SOVIET DA LEGA-RE - LA RISSA AL CONGRESSO DI VARESE, TRA PUGNI, SCHIAFFI E URLA CONTRO BOSSI E IL “CANDIDATO UNICO” È STATA MOLTO PIÙ SERIA DI QUANTO RIPORTATO DAI GIORNALISTI (NON AMMESSI IN SALA) - IL PROBLEMA PER LA BASE SONO LA MOGLIE E GLI ALTRI BADANTI DEL ‘CERCHIO TRAGICO’ DEL SENATÙR, CHE VOGLIONO IMPORRE IL TROTA E SEGARE LE GAMBE AI COLONNELLI - MARONI NON VUOLE PASSARE PER IL TRADITORE CHE ACCOLTELLA IL SUO VECCHIO AMICO, MA ORMAI È TROPPO TARDI, I MARONIANI LO STANNO FACENDO PER LUI…

1- SOVIET DA LEGA-RE
Marco Bresolin per "la Stampa"

La tempesta c'è stata. Ma della quiete, il giorno dopo, nessuna traccia. Le ferite lasciate nella Lega dal congresso di Varese ancora sanguinano e domenica sera è arrivato anche uno striscione. Un dito nella piaga. Lo hanno esposto fuori dalla sede della segreteria provinciale, quella che ora Maurilio Canton dovrà guidare tra mille difficoltà. «Canton segretario di chi? Di nessuno!!!». Ieri mattina era già stato fatto sparire.

Quella nomina mascherata da elezione, con i delegati che non hanno avuto la possibilità di (non) votare il candidato unico scelto da Bossi, è dura da digerire per il popolo padano. Soprattutto per la corrente (maggioritaria) vicina a Maroni, che aspetta da tempo un segnale forte dal ministro. «Sono esterrefatta, è stata la morte della democrazia e della sovranità popolare».

A parlare è Sandra Maria Cane, detta Sandy, sindaco leghista afroamericano di Viggiù. Domenica c'era anche lei all'Atahotel di Varese e le mani le prudevano. «Ho visto partire qualche schiaffo ammette la maroniana ribelle -. Stavo per farlo pure io, ma fortunatamente sono riuscita a trattenermi perché temevo che la cosa potesse degenerare».

Ieri le è venuta una tentazione: «Volevo andare in Comune e rassegnare le dimissioni, ma poi gli amici mi hanno convinta ad andare avanti. Ma la Lega... non so. Domenica sono stati calpestati tutti i valori della Lega. Sono sconvolta, inorridita. Meno male che giovedì parto per le ferie». O meglio, aggiornamento professionale: «Vado nell'ex repubblica sovietica del Kirghizistan - dice con sconsolata ironia - almeno lì spero di trovare un po' di democrazia».

Leonardo Tarantino fino a quarantotto ore prima del congresso era il candidato «in quota Maroni», anche se poi si è ritirato. L'ex segretario prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: «C'è stato un momento di chiarimento - si sforza di dire nel tentativo di gettare acqua sul fuoco - anche se forse tutti i militanti dovrebbero capire le ragioni di chi la pensa diversamente. Il mio ritiro? L'ho fatto perché la cosa più importante è l'unità». E infatti, con un candidato unitario, è scoppiato il finimondo. «Evidentemente non è bastato - sospira - e questa è una cosa di cui i dirigenti dovranno prendere atto».

Donato Castiglioni, l'altro candidato che ha fatto «spontaneamente» un passo indietro, preferisce tenere la bocca chiusa. Ma un altro sindaco varesino, che supplica l'anonimato, spiega che «il nostro obiettivo era di far aprire gli occhi a Bossi. Forse non ci siamo riusciti nemmeno questa volta perché chissà cosa gli hanno raccontato. Ma c'erano tutti gli altri al congresso. Da Maroni in giù. E tutti hanno visto cosa è successo. Ora qualcosa dovrà pur succedere».

Che il Carroccio non goda di ottima salute lo ammette anche Francesco Speroni, capogruppo all'europarlamento: «Questa è una fase di turbolenza all'interno della Lega, ma chi era contro il candidato unico lo era solo perché non gradiva la persona, non la linea politica del partito». Quella linea politica che, spostandosi un po' più a Est, qualcuno ha varcato. «Alcune posizioni di Tosi - bacchetta Speroni sono al di fuori della linea del partito, come ad esempio quando appoggia certe posizioni centraliste. Tosi non è in linea con il pensiero della Lega, ma saranno altri organi a valutare la sua posizione».

Vietati i pensieri controcorrente anche a Radio Padania. Ieri diversi ascoltatori hanno provato ad accennare a Varese, ma sono stati subito stoppati dal conduttore Roberto Ortelli: «Quello che succede nei congressi, quello che succede tra i militanti non è oggetto di discussione». Forse se ne parlerà a Radio Kirghizistan.


2 - MA MARONI NON VUOLE "UCCIDERE" IL PADRE
TRA I LEADER LEGAME PIÙ FORTE DELLE PRESSIONI DELLA BASE
Michele Brambilla per "la Stampa"

Per essere più convincente, Reguzzoni aggiunge che «tra l'altro la stampa non era nemmeno presente». È un'aggiunta infelice che trasforma la smentita in una conferma. Certo che i giornalisti non c'erano: ma non c'erano perché i capataz della Lega non li avevano fatti entrare. E per quale ragione non li avevano fatti entrare, se non per il timore che vedessero l'invedibile, e cioè Bossi contestato a casa sua?

«Mi creda - ci confida un esponente leghista che domenica era in sala -, quello che hanno pubblicato i giornali non è enfatizzato, al contrario è riduttivo». Amministratori locali, militanti e semplici iscritti hanno urlato il loro dissenso contro un congresso provinciale che - alla faccia dell'autodeterminazione dei popoli - è sembrato degno di un Politburo. Bossi ne è rimasto sconvolto. Anche perché è stata una protesta spontanea, non organizzata: anzi l'ordine dei colonnelli dissidenti era quello di «non fare casino».

E così, la giornata di domenica scorsa potrebbe anche diventare storica. Primo, perché mai Bossi era stato contestato a Varese, cioè nella culla della Lega. Secondo perché la protesta, nonostante il niet imposto all'ingresso dei giornalisti, è diventata pubblica. Molti dissenzienti sono usciti allo scoperto, e così questa volta sarà più difficile parlare delle «solite balle della stampa». La spaccatura è ormai un fatto conclamato.

Bossi, nonostante la retorica anch'essa paragonabile a certi bollettini medici da Unione Sovietica, è un uomo stanco e malato. Non è neppure sempre lucido: è sgradevole dirlo, ma chiunque l'abbia seguito negli ultimi tempi sa di che cosa stiamo parlando. In queste condizioni, è accudito da una ristretta cerchia di persone: la moglie Manuela Marrone, Rosy Mauro, Reguzzoni, Belsito, Bricolo, ossia il cosiddetto «cerchio magico». Secondo molti leghisti, da costoro Bossi non è accudito ma commissariato. E questo è già un primo motivo di malcontento: l'avere un capo che è anche un sottoposto.

Ma Bossi è in difficoltà anche per altri motivi. Un secondo motivo è che la Lega si è presentata sulla scena politica come un movimento rivoluzionario, e non si possono lasciare a metà le rivoluzioni. Il peraltro impalpabile federalismo portato a casa in vent'anni non ha nulla a che fare con le promesse delle origini. Un terzo motivo di disagio è contingente: Bossi non vuole mollare Berlusconi a nessun costo, e molti temono che il matrimonio, oltre che indissolubile, si riveli mortale per il partito.

Roberto Maroni è il leader di tutti questi scontenti. Se fosse per lui, mollerebbe subito il governo e ripresenterebbe una Lega barricadiera e solitaria come ai bei tempi. Così nasce il cosiddetto scontro fra «maroniani» e «bossiani» (Roberto Calderoli invece non è né un maroniano, né un membro del «cerchio magico»: secondo alcuni sta giocando una pa rtita tutta sua, fa il mediatore fra le due anime e spera di trarre beneficio tra i due litiganti).

Ma attenzione: sbaglia, e di grosso, chi pensa o spera che Maroni possa lavorare per prendere il posto di Bossi. Non lo farà mai. Tra i due c'è una amicizia troppo vecchia e profonda. Un mese fa, durante un incontro nel quale non sono mancati bruschi scambi di opinioni, a un certo punto Bossi è scoppiato a piangere e i due si sono abbracciati.

Perché, allora, Bossi e Maroni non riescono a raggiungere un'intesa politica? Il Senatùr si è molto arrabbiato quando «Panorama» ha sottolineato il ruolo decisivo di sua moglie. Ma nella Lega è questo che dicono: che il problema è la moglie. Bossi, al di là di quello che si possa pensare di lui, non è comunque uomo che si sia arricchito con la politica: e la moglie - si sussurra nella Lega - gli ricorda che, dopo aver dato tutta la vita al partito, adesso deve pensare ai figli. Per questo qualunque colonnello cresca nei consensi interni diventa un pericolo: nella Lega del futuro dopo Bossi ci dev'essere un altro Bossi, che sia Renzo la Trota o Roberto Libertà.

Maroni tutte queste cose le sa. E non vuol far la parte di chi accoltella nella schiena il vecchio amico per prendere il suo posto. Per amore di Bossi, domenica ha ritirato il suo candidato al congresso di Varese. Il problema, però, è che ormai molti «maroniani» sono partiti, e sarà difficile fermarli.

 

UMBERTO BOSSI A VARESE RENZO BOSSI CON UMBERTO BOSSI BOSSI - MARONIMANUELA MARRONE MOGLIE DI UMBERTO BOSSIMARCO REGUZZONI MAURILIO CANTON E UMBERTO BOSSI ROSY MAURO CANTON E BOSSI UMBERTO BOSSI MOSTRA L'AMPOLLA ALLA SORGENTE DEL PO.jpbFLAVIO TOSI

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