ARGENTINA ALLA DERIVA - SE LA CORTE D’APPELLO USA NON RIBALTA LA RISOLUZIONE DEL GIUDICE GRIESA, LA KIRCHNER DOVRÀ RIFONDERE I FONDI SPECULATIVI USA PER IL DEFAULT 2001 E IL PAESE AFFONDA DI NUOVA - LA POLITICA PROTEZIONISTA DELLA ‘PRESIDENTA’ METTE IN FUGA GLI INVESTITORI ESTERI - AGLI ARGENTINI È VIETATO L’ACQUISTO LEGALE DI DOLLARI E ALLE AZIENDE STRANIERE DI PORTARE VIA I LORO GUADAGNI…

1- ARGENTINA: BOND; MINISTRO, RICORSO CONTRO SENTENZA GIUDICE USA PER MAGISTRATO, BUENOS AIRES DEVE RIMBORSARE FONDI SPECULATIVI...
(ANSA) - Il ministro dell'economia argentino, Hernan Lorenzino ha definito ''colonialismo giudiziario'' la risoluzione con cui il giudice di New York, Thomas Griesa ha specificato che l'Argentina deve rimborsare i fondi speculativi Usa in possesso di tango-bond in default, e reso noto che lunedi' il governo fara' ricorso alla Corte di Appello Usa. Nel corso di una conferenza stampa, il ministro si e' anche detto fiducioso sul fatto che ''la giustizia Usa si pronuncera' sulla questione in modo da non colpire ne' l'Argentina, ne' il sistema finanziario internazionale''.

A suo dire, infatti, la risoluzione di Griesa, che ha definito ''ingiusta'', potrebbe essere accampata anche in eventuali ''ristrutturazioni del debito sovrano di altri Paesi'', i cui nomi, ha precisato, '' si possono leggere tutti i giorni sui media mondiali''. Lorenzino ha anche sottolineato che il giudice ''non ha ordinato che devono essere pagati i fondi avvoltoi, ma ha presentato alla Corte d'Appello la sua proposta di rimborso, e la sua interpretazione in merito''.

Infine, il ministro, oltre a ribadire che il governo ''non scarta di ricorrere anche alla Corte Suprema Usa'', ha evidenziato che, poiche' Griesa ha fissato come termine il 15 novembre prossimo, il 2 novembre, come da programma, verra' fatto fronte alle scadenze di rimborso degli obbligazionisti (il 93% del totale) che hanno aderito alle ristrutturazioni dei bond in default del 2005 e del 2010.

2- BUENOS AIRES SPEGNE IL LUSSO LE GRIFFE IN FUGA DALLA CITTÀ...
Omero Ciai per "la Repubblica"

L'avenida Alvear, il luogo più glamour della capitale argentina, sta cambiando volto. Sui sette isolati della via nel cuore del quartiere di Recoleta, che i porteños paragonano alla Madison Avenue di Manhattan o alla Place Vendôme di Parigi, stanno chiudendo i negozi delle grandi firme della moda e dello shopping fashion. Dopo Armani, Escada e Louis Vuitton sarà presto la volta dell'atelier Montblanc, lussuoso locale quasi di fronte al gioiello barocco dell'avenida: l'hotel Alvear.

A far fuggire le firme del lusso dall'Argentina è la politica protezionistica del governo di Cristina Kirchner che mette forti limiti alle importazioni ma anche il cosiddetto "cepo cambiario", imposto un anno fa, che impedisce agli argentini l'acquisto legale di dollari e alle aziende straniere di portare fuori dal paese i loro guadagni. In pochi mesi griffe internazionali come Cartier, Versace, Calvin Klein, Ralph Lauren, Yves Saint Laurent e Kenzo hanno chiuso le loro filiali nel paese e molte altre aziende rischiano di farlo per le difficoltà ad importare i loro prodotti.

Questa settimana sui giornali la polemica è scoppiata quando si è saputo che i locali dell'ex negozio Escada, la casa di moda tedesca, lungo l'Alvear potrebbero essere rilevati dai Lin, una ricca famiglia cinese proprietaria di una rete di supermercati. L'idea di ritrovarsi con le zucchine e gli aranci al posto dei profumi e degli oggetti di lusso ha scatenato la furia dei facoltosi residenti della zona, già impegnati ad impedire quello che considerano un vero e proprio affronto per il loro viale preferito. Ma in realtà quello a cui stiamo assistendo è un vero e proprio cambio d'epoca che modificherà lo scenario di Buenos Aires.

Le grandi firme del lusso internazionale sbarcarono nella capitale argentina all'inizio degli anni ‘90, durante quella che si ricorda come la "festa menemista", dall'allora presidente Carlos Menem, che insieme al ministro dell'economia Domingo Cavallo, stabilì il famoso "uno a uno", ossia (e per decreto) il valore del peso pari a quello del dollaro. Furono gli anni della grande illusione, con la classe media argentina improvvisamente schizzata ad una capacità d'acquisto da primo mondo duramente pagata poi con la bancarotta del 2001.

All'epoca i turisti argentini in Florida erano soprannominati "Deme dos" (Me ne dia due) perché grazie ai pesos dollarizzati compravano doppio ogni prodotto, dai computer alle tv. La seconda fase segui la svalutazione dell'ultimo decennio quando Buenos Aires diventò la capitale latinoamericana dello shopping economico con frotte di brasiliani e messicani che venivano qui a rifarsi il guardaroba. Oggi non ci sono più nell'uno e nell'altro.

Con l'inflazione che ormai quest'anno sfiora il 30 percento anche il turismo si è molto ridotto. Buenos Aires è diventata carissima, e non solo per l'inflazione che toglie il sonno agli argentini. Il blocco nell'acquisto dei dollari ha creato un ampio mercato parallelo, in nero, nel quale la moneta Usa viene scambiata illegalmente ad un valore almeno un terzo maggiore rispetto a quello ufficiale e i prezzi tendono ad avvicinarsi al primo piuttosto che al secondo. Tanto che anche per il turista pagare con le carte di credito, al cambio meno conveniente del dollaro calmierato, è diventato piuttosto salato.

La politica delle misure antiimportazione è in mano ad un fedelissimo della presidenta Cristina Kirchner, il ministro per il commercio Guillermo Moreno. Un inflessibile che, è solo un esempio, sta bloccando l'ingresso di 30mila automobili nuove di marche straniere ferme in dogana e anche di migliaia di frigoriferi italiani. Ad alcuni nostri rappresentanti che sono andati a dialogare nel tentativo di sbloccare l'accesso dei frigoriferi, Moreno ha detto che lo consentirà solo quando «l'Argentina imparerà a prodursi da sola i pezzi di ricambio».

Quella in voga da qualche tempo alla Casa Rosada, dopo la nazionalizzazione dell'impresa petrolifera Ypf strappata dal governo di Cristina agli spagnoli della Repsol, è una riedizione della politica mercantilista e protezionistica degli anni Quaranta del secolo scorso. Un ritorno alle origini del peronismo. Consente al Paese di non avere squilibri nella bilancia dei pagamenti (si importa solo per un valore pari a quello che si esporta) ma sta creando numerosi problemi, qualcuno anche serio.

Ci sono difficoltà, ad esempio, per comprare alcuni medicinali, soprattutto quelli più recenti contro il cancro. Molti ospedali denunciano difficoltà nel reperire prodotti essenziali. Nei supermercati c'è poco olio d'oliva. Manca il toner per le stampanti. E via scarseggiando, fino alle proteste dei chirurghi plastici che non trovano gli impianti di silicone per gli interventi al seno (si importano dall'Europa) o i dentisti a corto di protesi.

 

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