva telefonato al padre: qui è tutto finito, torno a casa. È la storia d’amore più incredibile che abbia mai incontrato. Come dice Corrado Alvaro, al Sud l’amore ti arriva addosso come un acquazzone d’agosto, come un destino».

 

L’amore le manca?

roberto saviano commenta il saluto romano di elon musk

«Mi manca la possibilità di vivere la libertà che l’amore richiede. Capisco cosa prova il gorilla rinchiuso, la tigre nella gabbia: hai la sicurezza assicurata, ma la vita reclusa ha sempre un solo odore. La frase peggiore che chi vive così possa ascoltare è “stare con te non da più leggerezza, è pesantezza”».

 

Come ha pensato di uscirne?

«A volte penso che dovrei mutare vita e rinunciare alla protezione. Ma non è una cosa che dipende solo da me. Salvini dice: gli toglieremo la scorta. Mi ha messo in una situazione assurda: come se la scorta fosse un merito, un premio. Ma ci sono persone terribili che vengono scortate. L’altro giorno per prendere un aereo sono salito su un bus da solo, e una signora mi ha apostrofato: “Non hai la scorta, visto che era tutto una cazzata?”. Finisce per diventare la caratteristica che ti definisce: Roberto Baggio ha il codino, Giovanni del mitico trio Aldo Giovanni e Giacomo ha i baffi, e Saviano ha la scorta. Mi chiedo: quando ne uscirò?».

 

La accusano di essere un perseguitato di professione.

«E il fatto che continui a vivere viene letto come la negazione del pericolo: “Ma come, non dovevi morire ammazzato?”. Con Salman Rushdie sono amico da molti anni. L’ho visto a Torino e gli ho detto: lo sai che dopo l’attentato ti vedo più leggero?».

 

insider roberto saviano 1

Rushdie ha ricevuto almeno quindici coltellate, ha perso un occhio.

«È vivo solo perché l’attentatore non sapeva tirare di coltello. Eppure ora Rushdie si sente sollevato: non possono più dirgli che la fatwa, la condanna a morte, fosse tutta una messinscena. Che dolore vedere che le lame nel suo corpo l’hanno riconciliato con la verità della sua condizione. Nessuno può ancora accusarlo di godere di un rischio inesistente mentre girava per i party di New York City».

 

Rushdie non aveva la scorta.

«È vero, e questo gli ha dato trent’anni di libertà. Poteva andare in giro, poteva scrivere di un altro argomento. Essere protetto significa anche essere ricattato dalla condizione in cui vivi. Come fare a uscirne è il mio pensiero costante. Soprattutto durante le crisi di panico».

 

Ha crisi di panico?

TWEET DI ROBERTO SAVIANO SULLA PEGGIORE RAI DI TUTTI I TEMPI CHE OSPITA IL SUO PROGRAMMA INSIDER

«Continue. Impossibile stare senza gocce. Le 5 del mattino sono il momento più difficile della giornata. Non respiri. Ti chiedi: e adesso? Dove vado? Mi sento schiacciato tra due forze. Una per cui rischio la vita; l’altra per cui non sono morto, e quindi è tutta una messinscena. La frase più stupida che sento è: “Se davvero volevano ucciderlo, l’avrebbero già fatto”. Da qui il pensiero ricorrente: la mia vita non finirà bene. Se non mi fanno del male, mi farò del male».

 

Ha pensato al suicidio?

«Sì. Come diceva Majakovskij: mi chiedo se non sarebbe meglio mettere il punto di una pallottola alla mia fine. Quante volte ho pensato: basta, la chiudo qui. Avevo anche deciso. La risposta del mio corpo fu una scarica di nervi. E sono crollato. Mi ero messo davanti allo specchio. E capii che la soluzione non era quella. Quando vivi tra caserme e armi, come me, puoi misurare davvero cosa significa impugnare una pistola e rivolgerla contro te stesso. Non l’ho fatto, ma da allora mi ripeto: da questa storia non ne esci».

 

Gli attacchi la pesano. Eppure è come se lei li cercasse.

«In tanti hanno criticato Salvini. Perché lui se l’è presa proprio con me? Perché la battaglia contro le mafie mi ha dato autorevolezza, anche a destra. Se scrivo “In mare non esistono taxi”, dalla parte dei migranti, mi comprano solo a sinistra. Ma quando scrivo di crimine, mi ascoltano anche dall’altra parte. E questo ai leader della destra dà fastidio».

 

roberto saviano

La accusano anche di subire il fascino della malavita. Come i trapper.

«Ma il linguaggio dei trapper è frutto della realtà che osservano. Li ascoltano perché li sentono autentici. Se non ti piacciono i trapper, devi cambiare la realtà, non cambiare il loro racconto. Al Sud ti crescono con l’idea: fotti tutti, perché tutti ti fotteranno. Anche io ci penso: da che parte della pistola sto? Dalla parte della canna o da quella della bocca? È una vita che ti rende peggiore. Ti dà un’immensa esperienza: incontri la Merkel, adesso il ministro degli Interni francese. Ma ti toglie la dolcezza, il sorriso, e pure l’equilibrio: se non c’è dolore, conflitto, allora non stai vedendo bene».

 

Che strada prenderà per uscirne?

«Dovrei sparire e basta; ma una parte di me pensa di dargliela vinta a tutti coloro che hanno cercato di fermarmi. Mi sento come quei reduci, che tornano dalla trincea e quello che sanno fare è solo sparare. Vorrei assumere un’altra identità. Mettermi in testa tutti i capelli possibili...».

 

Sparire?

roberto saviano

«Un me diverso, in giro per il mondo, pieno di capelli, con un altro nome. Ho preso la patente per la moto, ma non posso guidarla; l’ho fatto soltanto in Svizzera, l’estate scorsa, è stato bellissimo. Ora sto prendendo la patente da camionista. Sogno di fare come Erri De Luca, che partì per l’ex Jugoslavia in guerra, alla guida di un camion pieno di viveri».

 

Sente il peso dell’invidia?

«Una volta ho fatto un selfie con Philip Roth, che mi disse: non invidierei mai una vita di merda come la tua. Anche in America esiste l’invidia, certo. Ma l’americano dice: io voglio diventare come te. In Italia diciamo: tu devi cadere come me».

 

Vorrebbe essere dimenticato?

roberto saviano ai funerali di michela murgia 1

«Vorrei un’altra vita. Vorrei non sentire così forte di aver buttato questa che ho. Una volta incontrai il pentito Carmine Schiavone che svelò un piano contro di me. I carabinieri mi misero i microfoni addosso. Il boss mi disse: “Tu e io siamo uguali. Il nostro destino è lo stesso.

 

Non ci perdoneranno mai”. Mi diede un immenso fastidio un boss, un ex boss che diceva di me: “Io e te abbiamo lo stesso destino”. Non è così, comprendere il male non significa farne parte; ma se vedi l’abisso, poi l’abisso vede te.

 

philip roth

Schiavone mi disse proprio così: “Tu credi che si dimentichino di te? Ormai sei un simbolo”. E i simboli sono solo bersagli. Possono solo essere uguali a se stessi. Trasformare qualcuno in simbolo a vita significa condannarlo a deludere. Ogni cosa che farà, sarà sempre al di sotto di quello che a un simbolo viene chiesto» .

 

 

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