UNITI PER CERCARE DI SALVARE LA FACCIA: MICROSOFT E GOOGLE FANNO CAUSA AL GOVERNO USA PER IL CASO PRISM

Serena Danna per "Corriere della Sera"

Google e Microsoft minacciano di fare causa al governo degli Stati Uniti in nome della trasparenza. Quello che a prima vista può sembrare uno scherzo, è in realtà il tentativo ultimo delle aziende di recuperare credibilità agli occhi dei consumatori turbati dallo scandalo della National Security Agency.

Da quando l'ex collaboratore della Cia Edward Snowden, esiliato in Russia, ha rivelato che il governo americano accede ai database dei colossi hi-tech per recuperare dati e informazioni sui cittadini, la richiesta di chiarimenti dell'opinione pubblica sul rapporto tra aziende e governo si fa sempre più pressante in Silicon Valley.

Al punto che, in mancanza di una soluzione pacifica con Washington, due avversari come Larry Page e Bill Gates hanno deciso di unire le forze per ottenere dal tribunale l'autorizzazione a rivelare il numero di richieste di rilascio dati da parte dell'amministrazione Obama.

La possibile azione legale è stata svelata da Brad Smith, avvocato di Microsoft, che ha denunciato sul blog dell'azienda la «persistente mancanza di disponibilità del governo» nel consentire alle imprese di comunicare quante volte, in nome della sicurezza nazionale, la Nsa ha richiesto dati sui cittadini. «Oggi le nostre società stanno insieme nel perseguire il diritto nella Costituzione americana di condividere più informazioni con il pubblico», ha continuato Smith, definendo «vitale» il bisogno di rendere disponibile il prima possibile il materiale.

Al centro della controversia c'è il Foreign Intelligence Surveillance Act (Fisa), un atto del 1978 sulle procedure per la sorveglianza e la raccolta di informazioni provenienti da intelligence straniere (non applicabile fuori dagli Usa), modificato dal Patriot Act del 2001 in seguito agli attentati dell'11 Settembre.

Tra le notizie svelate da Snowden una riguarda proprio le violazioni continue della legge da parte della Nsa: l'agenzia avrebbe pagato milioni di dollari alle aziende tecnologiche coinvolte nel programma Prism per coprire le spese legali e amministrative relative alla cessione di informazioni.

Nell'ottobre del 2011 la Foreign Intelligence Surveillance Court, un tribunale speciale che si occupa di sorveglianza, si era pronunciata contro l'agenzia sostenendo che, a causa dell'incapacità di distinguere le comunicazioni che avvengono all'interno degli Stati Uniti da quelle che si svolgono all'esterno, aveva violato il Quarto Emendamento.

Da allora, per continuare con lo spionaggio, le aziende hanno dovuto produrre certificati extra e pagare multe salatissime. Il tutto è stato possibile grazie al «black budget» di 52,6 miliardi di dollari stanziato dal governo americano per operazioni segrete di spionaggio, controspionaggio e cyberwar (solo nel 2011 ci sarebbero stati 231 cyberattacchi americani contro Paesi considerati nemici): 10,8 miliardi sarebbero destinati proprio alle attività della National Security Agency.

La Silicon Valley sostiene di non aver mai ricevuto denaro dal governo, tenendo fede alla linea del negare-fino-alla-fine che l'ha caratterizzata sin dall'inizio dello scandalo. Per settimane i portavoce di Google, Facebook, Microsoft hanno smentito il coinvolgimento nella sorveglianza online dei cittadini, ma adesso diventa sempre più difficile per le aziende continuare a farlo.

Meglio dunque spostarsi nel reparto «vittime» e diventare all'improvviso i paladini della tutela di quella privacy che hanno sempre «svenduto» per fini commerciali. E se Microsoft e Google minacciano battaglia in tribunale, Facebook sceglie il «metodo Wikileaks» pubblicando, per la prima volta nella sua storia, un rapporto trasparenza sulle richieste di dati presentate da «enti governativi».

Stando al report, nei primi sei mesi del 2013 le domande di rilascio informazioni inviate a Menlo Park sono state più di 25 mila, quasi la metà proveniente dagli Stati Uniti. Mark Zuckerberg non ha neanche risparmiato la morale, che è stata affidata a Colin Stretch, il general counsel di Facebook: «Siamo convinti - ha detto - che sia possibile proteggere i cittadini affiancando la trasparenza all'impegno degli enti governativi». Neanche una parola sulla trasparenza e l'impegno dell'azienda.

 

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