donald trump alt right

''THE DONALD NON USCIRÀ DI SCENA: PIÙ CHE BERLUSCONI, È D'ANNUNZIO'' - LA VISIONE OTTIMISTA DEL POLITOLOGO ROSENTHAL (QUELLA PESSIMISTA LO VEDE IN FUGA DAL PAESE O IN GALERA) IN CASO DI SCONFITTA AL VOTO: ''HA COMUNQUE STRAVOLTO LA DESTRA AMERICANA. NIENTE PIÙ FREE TRADE, ADDIO STRETTI LEGAMI CON GLI ALLEATI EUROPEI, BASTA CONFRONTO DURO CON LA RUSSIA. LO HA POTUTO FARE PERCHÉ HA CAPITO MEGLIO DI ALTRI GLI UMORI DI LARGHE FASCE DELL'ELETTORATO''

 

Massimo Gaggi per il ''Corriere della Sera''

 

LAWRENCE ROSENTHAL

«Donald Trump continuerà a dominare la scena politica anche se sconfitto. Soprattutto se perderà per un margine ristretto o contesterà l'esito del voto. Gli scenari possibili sono diversi, comprese esplosioni di violenza se qualche milizia armata della supremazia bianca riterrà di aver avuto una specie di mandato alla ribellione contro il ritorno del vecchio establishment. Ma il dato di fondo è che in questi anni il miliardario divenuto presidente non solo ha raso al suolo con la sua rivoluzione populista il partito repubblicano e la sua ideologia, ma ha cambiato le sensibilità della destra: le emozioni al posto delle visioni ideologiche, la mistica del capo, una percezione della realtà sempre più alterata, fino al punto di affidarsi, nella lotta al coronavirus, a una sorta di epidemiologia populista».

 

Lawrence Rosenthal, direttore del Centro per gli studi sulla Destra politica Usa della University of California, un istituto che lui stesso ha fondato a Berkeley 11 anni fa, ha appena pubblicato negli Stati Uniti un saggio, Empire of Resentment , nel quale disegna la parabola della destra americana dal pragmatismo dei conservatori del Dopoguerra alla svolta liberista e antistatalista di Reagan alla rivoluzione dei Tea Party, all'avvento di Trump. I Tea Party, che si scatenarono contro Obama, hanno eroso anche le fondamenta del partito repubblicano, aprendo la strada a Trump.

donald trump

 

«Sì ma poi il presidente li ha travolti ed è andato in tutt' altra direzione: i Tea Party avevano portato all'estremo l'ideologia conservatrice, ad esempio per quanto riguarda il rigore nella spesa pubblica. Trump, invece, ha fatto esplodere il debito pubblico e ha travolto altri cardini della destra come il free trade, gli stretti legami con gli alleati europei, il confronto duro con la Russia. Lo ha potuto fare perché, avendo capito meglio di altri che oggi gli umori di larghe fasce dell'elettorato sono dominati dal risentimento, è riuscito a imporre il suo populismo e una visione distorta della realtà.

 

Una visione tarata sui convincimenti del capo, grazie alla sua capacità di instaurare un rapporto diretto con gli elettori scavalcando non solo i media, ma anche il partito». C'è chi parla di pericoli di fascismo in Europa, ma anche negli Usa. Chi traccia paralleli tra Trump e Orbán. Perché secondo lei è eccessivo? «Perché la democrazia ungherese ha basi meno solide di quella americana, anche se Trump l'ha sicuramente indebolita. Ad esempio legittimando i movimenti dei suprematisti bianchi che sono sempre esistiti, ma non hanno mai avuto un peso politico reale, a parte una breve parentesi degli anni Venti del Novecento. Ora, invece, ce l'hanno». L'uso di milizie armate rientra nella sua definizione dei canoni del fascismo.

donald trump alt right

 

«Trump è riuscito nel capolavoro di essere al tempo stesso il leader del governo e dell'antigoverno. Ha alimentato le fantasie dei gruppi violenti più pericolosi che erano sempre stati tenuti ai margini e ora, invece, si sentono i veri patrioti, paladini di un presidente che invoca la liberazione - lo scrive a caratteri cubitali - di Stati governati dai democratici come il Michigan o la Virginia. Ma Trump è anche un leader umorale, dai comportamenti erratici, che cerca lo spettacolo, non un dittatore che persegue con freddezza un suo disegno ideologico». Lei è uno studioso del fascismo e spesso la stampa Usa le chiede se Trump somiglia più a Mussolini o a Berlusconi. Lei lo avvicina all'ex primo ministro italiano. Che, però, è sempre rimasto nel quadro istituzionale.

 

«Ha ragione. Il paragone con Berlusconi riguarda soprattutto l'abilità nell'uso del mezzo televisivo, la capacità di comunicare. E poi gli americani conoscono solo quei due. In realtà psicologicamente per me Trump è più vicino a D'Annunzio. Anche culturalmente, mi passi il paradosso: tutti e due con una grande capacità di suggestionare, di creare un'epica. E tragicamente a digiuno di cultura politica. D'Annunzio andò a sbattere su Mussolini che aveva ben altra forza. Aveva letto Marx e Sorel. Anche lui capace di un rapporto diretto con la gente, anche senza Twitter».

 

donald trump alt right

Se Trump è D'Annunzio, c'è un Mussolini in agguato negli Usa? «Questo è il vero problema. Trump terrà banco ancora per qualche anno, al governo o all'opposizione. Il rischio è che dopo di lui venga qualcuno che la pensa nello stesso modo, ma con una rigidità e convincimenti ideologici molto più forti». Chi ? I leader moderati come Paul Ryan, Marco Rubio e Mitt Romney? «Mi sembrano scavalcati dalla storia e dalla demolizione del vecchio partito. Nascerà qualche nuovo leader. Io già vedo un paio di candidati all'orizzonte: il giovane e dinamico senatore del Missouri Josh Hawley e il conduttore della Fox Tucker Carlson».

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ursula von der leyen donald trump dazi matteo salvini

DAGOREPORT – LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI LEADER EUROPEI, CUI È RIMASTA UNA SOLA VIA DI USCITA, QUELLA COSIDDETTA “OMEOPATICA”: RISPONDERE AL MALE CON IL MALE. LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI. LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE  AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI – ASCOLTATE JOSEPH STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA: “TRUMP NON AGISCE SECONDO ALCUN PRINCIPIO ECONOMICO, NON CONOSCE LO STATO DI DIRITTO, È SEMPLICEMENTE UN BULLO CHE USA IL POTERE ECONOMICO COME UNICA LEVA. SE POTESSE, USEREBBE QUELLO MILITARE’’

steve witkoff marco rubio sergei lavrov

RUBIO, IL TAJANI STARS AND STRIPES – IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO NON TOCCA PALLA E SOFFRE IL POTERE DI STEVE WITKOFF, INVIATO DI TRUMP IN MEDIO ORIENTE CHE SE LA COMANDA ANCHE IN UCRAINA. IL MINISTRO DEGLI ESTERI USA PROVA A USCIRE DALL’ANGOLO PARLANDO DI “NUOVA IDEA” DELLA RUSSIA SUI NEGOZIATI IN UCRAINA. MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI PUTIN, LAVROV, SUBITO VEDE IL BLUFF: “CONFERMIAMO LA NOSTRA POSIZIONE” – TRUMP AVEVA OFFERTO DI TUTTO A WITKOFF, MA L’IMMOBILIARISTA NON HA VOLUTO RUOLI UFFICIALI NELL’AMMINISTRAZIONE. E TE CREDO: HA UN CONFLITTO DI INTERESSE GRANDE QUANTO UN GRATTACIELO...

diletta leotta ilary blasi stefano sala pier silvio berlusconi

FLASH – IL BRUTALE AFFONDO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU ILARY BLASI E DILETTA LEOTTA (“I LORO REALITY TRA I PIÙ BRUTTI MAI VISTI”), COSÌ COME IL SILURAMENTO DI MYRTA MERLINO, NASCE DAI DATI HORROR SULLA PUBBLICITÀ MOSTRATI A “PIER DUDI” DA STEFANO SALA, AD DI PUBLITALIA (LA CONCESSIONARIA DI MEDIASET): UNA DISAMINA SPIETATA CHE HA PORTATO ALLA “DISBOSCATA” DI TRASMISSIONI DEBOLI. UN METODO DA TAGLIATORE DI TESTE BEN DIVERSO DA QUELLO DI BABBO SILVIO, PIÙ INDULGENTE VERSO I SUOI DIPENDENTI – A DARE UNA MANO A MEDIASET NON È LA SCURE DI BERLUSCONI JR, MA LA RAI: NON SI ERA MAI VISTA UNA CONTROPROGRAMMAZIONE PIÙ SCARSA DI QUELLA CHE VIALE MAZZINI, IN VERSIONE TELE-MELONI, HA OFFERTO IN QUESTI TRE ANNI…

giorgia meloni elly schlein luca zaia vincenzo de luca eugenio giani elly schlein elezioni regionali

PER UNA VOLTA, VA ASCOLTATA GIORGIA MELONI, CHE DA MESI RIPETE AI SUOI: LE REGIONALI NON VANNO PRESE SOTTOGAMBA PERCHÉ SARANNO UN TEST STRADECISIVO PER LA MAGGIORANZA – UNA SPIA CHE IL VENTO NON SPIRI A FAVORE DELLE MAGNIFICHE SORTI DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È IL TENTATIVO DI ANTICIPARE AL 20 SETTEMBRE IL VOTO NELLE MARCHE, DOVE IL DESTRORSO ACQUAROLI RISCHIA DI TORNARE A PASCOLARE (IL PIDDINO MATTEO RICCI È IN LEGGERO VANTAGGIO) – IL FANTASMA DI LUCA ZAIA IN VENETO E LE ROGNE DI ELLY SCHLEIN: JE RODE AMMETTERE CHE I CANDIDATI DEL PD VINCENTI SIANO TUTTI DOTATI DI UN SANO PEDIGREE RIFORMISTA E CATTO-DEM. E IN CAMPANIA RISCHIA LO SCHIAFFONE: SI È IMPUNTATA SU ROBERTO FICO, IMPIPANDOSENE DI VINCENZO DE LUCA, E SOLO UNA CHIAMATA DEL SAGGIO GAETANO MANFREDI LE HA FATTO CAPIRE CHE SENZA LO “SCERIFFO” DI SALERNO NON SI VINCE…

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni

NULLA SARÀ COME PRIMA: PIER SILVIO BERLUSCONI, VESTITO DI NUOVO, CASSA IL SUO PASSATO DI RAMPOLLO BALBETTANTE E LANCIA IL SUO PREDELLINO – IN UN COLPO SOLO, CON IL COMIZIO DURANTE LA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI, HA DEMOLITO LA TIMIDA SORELLA MARINA, E MANDATO IN TILT GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI, MINACCIANDO LA DISCESA IN CAMPO. SE SCENDE IN CAMPO LUI, ALTRO CHE 8%: FORZA ITALIA POTREBBE RISALIRE (E MOLTO) NEI SONDAGGI (IL BRAND BERLUSCONI TIRA SEMPRE) – NELLA MILANO CHE CONTA IN MOLTI ORA SCOMMETTONO SUL PASSO INDIETRO DI MARINA DALLA GESTIONE “IN REMOTO” DI FORZA ITALIA: D'ALTRONDE, LA PRIMOGENITA SI È MOSTRATA SEMPRE PIÙ SPESSO INDECISA SULLE DECISIONI DA PRENDERE: DA QUANTO TEMPO STA COGITANDO SUL NOME DI UN SOSTITUTO DI TAJANI?