alessandro di battista autostop

IL "VAFFA DAY" DI DIBBA - IL CHE GUEVARA DE’ ROMA NORD PRENDE IL 40% SU ROUSSEAU E SCAPPA SULLE MONTAGNE DI MONTE MARIO PER SCATENARE LA RESISTENZA CONTRO DRAGHI. NELLA SUA LOTTA CONTRO L’OPPORTUNISMO DEL M5S, “DIVENTATO COME L’UDEUR DI MASTELLA”, CHI LO SEGUIRA’? LA LEZZI? CERTO! TONINELLI? FORSE. IL PERICOLO È CHE POI, GIRANDOSI, SI ACCORGA CHE, COME IN UNA FAMOSA COMMEDIA ALL’ITALIANA, “M’HANNO RIMASTO SOLO ‘STI QUATTRO CORNUTI” - L’ADDIO-VIDEO (TRA TEGAMI E PRESINE)…

 

Mario Ajello per www.ilmattino.it

 

 

DI BATTISTA

Il Vaffa Day del Dibba. Contro Draghi? Certo. Ma soprattutto contro Grillo e contro Di Maio, contro Fico finto-rivoluzionario (evidentemente non basta la barba guevarista e la collana da alternativo anche perché sovrastata dalla cravatta da casta) e contro tutti i «traditori» del popolo.

 

Che per un pugno di poltrone - ecco il Dibba pensiero - si sono venduti all’«apostolo dell’establishment», al banchiere dei poteri forti e dell’Europa matrigna e insomma al peggio del peggio e cioè a Draghi. Il Che di Roma Nord, alias Alessandro Di Battista, dopo l’ebrezza del Ciapas va sulle montagne di Monte Mario e scatena la Resistenza de’ noantri. 

DI BATTISTA

 

Lo fa con un video ambientato nella cucina Ikea di casa zona Cassia (vuole pure lui come Lenin il «governo delle cuoche»?) tra tegami, presine fatte con l’uncinetto (ogni rivoluzionario ha la sua mammà come musa e come leader) e l’appello alla lotta dura senza paura è questo: «Accetto il risultato della votazione su Rousseau ma non posso digerirlo. Non sono d’accordo e ora mi faccio da parte». Ma figuriamoci. Questa del Dibba è una chiamata alle armi. Dice di non volere nulla e invece prova a fare lo stratega del quartierino e a capitalizzare quel 40 per cento di voti su Rousseau contrari al governo Draghi e el pueblo unido jamàs serà vencido.

 

GRILLO DI BATTISTA

In Parlamento, nella sua scissione e nella sua lotta dura senza paura contro l’opportunismo di un movimento «ormai mastellato» e diventato «come l’Udeur» (secondo il Dibba pensiero), il subcomandante Ale non lo seguirà quasi nessuno. O almeno non più di una quindicina di parlamentari.

 

La Lezzi, ma certo! Toninelli? Forse. E poco più. Meglio tenersi lo scranno e lo stipendio in corso e irripetibile fuori dalla politica. Ma nella base M5S - e in quello che era il cuore del partito azienda, la Casaleggio Associati di Davide, figlio del fondatore - il ribellismo anti-palazzo della revoluciòn incarnata dal Dibba ancora esiste eccome.

 

E quindi, pur considerandolo poco più che folklore (ma è quello da cui provengono), non vivono affatto bene i vertici grillini lo strappo del Dibba. E quella zona grigia di filo-Ale in Parlamento che vorrebbero dargli ragione non possono farlo perché desiderosi senza se e senza ma di restare in Parlamento (anzi di più: mi fanno sottosegretario?) e la rivoluzione la faccia lui e io tifo per Dibba ma soprattutto tifo per me, per il mio mutuo da pagare e per la mia moglie disoccupata da mantenere.

 

DI BATTISTA

Insomma, «accetto il risultato del voto ma la mia coscienza politica non ce la fa ad andare avanti. Lascio il movimento 5 stelle perché un governo con questi partiti non fa per me». Sahra busta la pasta? No, lady Dibba non si vede in scena. Ma si sente che c’è anche lei dietro le quinte insieme ad Andrea, il primogenito cresciuto tra Milvio e Ande, e a Filippo l’ultimo arrivato di Casa Dibba ad agosto e «nato ascoltando Sweetest Thing» degli U2 (che tra l’altro è una delle peggiori canzoni del gruppo irlandese). Ma forse sarebbe stato meglio fargli vedere la luce al ritmo dei Clash così anche lui, come papi, potrebbe presto diventare combat rock.

 

Si scinde il Dibba. Il pericolo è che poi, girandosi, si accorga che, come in una famosa commedia all’italiana, «m’hanno rimasto solo ‘sti quattro cornuti». «Non parlerò più a nome del movimento perché ornai da tempo il movimento non parla più a nome mio»: ecco l’addio. Malinconico e sofferto, tutt’altro che baldanzoso, questo è evidente nel filmato.

DI BATTISTA

 

E se Dibba chiama alla rivolta contro Grillo e Di Maio, contro Draghi e contro l’accordone dei 5Stelle con Salvini e con Berlusconi e sa di avere con sé un mondo anche mediatico oltre che da meet up che ha tifato per Conte e ora tifa per lui contro tutti, le adesioni alla sua revoluciòn tra gli eletti alla Camera e al Senato per ora non fioccano e in pochi si tolgono la cravatta per diventare descamiciados al seguito del subcomandante Ale. Sì, c’è Dibba lassù a fare il partigiano a Monte Mario. Ma sotto, vige il tengo famiglia.

 

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