QUALCUNO HA VISTO PALLARO? SE SILVIO STACCA LA SPINA I LETTIANI HANNO 30 POLTRONE DA OFFRIRE

1-LA MAGGIORANZA SILENZIOSA SPETTRO PER IL PDL
Fabio Martini per La Stampa

Nelle ultime ore, in Transatlantico, cominciano a chiamarla scherzosamente la «lotteria d' autunno». In attesa che Silvio Berlusconi decida il destino del governo, nel Palazzo cominciano a circolare (oltre ai sondaggi) numeri di tutti i tipi e un parlamentare del Pdl di "fascia A", racconta: «Se noi ce ne andiamo, si crea un vagone di posti a disposizione del nuovo governo: 5 da ministro, 16 da sottosegretario, 9 da presidenti di commissione. Totale, una lotteria da 30 poltrone!».

In queste ore la deterrenza di un altro governo e di una diversa maggioranza gioca e pesa come freno ad una crisi al buio. Certo, per un personaggio come Berlusconi, un Letta-bis o un Saccomanni-1 non sono spauracchi decisivi che possano paralizzarlo, ma sicuramente la possibile nascita di un altro governo, condiziona le mosse del Cavaliere.

Anche se metter su un altro governo non è impresa facile. Al Quirinale si guarda con diffidenza a maggioranze raccogliticce, casuali, incerte. Tra l'altro la "giurisprudenza" imposta da Napolitano durante le sue due Presidenze è univoca: ai premier o agli aspiranti premier dalla contabilità ballerina (Prodi nel 2007, Berlusconi nel 2011, Bersani nel 2013) sono stati chiesti numeri certi.

Con un'aggravante: per un'operazione politica al netto del Pdl, stavolta in Parlamento non c'è un trascinatore come Cossiga, in grado di catalizzare trasformismi e ambizioni su un progetto politico, come l'ex Capo dello Stato fece nel 1998 per favorire la nascita del governo D'Alema.

E al riguardo è interessante quanto dice Paolo Naccarato, per tanti anni braccio destro di Cossiga e oggi senatore nel gruppo di centrodestra Gal: «Vero, oggi non c'è un personaggio carismatico, ma per come è fatta la politica oggi sarebbe inimmaginabile anche un mercanteggiamento sotto banco, una trattativa preventiva. Se ci fosse una crisi, ci sarebbero molte sorprese e molte delusioni, si scoprirebbe tutto al momento della fiducia, perché molti passaggi sarebbero unilaterali, volontari, senza trattative. Certo, se ci fosse la crisi, ma io non ci credo, si scoprirebbe l'esistenza di una maggioranza silenziosa».

Efficace trovata semantica, quella della maggioranza silenziosa, anche se il Capo dello Stato, ha bisogno di una maggioranza chiara e non silenziosa. Ma indubbiamente Giorgio Napolitano non ha intenzione di mollare la presa in caso di crisi di governo. Il suo amico di una vita, Emanuele Macaluso, in una intervista a "la Repubblica", ha sostenuto che «Napolitano non scioglierà mai senza una riforma del Porcellum».

Naturalmente Macaluso non è il portavoce di Napolitano ma ne condivide lo spirito e dunque ne interpreta l'aspirazione a non chiudere la legislatura in caso di crisi di governo.

Ecco perché, in vista di una eventualissima nuova maggioranza, a palazzo Madama si moltiplicano le chiacchierate, i contatti informali che vedono protagonisti esponenti del Pd in prima linea il lettiano Francesco Russo - ma senza il carattere di una trattativa stringente. Anche se proprio questi contatti delineano i confini di una eventuale nuova maggioranza senza il Pdl.

I "contattati" appartegono a tre bacini: il gruppo del Pdl, dove da qualche giorno hanno manifestato il loro mal di pancia diversi senatori del Mezzogiorno: il gruppo di centrodestra Gal; il Cinque Stelle. È in questi tre gruppi che, nell'ora x della crisi, si attingerebbe per trovare i 10-15 senatori che servono per mettere in sicurezza un governo incaricato di fare la legge di stabilità e la riforma elettorale.

Al momento la "maggioranza ombra" parte da una quota di 150-152 senatori: i 108 del Pd, i 20 di Scelta civica, i 10 del gruppo «Per le autonomie», i cinque senatori a vita, i quattro fuoriusciti dal Cinque Stelle, più una manciata di parlamentari (Gal e Pdl) che hanno già fatto sapere di esser «disponibili». E quanto al presidente del Consiglio in carica resta in silenzio, come al solito fa saper di «essere fiducioso».


2-"NESSUN TRADIMENTO" MA IN SENATO S'ALLUNGA L'OMBRA DELLE TRATTATIVE

Mattia Feltri per La Stampa

Intanto che responsabili di partito, analisti e contabili vari sono alle prese con somme e sottrazioni per verificare la possibilità di nuove maggioranze, uno dei principali indiziati di tradimento - se non altro per pigrizia del cronista - si scagiona così: «Mi son de Rovigo e non mi intrigo».

La frase, di per sé notevole, assume un significato anche più interessante se si pensa che a pronunciarla è Antonio Razzi, uno dei Responsabili scilipotiani. «Ma senatore, lei è abruzzese...». «Eh lo so, ma è un proverbio, che ci posso fare?». Il problema del Senato, oggi, è che molti sono sospettabili. Chi darà una mano se Silvio Berlusconi decaduto facesse decadere il governo?

«Io no, io sono fedele a Berlusconi, che a differenza di Di Pietro mi saluta e mi rispetta», precisa Razzi. «Me lo chiedete ogni giorno voi giornalisti», dice Luigi Compagna, parlamentare del Pdl prestato al gruppo Autonomie e Libertà per fare numero.

Sembra di essere tornati a tempi d'oro - si fa per dire - della legislatura 2006-2008, quando la maggioranza che sosteneva il governo Prodi aveva un margine di un paio di senatori, compresi quelli a vita (e anche qui ci risiamo, con le quattro recenti nomine), e ogni giorno si cercava l'ormai mitologico Giovanni Pallaro, eletto in Argentina e considerato acquistabile per puro pregiudizio antropologico.

Non tirava una bella aria, allora, e oggi ne tira una migliore, ma appena appena. Ci si guarda attorno. Si rivede questo palazzo austero e questa istituzione solenne di nuovo raggiunti dal pettegolezzo svilente.

«È anche colpa del racconto che noi facciamo di noi stessi», dice Corradino Mineo, eletto con il Pd. È lui a tracciare le differenze: cinque anni fa ci furono migrazioni per il motivo non nobilissimo di buttare giù un esecutivo, stavolta ce ne saranno, se ce ne saranno, per metterne in piedi un altro che compia passi inderogabili.

Ed è sempre Mineo a rivestire a festa la questione: «Ci sono già adesso maggioranze più naturali che meritano di essere messe alla prova. Su alcuni temi, penso al femminicidio, si sono viste. Fra di noi, compresi alcuni del Pdl, ci sono vicinanze più di quanto dica la situazione di bipolarismo incancrenito che resiste a causa e in nome di Berlusconi».

Quindi niente fellonia, niente scouting, niente compravendita ma buona politica, finalmente. C'è chi la prende così e chi no, per esempio il socialista Lucio Barani, garofano all'occhiello, pidiellino: «Ma è logico che lo dicano: ci sono prove di maggioranza nuova già evidenti. In commissione giustizia il presidente Felice Casson ha espresso parere favorevole a tutti gli emendamenti dei cinque stelle e ha respinto i nostri, sebbene il mio fosse copiato pari pari (sulla responsabilità disciplinare dei magistrati, ndr) da un testo dell'Associazione nazionale magistrati».

Per completare il giro, e capire che cosa si respira lì dentro, c'è da sentire Maurizio Buccarella, grillino, vicepresidente della suddetta commissione e membro della giunta delle elezioni: «Io credo che nessuno dei nostri se ne andrà per prorogare la legislatura, e se dovesse succedere mi dispiacerà molto. Poi è normale che su alcune questioni si formino maggioranze alternative, ma noi ci siamo dati quattro regolette da cui non si deroga, e una è: niente alleanze».

Un bel groviglio di possibilità, tutte percorribili, tutte leggibili come vile cambio di maglia o gesto di responsabilità. Ma l'impressione diffusa è che le cose non siano così a buon punto, come dice Compagna: «Mi sembra molto presto per ragionare su prospettive che sono essenzialmente dei giornali. In genere chi vuole vendersi deve prima sapere a chi, e quale può essere il prezzo, e mi paiono due condizioni non attuali».

Certo, forse è così. O forse qualcuno sta avviando qualche preliminare indagine di mercato. Forse la tariffa è un dettaglio davanti all'idea di salvare la legislatura, e lo scranno e lo stipendio. Non ci crede Augusto Minzolini: «Ci vuole sempre una prospettiva politica, e in questo momento non ne esistono di tali da spingere alla diserzione, nemmeno fra i cinque stelle, direi».

«Io, se dovessi scommettere un soldo, lo scommetterei su Berlusconi che non fa cadere il governo, e lascia che vada avanti», dice Miguel Gotor del Pd. La seduta va a finire. I senatori conversano sulle poltrone, bevono il crodino alla buvette. Torna Razzi, uno che se ne intende: «È possibile che qualcosa si stia muovendo, che qualcuno pensi al futuro...». Ecco, non è nemmeno una questione di quarti di nobiltà, ma di futuro, di salvare il salvabile, anche di se stessi. Sergio Zavoli ascolta con espressione dolente: «No, no, non mi chieda nulla. Dovrei dire male del Senato, e non mi costringa a farlo. Non ancora».

 

 

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