E SE POI SI RICANDIDA? TUTTI I “NO” DEL PD A SILVIO HANNO L’OBIETTIVO DI NON FARLO RIPRESENTARE ALLE ELEZIONI

Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"

La risposta definitiva è «no», il Pd non intende accogliere la richiesta del Cavaliere che vorrebbe un allungamento dei tempi al Senato per l'esame sulla sua decadenza da parlamentare. E c'è un motivo se il segretario dei democratici la respinge, spiegando quello che a suo dire è il gioco di Berlusconi:

«Lui chiede di spostare il voto dell'Aula di un paio di mesi, a dicembre, perché punta a ricandidarsi. Sta aspettando che la Corte d'appello di Milano ridefinisca i termini dell'interdizione a cui è stato condannato, per poi fare subito ricorso in Cassazione. E sfruttando il periodo durante il quale la sentenza non sarebbe ancora esecutiva, pensa di potersi presentare ancora alle elezioni».

E dunque «no», i democratici non ci stanno, probabilmente perché pensano così di indurre il Cavaliere a far saltare il banco del governo e andare presto alle urne, ma anche perché se davvero Berlusconi stesse pensando a questo disegno, verrebbero massacrati in campagna elettorale dai grillini con l'accusa di intendenza con il nemico. In teoria sarebbe facile rallentare la corsa di palazzo Madama verso la pronuncia sulle sorti del leader del Pdl, basterebbe un intervento del presidente del Senato sul calendario dei lavori d'Aula: «Ma come si fa, come si fa...», dice Epifani, chiudendo l'argomento.

Ecco, la crisi sta tutta qui. Sta in quest'ultimo «niet» del Pd che aveva già bocciato l'ipotesi di mediazione avanzata da Violante, quella cioè di consentire al Cavaliere il ricorso alla Consulta sulla legge Severino. È questo il motivo che ha indotto Berlusconi ad alzare il tiro sul governo, infuriato com'è per la celerità con cui il Senato sta procedendo sulla sua decadenza, con ritmi che non hanno precedenti nella storia repubblicana.

Si capisce quindi qual è la ragione del veto democratico, e a dire il vero il pensierino andreottiano del segretario democrat non è privo di fondamento, visto che ieri mattina - durante l'incontro con i vertici del suo partito - l'ex premier ha condiviso la tesi di Verdini, convinto che «bisogna andare subito al voto perché possiamo vincere».

Su quali numeri si poggino le convinzioni del coordinatore pdl non è dato sapere, visto che il Cavaliere - poche ore prima - aveva ricevuto un gramo buongiorno dalla borsa (Mediaset -4,5%) e dai report di sondaggi riservati: «Siamo scesi di quasi otto punti», ha rivelato.

E poco importa se abbia imputato la responsabilità della pesante flessione alla «cattiva comunicazione» dei ministri e non alla sua decisione di ritirare la delegazione dal governo. Il punto è che quando Verdini ha urlato il grido di battaglia, «alle urne alle urne», Berlusconi ha aggiunto sottovoce: «Così potrei candidarmi come capolista», perché i suoi avvocati avrebbero trovato il modo di riuscire nell'impresa.

Quale sia il meccanismo l'ha teorizzato il ministro Franceschini la scorsa settimana, a una riunione del Pd: «Proverebbe a candidarsi in tutte le circoscrizioni, sperando che uno dei ventisei presidenti di Corte d'appello gli dia ragione sulla sua interpretazione della legge Severino». Questo prova che sul tema i democratici stanno tenendo sotto stretta osservazione il Cavaliere, che a sua volta tenta di divincolarsi dalla marcatura stretta.

In cuor suo vorrebbe il voto in novembre, «per il 24», ma è consapevole di non poterci riuscire: «Le elezioni non me le daranno». E allora ragionevolmente mira alle urne per febbraio, sebbene per quella data nemmeno i suoi creativi avvocati siano riusciti a dargli una speranza per la candidatura: al massimo potrebbe fare la campagna elettorale.
Ma il suo obiettivo è più ambizioso, perciò cerca una strada per arrivarci, mettendo in crisi il suo partito più del «suo» governo, mettendo addirittura in crisi rapporti personali che potrebbero clamorosamente spezzarsi.

Perché Alfano crede davvero all'accanimento delle toghe contro il Cavaliere, ma non crede che il sentiero intrapreso da Berlusconi sia utile al riscatto. «Dottore», ha esordito ieri al vertice «Angelino», con un'espressione che nessuno aveva mai scorto prima sul suo volto: «Lei mi ha designato al governo ed era ovvio che mi dimettessi appena me l'ha chiesto. Però non condivido questa linea, che ci separa dal nostro elettorato. Quel mondo moderato che guarda a noi come punto di riferimento e confida che il governo vada avanti perché ha visto un timido segnale di ripresa e non vuole farselo sfuggire»...

 

Silvio berlu SILVIO BERLUSCONI E DIETRO LA SCRITTA TASSE jpegSILVIO BERLUSCONI Fassino Franceschini e Bianco Dario Franceschini BERLUSCONI VERDINI ALFANO INAUGURAZIONE SEDE FORZA ITALIA FOTO LAPRESS violante bagnato

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