LA SECONDA VOLTA SI E’ AMMOSCIATO ANCHE OBAMA - L’OMBRA DEL WATERGATE STA TORNANDO SU WASHINGTON

Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

Ormai i media americani se lo chiedono apertamente: l'ombra del Watergate sta tornando su Washington? La serie degli ultimi scandali, prima la manipolazione delle notizie sull'assalto al consolato di Bengasi, poi il fisco che prende di mira i gruppi politici conservatori.

E adesso il dipartimento della Giustizia che spia l'agenzia «Associated Press» fa barcollare l'amministrazione Obama. Ma quanto sapeva, il presidente, di tutto questo? Quanto è stato protagonista di manovre al limite della legalità, e quanto vittima di errori commessi dai suoi collaboratori?

Lo scandalo che travolse Richard Nixon cominciò con un furto commesso il 17 giugno del 1972 dentro all'edificio Watergate, dove si trovava la sede del Democratic National Committee. Cinque persone legate alla campagna per la rielezione del presidente avevano forzato la porta per cercare documenti e informazioni utili.

L'inchiesta su questo episodio, raccontata soprattutto dai giornalisti del Washington Post Bob Woodward e Carl Bernstein, rivelò una serie di comportamenti illeciti del capo della Casa Bianca, compreso l'ordine di usare l'Internal Revenue Service per perseguitare gli avversari politici. Due anni dopo, Nixon era storia.

I giornalisti conservatori hanno subito approfittato dei problemi di Obama per fare confronti. Karl Rove, ex consigliere di George Bush, ha accusato Hillary Clinton di aver nascosto la verità sull'assalto di Bengasi.

Il neocon Bill Kristol lo ha criticato, dicendo che Rove sta solo approfittando dello scandalo per raccogliere finanziamenti, ma la televisione «Abc» ha rivelato che la versione ufficiale dell'attacco era stata davvero manipolata dall'amministrazione, probabilmente per non riconoscere a pochi giorni dalle elezioni presidenziali di novembre che il governo non era riuscito a scoprire e fermare il complotto dei terroristi.

Sul fisco, che aveva preso di mira i gruppi conservatori del Tea Party, è andato all'attacco proprio il «Washington Post», e l'editorialista George Will ha scritto che non si è trattato solo di un comportamento non appropriato come ha detto il portavoce della Casa Bianca Carney - ma criminale.

Anche il «New York Times», accusato di proteggere Obama come tutti i giornali liberal, ha finito per pubblicare un editoriale in cui condanna il comportamento dell'Irs e chiede di usare lo stesso rigore nell'esame fiscale delle organizzazioni di sinistra. A tutto questo ora si è aggiunta la tegola del caso «AP», che sta spingendo anche i giornalisti liberal ad attaccare l'amministrazione. È la maledizione del secondo mandato?

Carl Bernstein ha detto tutti questi episodi sono deprecabili, ma non siamo davanti ad un nuovo Watergate, perché Nixon era a conoscenza e aveva ordinato le azioni illegali commesse dai suoi uomini, mentre nessuno ha ancora provato che Obama sapesse o avesse deciso gli atti contestati al suo governo. Anzi, i democratici sottolineano che Lois Lerner, direttrice del dipartimento dell'Irs convolto nello scandalo, era stata nominata dal presidente George Bush.

Le polemiche sono appena cominciate e la verità molto probabilmente verrà fuori, perché i repubblicani hanno la maggioranza alla Camera e quindi potranno condurre tutte le inchieste parlamentari che vorranno. Un conto, poi, è se si appurerà che Hillary Clinton ha frenato i collegamenti ad Al Qaeda nei rapporti usciti dopo Bengasi, e un altro se si proverà che Obama ha ordinato al fisco di perseguitare i suoi avversari.

Di sicuro, però, c'è un fatto: a Washington ormai non ci si misura più sui temi e sui problemi politici, ma quasi esclusivamente sulla capacità di demolire l'avversario. Obama è stato lento a reagire e forse ha peccato nella mancata supervisione dei suoi collaboratori. Anche se riuscirà ad allontanare l'ombra del Watergate, potrebbe essere costretto a passare il secondo mandato a difendersi, invece di realizzare il suo programma.

 

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