draghi erdogan migranti

I NUMERI SMENTISCONO DRAGHI SUI MIGRANTI – NELL'INCONTRO CON ERDOGAN, MARIOPIO HA DETTO CHE “ANCHE UN PAESE APERTO COME L'ITALIA HA DEI LIMITI NELLA GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI, E CI SIAMO ARRIVATI” – I DATI DICONO CHE LA SITUAZIONE È DIVERSA: NEI PRIMI SETTE MESI DELL'ANNO GLI SBARCHI SONO STATI 28.405, NON MOLTI DI PIU' DI QUELLI DEL 2021 (21.619) E UN NUMERO ENORMEMENTE INFERIORE RISPETTO AI 170 MILA DEL 2017, QUANDO MINNITI SIGLO' IL TANTO CONTESTATO MEMORANDUM CON LA LIBIA…

Francesca Paci per “La Stampa”

 

flussi migratori in Italia

«La gestione dei flussi migratori deve essere umana, equa ed efficiente, ma anche un Paese aperto come l'Italia ha dei limiti e ci siamo arrivati»: la risposta del premier Mario Draghi al presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che martedì ad Ankara suggeriva sibillino di considerare come i respingimenti di Atene stiano dirottando i rifugiati verso le nostre coste, rimbalza a mo' di boomerang attraverso il Mediterraneo.

 

L'Italia è davvero giunta al limite di sbarchi, oltre cui scatta l'allarme securitario, sociale e soprattutto politico?

 

flussi migratori in Italia 2

A leggere i dati ufficiali, sembra proprio di no. Dal primo gennaio al 4 luglio 2022 sono approdate tra Sicilia, Calabria e Puglia 28.405 persone, una cifra di poco superiore ai 21.619 dei primi sei mesi del 2021 ma enormemente minore rispetto agli 83 mila della metà iniziale del 2017, l'anno del Memorandum d'intesa sulla migrazione siglato tra l'allora ministro dell'interno Marco Minniti e il governo libico che terminò comunque a quota 120 mila arrivi.

 

Viaggiavamo all'epoca su numeri importanti, spinti anche dall'esodo siriano, 160 mila, 170 mila, 180 mila nel 2016. Oggi, qualsiasi siano le ragioni di Stato all'origine della convergenza tattica con Erdogan, siamo in una situazione imparagonabile.

 

recep tayyip erdogan mario draghi 2

«Se un limite è stato raggiunto, si tratta della visione eurocentrica dell'immigrazione, perché, a fronte di una piccola parte di flussi che interessa davvero l'Europa, l'83% degli africani in fuga resta in Africa così come accade in Medioriente, dove la Turchia accoglie oltre 4 milioni di persone e il Libano quasi un milione» spiega il portavoce dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni Flavio di Giacomo al telefono da Lampedusa, l'"hotspot" che nelle ultime ore ha oltrepassato la capienza massima, con circa 1300 ospiti in uno spazio destinato a 400.

 

Laggiù sì, nella piccola isola che con l'intera Sicilia ha assorbito finora il 40% degli sbarchi, si può parlare di emergenza, ma organizzativa. Ed è una storia che onestamente, con i numeri c'entra poco o nulla. Su Lampedusa, estremo avamposto d'Italia nel Mediterraneo, impatta infatti il cambio di paradigma nel soccorso in mare.

 

mario draghi recep tayyip erdogan 2

Fino al 2017, gli anni di Mare Nostrum, Triton, Sophia, i migranti venivano salvati a più riprese da navi capienti fino a 600 persone e trasportati nei grandi porti della Sicilia, capaci di reggere l'accoglienza. Da quando, con il rafforzamento della guardia costiera libica e la campagna contro le ong definite "taxi del mare", il monitoraggio si è rarefatto, per ciascun barchino sfuggito ai libici e avvicinatosi all'Italia si muove soltanto Lampedusa e porta a terra numeri che, ancorché bassi, sono ingestibili per l'isola sempre in affanno.

 

Il quadro, al netto del bel tempo che agevola le traversate, è molto diverso da quello disegnato ad Ankara due giorni fa. «I numeri contraddicono l'analisi di Draghi - ragiona la presidente di Medici senza Frontiere Monica Minardi -. Il limite che abbiamo superato è il numero di vite innocenti perse nel Mediterraneo, 3.231 nel solo 2021, mentre sulla migrazione si consuma un eterno dibattito ideologico».

 

DRAGHI ERDOGAN - MEME BY CARLI

Msf, con Sea-Watch e SOS Mediterranee, è tra le poche ong rimaste in mare, dove il 27 giugno ha raccolto 70 persone più il cadavere di una donna incinta per tenerle a bordo sospese, 5 giorni di limbo, in attesa dell'assegnazione di un porto, Taranto. A conti fatti, l'Italia negli ultimi sei mesi è arrivata a quota 28 mila ingressi, meno della metà degli spettatori dello stadio Olimpico.

 

In Grecia sono stati 1200, in Spagna 12 mila. Certo, ci sono zone più in difficoltà, come Roccella Jonica - stazione finale di quella rotta "orientale" per cui Draghi ha concordato con Erdogan il monitoraggio incrociato di investigatori turchi in Calabria e italiani a Izmir - dove da inizio anno gli sbarchi sono stati 33 e gli sbarcati, quasi tutti afgani, siriani, iracheni e bengalesi provenienti dalla Turchia a bordo di velieri fatiscenti, 5.856, quattro volte tanto il 2022 ma pur sempre pochi.

 

Migranti a Lampedusa 2

C'è un aumento del flusso dalla Libia, tunisini, egiziani riparati a Bengasi e terrorizzati poi dalla situazione locale al punto da puntare all'Italia. Ci sono quelli a cui spetta la protezione umanitaria perché esuli da guerre o regimi sanguinari e ci sono i migranti "economici" che, insiste Flavio di Giacomo, «dopo essere passati in Libia, tra abusi e torture, diventano de facto meritevoli di accoglienza perché la sicurezza conta ma è ora che il dibattito europeo si concentri anche sull'importanza di proteggere i diritti umani dei migranti nei Paesi di transito e in quelli di destinazione, a prescindere dallo status delle persone».

 

Migranti a Lampedusa 4

E poi c'è un sistema di accoglienza, a partire dallo Sprar, ridimensionato mese dopo mese fino al nulla. Nessuno nega i problemi. I numeri però, sono numeri. «L'Italia non è arrivata a nessun limite» ci dice Cecilia Strada, durante una breve pausa tecnica nel suo impegno a tempo pieno con il progetto di soccorso in mare Resq.

 

La parola emergenza, per altro, non le piace: «La doverosa e affettuosa accoglienza che l'Italia ha offerto a chi fuggiva dall'Ucraina ha mostrato che il problema non sono i numeri di chi arriva. Se guardiamo agli sbarchi e li rapportiamo a quelli degli anni passati, giungiamo alla stessa conclusione: non c'è emergenza migranti. L'emergenza è quella che vive chi migra, chi rischia di morire nel deserto, in mare o nei lager in Libia perché non ha accesso ad altre strade, sicure e legali, per l'Europa». E anche questi sono numeri.

 

 

 

 

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