A CIASCUNO LA SUA GIUSTIZIA - NEI VERBALI LA CUI PUBBLICAZIONE HA MANDATO SU TUTTE LE FURIE IL PM DI BARI PONTASSUGLIA CONTRO I PM DI NAPOLI, ANCHE UN CAPITOLO SUL “RALLENTAMENTO” DELLE INDAGINI DA PARTE DELLA GDF: “AVEVANO CAPITO CHE L’INCHIESTA DOVEVA ESSERE MESSA DA PARTE” - SCELSI AFFONDA LAUDATI: “DISSE CHE ERA AMICO DI ANGELINO ALFANO E CHE ERA NECESSARIO COSTITUIRE UN ORGANO CHE SOVRAINTENDESSE ALLE INDAGINI IN CORSO, IN PARTICOLARE A QUELLE SULLA VICENDA TARANTINI”...

Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

Sui rapporti tra Gianpaolo Tarantini e Silvio Berlusconi, dice il pubblico ministero titolare delle indagini, ci sarebbe ancora molto da scoprire. Ma le possibilità di arrivare a qualcosa di concreto attraverso l'ex imprenditore che procurava ragazze al premier sono molto scarse.

«In occasione della conclusione delle indagini sulle "escort" - ha spiegato il sostituto procuratore di Bari Eugenia Pontassuglia ai colleghi di Napoli e Lecce nell'interrogatorio di sabato scorso -, ma anche prima, noi tre codelegati ritenemmo che un filone rimasto poco esplorato era quello relativo ai rapporti tra Tarantini e Finmeccanica per il tramite dell'onorevole Berlusconi. Ci eravamo resi conto che aveva detto poco e che in astratto sarebbe stato utile interrogarlo di nuovo, ma in concreto, anche tenuto conto che Tarantini era assistito da un difensore dell'onorevole Berlusconi, si sarebbe rivelato un atto inutile».

E ancora: «Siamo rimasti convinti che buona parte dei rapporti tra Tarantini e l'onorevole Berlusconi non sono stati effettivamente dal primo esposti con completezza. D'altra parte, come ho detto, la presenza di avvocati notoriamente difensori dell'onorevole Berlusconi, scoraggiava qualsiasi tentativo in quella direzione. Avevamo l'intima convinzione che il rapporto tra Tarantini e Berlusconi non si fosse mai interrotto».

«UN'INDAGINE DA TENERE DA PARTE»
Sono dichiarazioni che rafforzano l'idea della «tutela» assicurata all'ex imprenditore dall'entourage del premier, così come il presupposto del ricatto ai danni di Berlusconi ipotizzato dagli inquirenti napoletani: patteggiamento della pena in cambio di soldi.

«Mi risulta - ha raccontato la Pontassuglia - che tra la fine di giugno e gli inizi di agosto di quest'anno, l'avvocato Quaranta aveva prospettato la possibilità, in relazione al filone "escort", di un patteggiamento da avanzare nell'interesse di Tarantini, ma solo a condizione che fosse fatto prima della formulazione da parte nostra dell'avviso di conclusione delle indagini. Era evidente che scopo del difensore era quello di evitare la discovery degli atti». E dunque la pubblicizzazione delle telefonate tra il premier e Tarantini.

La stessa magistrata svela alcuni retroscena dell'indagine durata due anni, come il tentativo di rallentamento in cui furono coinvolti i vertici investigativi locali della Guardia di finanza. Quando ci fu l'avvicendamento alla guida del nucleo di Polizia tributaria tra i colonnelli Quintavalle e D'Alfonso, il nuovo comandante elencò ai pm le deleghe ricevute nelle varie inchieste: «Non fece alcun riferimento a quella sulle "escort", e quando gliene chiedemmo la ragione egli disse: "Ma questa indagine non dovevamo tenerla un po' da parte"?, o espressione equivalente. Gli rispondemmo che nessuno di noi aveva dato quelle disposizione e Quintavalle replicò che così gli era sembrato di capire dalle informazioni che gli aveva passato D'Alfonso andandosene».

L'INSISTENZA SUL «COMPLOTTO»
La Pontassuglia parla pure del presunto complotto sul «caso D'Addario» orchestrato da ambienti vicini a Massimo D'Alema, attraverso la conoscenza tra Tarantini e l'imprenditore Roberto De Santis, amico del leader democratico; «ipotesi alla quale non credevo affatto e che poi ho riscontrato, attraverso la conoscenza degli atti d'indagine, poter essere esclusa», afferma la magistrata.

La quale ricorda un curioso episodio avvenuto durante un interrogatorio di Tarantini: l'indagato, «di sua iniziativa, aggiunse che comunque non c'era nessun complotto. Gli chiesi come mai parlasse di complotto e Tarantini, guardando interrogativamente l'avvocato Quaranta, gli chiese se non si trattasse di uno degli argomenti che gli erano stati indicati dal dottor Laudati come temi da approfondire. Fece riferimento a un foglietto sul quale l'avvocato Quaranta aveva annotato le indicazioni ricevute dal dottor Laudati, e che aveva consegnato a Tarantini. Mi pare di ricordare, ma non ne sono certa, che quest'ultimo tirò fuori dalla tasca un biglietto con degli appunti».

Per la gestione dell'inchiesta Tarantini-Berlusconi il procuratore di Bari, Antonio Laudati, è ora indagato dai suoi colleghi di Lecce che ipotizzano i reati di abuso d'ufficio, favoreggiamento e violenza privata. Soprattutto per ciò che ha detto un altro pm delegato all'indagine, Giuseppe Scelsi, ascoltato anche dal Consiglio superiore della magistratura, dove domani andrà Laudati. Al centro delle audizioni, i contrasti e le frizioni nella conduzione di un'indagine su cui c'era grande apprensione negli ambienti istituzionali.

Davanti ai magistrati di Napoli e Lecce, anche Scelsi ricorda di quando Tarantini «sbottò di smetterla con quelle continue richieste sul complotto mediatico-politico-giudiziario, facendo esplicito riferimento a ipotesi ricostruttive che nessuno di noi aveva in precedenza formulato»; stizzito, il pm uscì sbattendo la porta, «risentito per l'evidente intromissione da parte di altri nella programmazione degli argomenti da chiedere a Tarantini».

«AMICO DEL MINISTRO»
I rapporti tra Scelsi e Laudati non sono stati idilliaci, tutt'altro. Scelsi racconta che pochi giorni dopo le rivelazioni di Patrizia D'Addario - a giugno 2009, prima dell'insediamento ufficiale avvenuto a settembre - il procuratore nominato ma non ancora in carica arrivò in città e tenne una riunione con lui e gli investigatori della Finanza: «Fece un discorso molto chiaro, dicendo che era amico del ministro della Giustizia (Angelino Alfano, ndr), e che in virtù di quest'amicizia aveva garantito per me, così impedendo l'avvio dell'attività ispettiva sul mio operato (a proposito della fuga di notizie sul caso D'Addario, ndr).

Aggiunse che era stato mandato a Bari per conto del ministro della Giustizia, e che era necessario costituire un organo che sovraintendesse alle indagini in corso, in particolare a quelle sulla vicenda Tarantini».

A Laudati che gli aveva riferito i sospetti «romani» sul suo conto, collegati alla dichiarazioni di Massimo D'Alema sullo «scossone» in arrivo per il governo Berlusconi, Scelsi chiarì di essere totalmente estraneo alla fuga di notizie: «Io personalmente avevo avuto richieste di informazioni da parte dell'onorevole Alberto Maritati, vicino all'ambiente dell'onorevole D'Alema, e avevo categoricamente rifiutato di dare notizie, come tra l'altro risultava da alcune conversazioni intercettate sull'utenza di Roberto De Santis, persona assai vicina a D'Alema e suo compagno di barca».

Dalle stesse intercettazioni, aggiunge Scelsi, emergeva che Santis aveva chiesto a Maritati d'informarsi sulle perquisizioni fatte al suo amico Tarantini. E Tarantini ha spiegato di aver sollecitato lui De Santis a cercare notizie sull'indagine a suo carico. «Dalle conversazioni intercettate», conclude Scelsi, emerge pure «la risposta di Maritati che aveva riferito a De Santis dell'impossibilità di avere alcuna informazione, stante la mia costante chiusura».

«DOBBIAMO FERMARE TARANTINI»
L'ex titolare dell'indagine Tarantini-D'Addario riferisce pure che a luglio 2009, sempre prima del suo insediamento, gli telefonò Laudati: «Mi sollecitò a interrogare Tarantini dicendomi sostanzialmente che era disposto a collaborare e avrebbe riferito circostanze utili e suscettibili di approfondimenti».

Scelsi andò, ma «il risultato fu assolutamente deludente perché Tarantini non disse nulla di nuovo». Arrivato a Bari, a settembre, «Laudati mi chiamò e mi disse che bisognava "fermare" Tarantini perché si trattava di una mina vagante, ed era necessario controllarlo e controllare quello che avrebbe potuto dire, facendo riferimento al pericolo di inquinamento probatorio».

Tarantini fu arrestato, poi mandato agli arresti domiciliari e infine liberato. L'indagine proseguì con fasi alterne. Compresa quella in cui il terzo magistrato delegato, Angelillis, «prospettò l'ipotesi dell'impossibilità di configurare reati in materia di prostituzione. L'orientamento del collega corrispondeva a quello del procuratore Laudati».

 

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