NON E’ UNA COSA SIRIA - L’ACCORDO PROPOSTO DA PUTIN DI CEDERE LE ARMI CHIMICHE ALL’ONU SALVA IL CULO A TUTTI, OBAMA IN PRIMIS

Federico Rampini per "La Repubblica"

Ora esiste il piano B per evitare la guerra. Di colpo lo scenario siriano si rimette in movimento. Si capisce che ne avevano parlato Obama e Putin ai margini del G20.

La soluzione c'è, per scongiurare in extremis l'intervento militare americano. Assad (che ancora di recente negava perfino di averle) deve consegnare tutte le armi chimiche a una forza internazionale sotto l'egida dell'Onu, che provvederà a custodirle e poi distruggerle.

Tutti hanno un vantaggio da ricavarne: Obama si salva dalla possibile bocciatura del Congresso; la Russia evita di perdere la faccia in un attacco missilistico Usa dal quale il suo alleato siriano non riuscirebbe a difendersi; Assad si risparmia l'esperienza dei missili Tomahawk sulle sue caserme e palazzi governativi. Infine l'Onu ritroverebbe un ruolo, dopo essere stata sferzata da Obama per la sua "paralisi". Diversi parlamentari americani in crisi di coscienza alla vigilia del voto, colgono con entusiasmo questa alternativa.
«Noi guarderemo con molta attenzione questa proposta russa».

L'apertura della Casa Bianca arriva alle 13.30 di Washington. È il vice-consigliere di Obama per la sicurezza nazionale, Tony Blinken, che parla soppesando le sue parole. «Sarebbe un successo - aggiunge - perché da 30 anni la comunità internazionale tenta invano di far firmare alla Siria le convenzioni contro le armi chimiche». Poco dopo reazioni analoghe vengono dal Dipartimento di Stato, e dalla sua ex dirigente Hillary Clinton.

Tutte le voci dell'Amministrazione Obama, o vicine a questo presidente, sono in sintonia: cauta apertura verso una proposta che può segnare la svolta. Guai però a fidarsi troppo presto di un personaggio come Assad. Sarebbe un errore marchiano togliergli la pressione di dosso proprio ora. Il dibattito al Congresso va avanti, ma in un contesto diverso: col piano B in mente. «È cominciata una grande partita a scacchi», è il primo commento sul sito del New York Times.

L'esito della partita, se gestita bene, potrebbe fermare i tamburi di guerra.
Non è un caso che la prima mossa esplicita avvenga a Londra. È in una conferenza stampa lunedì mattina nella capitale inglese, che il segretario di Stato Usa John Kerry per primo evoca la possibilità che la Siria eviti l'attacco militare consegnando tutti i suoi arsenali chimici. Kerry risponde a una domanda di giornalisti inglesi, e in effetti una simile proposta era stata avanzata proprio in ambienti britannici: dopo la sconfessione subita dal premier David Cameron nel suo dibattito parlamentare.

Alla chiusura del G20 venerdì un giornalista americano aveva tentato di "provocare" Obama su quest'ipotesi, ma il presidente aveva scelto di glissare sulla domanda. Ora si capisce perché. Con ogni probabilità il piano B fu l'oggetto del "misterioso" colloquio di mezz'ora tra Obama e Putin, avvenuto a San Pietroburgo in una cornice singolare. Dopo che Obama aveva cancellato (per protesta sul caso Snowden) la sua visita di Stato a Mosca, i rapporti tra i due leader sembravano in un gelo insormontabile.

Ma di colpo alla seconda giornata dei lavori del G20 (venerdì mattina) i due si erano appartati in un angolo del salone, mentre gli altri leader li osservavano da lontano. Seduti, dando le spalle al resto dei partecipanti, con gli interpreti e pochissimi consiglieri a fianco, si erano intrattenuti per 30 minuti. Nulla è trapelato da quel colloquio. È verosimile che sia spuntato lì il piano B.

Quarantotto ore dopo il G20, quando arriva quella frase di Kerry, le reazioni corrono veloci da una capitale all'altra. Un balletto sincronizzato, che non sembra il frutto dell'improvvisazione. Da Mosca reagisce il ministro degli Esteri Sergej Lavrov che fa sua quella proposta. Guarda caso, in quel momento Lavrov sta ricevendo il suo omologo siriano, Walid Muallem: che poco dopo accetta l'offerta russa. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha già bell'e pronta la sua dichiarazione. Stava proprio pensando a quello, pure lui: una risoluzione Onu che lo autorizzi a prendere in consegna le armi chimiche di Assad per distruggerle.

Significative sono le prime reazioni dal Congresso di Washington. Dove si gioca una partita ad alto rischio per Obama. L'ultimo sondaggio della Cnn dà il 55% di americani contrari all'intervento militare; la percentuale salirebbe addirittura al 70% nel caso di un voto negativo del Congresso. Tra i parlamentari il numero degli indecisi è altissimo, finora le argomentazioni di Obama non hanno fatto breccia. I suoi continuano a ripeterle: «Attenti al segnale che daremmo all'Iran, alla Corea del Nord, agli Hezbollah e a tutti i gruppi terroristici, se non puniamo chi usa armi chimiche contro i civili».

La Casa Bianca può anche sostenere che si allarga il fronte internazionale dei suoi sostenitori: altre 14 nazioni hanno aderito a quella dichiarazione sulla Siria che al G20 ebbe solo 11 firme (tra i firmatari più recenti compaiono la Germania, molti governi dell'Europa centro-orientale, gli Emirati Arabi Uniti). Ma al Congresso la conta delle intenzioni di voto resta problematica. Ora l'affacciarsi del piano B viene accolta con entusiasmo da un repubblicano alleato di Obama, il deputato Mike Rogers che presiede la commissione sui servizi.

«Il fatto che abbiamo costretto la Russia a muoversi, significa che il dibattito sull'intervento militare ha un effetto positivo». Sull'altra sponda due democratici pacifisti come i senatori Joe Manchin e Heidi Heitkamp si mettono subito a scrivere una versione modificata della risoluzione: nel loro emendamento c'è un ultimatum di 45 giorni alla Siria perché aderisca alle convenzioni contro le armi chimiche e si metta in regola con quelle norme.

Stasera Obama parla alla nazione, e il piano B può fornirgli un nuovo argomento: datemi il via libera per colpire Assad, lo userò come arma di pressione, se lui dovesse cedere sulle armi chimiche l'intervento militare non sarà più necessario.

 

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