''VUOI FINIRE COME PIERRE CARDIN A FIRMARE LE PIASTRELLE DEL BAGNO?''. LO STILISTA NEGLI ULTIMI ANNI VENIVA SCHIFATO DAI COLLEGHI, MA ANCHE AGLI INIZI RUPPE MOLTI TABÙ. PER LUCA BEATRICE, ''CARDIN STA ALLA MODA COME I BEATLES ALLA MUSICA E ANDY WARHOL ALLA PITTURA, RIVOLUZIONARI ALL' INTERNO DI CODICI LINGUISTICI DETERMINATI E FACILMENTE IDENTIFICABILI NELLA COMUNICAZIONE DI MASSA''

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1. ''VUOI FINIRE COME PIERRE CARDIN A FIRMARE LE PIASTRELLE DEL BAGNO?''

Dall'articolo di Fabiana Giacomotti per ''Il Foglio''

 

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Vorremmo poter scrivere cose meravigliose di Pierre Cardin, il couturier della “robe bulle” e di quel sogno che si chiamava Space Age. Vorremmo dire che l’allievo di Elsa Schiaparelli e di Christian Dior fu il primo a immaginare la moda unisex, a vestire i Beatles in tour, ad aprire un negozio in Giappone e non aggiungere altro. Come hanno fatto in molti. Invece ci continua a venire in mente l’epiteto con cui veniva etichettato dopo gli anni Ottanta qualunque stilista esagerasse con le licenze (“vuoi finire come Pierre Cardin a firmare le piastrelle del bagno?”), e ci sovviene una sfilata a cui assistemmo a Firenze nel 2003 grazie a Pitti che, per ragioni sue, aveva deciso di celebrare il cinquantenario di attività del trevigiano che aveva conquistato Parigi e il mondo intero firmando qualunque cosa gli capitasse a tiro.

 

Nel salone di Palazzo Corsini era stata issata una gran passerella, alta come si usava nel Dopoguerra per cui noi, sedute in prima fila, potemmo osservare non solo quegli abiti che sembravano (e in effetti erano) pensati nel loro effetto spaziale, cioè senza tener conto dell’anatomia di chi li indossava e in particolare di quella femminile, ma soprattutto le scarpe, che sfilavano ad altezza del nostro sguardo.

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Erano tutte modelle degli anni Ottanta, nere col tacco a rocchetto, e quasi tutte avevano i tacchi sbrecciati: lo ricordiamo ancora oggi, quasi diciotto anni dopo, perché alla cena che seguì ci informammo sulle ragioni di quella inaudita sciatteria. Ci venne detto che il maestro aveva voluto usare le scarpe vintage conservate in atelier. Che nulla c’entrassero con gli anni Sessanta della Space Age che aveva contribuito a lanciare, e tanto meno con i vestiti, tant pis.

 

 

2. COME I BEATLES E ANDY WARHOL HA RIVOLUZIONATO LA MODA (POP)

Luca Beatrice per ''il Giornale''

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Spesso ci si domanda quando la moda diventa arte, aldilà dell' apertura delle porte dei musei per una disciplina capace certo di unire l' abilità artigianale, i cromatismi pittorici e le forme scultoree che lavorano sul corpo, non lontana dalla performance. Oggi che la moda è oggetto di studi, di mostre, di analisi sociale è ancor più importante distinguere i creativi dagli artisti. I primi intuiscono le necessità del loro tempo e le restituiscono consapevoli di lavorare sulla volatilità effimera, gli altri inventano linguaggi, rischiano attraversano le epoche e la storia al punto da concepire un abito - che in genere scompare dal guardaroba - per aspirare appunto all' immortalità dell' arte.

 

Pierre Cardin, morto ieri a 98 anni, alla fine degli anni '50 ha inventato il pret-à-porter sottraendo alla moda quel divario tra le diverse classi sociali e culturali. Mentre a Parigi nasceva la Nouvelle Vague, tra l' Inghilterra e New York si diffondeva la Pop Art, analoga necessità di superare elitarismo e accademia. Moda, arte, musica diventano così fenomeni sociali che le giovani generazioni seguono anche e soprattutto per segnare un' appartenenza e uno stile.

 

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Una filosofia che si sintetizza nel completo che i Beatles hanno indossato negli anni del loro successo, abito scuro e camicia con il colletto alla coreana che non prevedeva l' uso della cravatta, accessorio superato per un gruppo pop. Qualcosa di più che un abito di scena, vera e propria «uniforme» di un' epoca. Non è sbagliato affermare che Cardin sta alla moda come i Beatles alla musica e Andy Warhol alla pittura, rivoluzionari all' interno di codici linguistici determinati e facilmente identificabili nella comunicazione di massa.

 

Ovunque nella sua moda si trovano riferimenti all' arte, ispirazioni futuriste - quando il futuro era parola d' ordine - geometrie, optical e appunto tanta Pop.

 

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Per buona parte della sua lunga carriera Cardin ha guardato all' arte per capire la moda, fino a considerarsi egli stesso artista. Nel 2018 la sede parigina di Sotheby' s ha proposto le sculture dello stilista italiano - naturalizzato francese - realizzate negli anni '70 come oggetti di design in edizione limitata, stilisticamente prossime al minimalismo.

 

Il Palais Bulles, che prende il nome dal suo abito più famoso, il Bubble Dress disegnato nel 1954, progettato dall' architetto ungherese Antti Lovag e inaugurato in Costa Azzurra nel 1989, si presenta come una casa-museo d' artista, assimilabile a quella di Salvador Dalì, è considerato un monumento all' eccentricità, a svelare una seconda anima di Cardin, più giocosa e surreale di quanto si intravede nel mestiere di stilista.

pierre cardin abito pierre cardin abito

 

Altra geniale intuizione, estendere la moda ad accessori e merchandising. La griffe Cardin diventa logo su un paio di occhiali o un portafoglio, su profumo e prodotti di bellezza, consapevole che il fashion non si limita all' abito ma invade ogni centimetro di pelle disponibile sul nostro corpo. Anche questa è stata un' innovazione che ha sovvertito le regole del gioco e aperto alla visione contemporanea della moda.

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