watergate garrett graff mark felt richard nixon bob woodward carl bernstein

ANCHE IL "WATERGATE" IN FONDO ERA SOLO UNA VENDETTA PRIVATA – IL GIORNALISTA GARRETT GRAFF, CHE HA SCRITTO UN LIBRO SULLA “NUOVA STORIA” DELLO SCANDALO CHE FECE DIMETTERE NIXON, RIVELA: “GOLA PROFONDA ERA MARK FELT, IL VICEDIRETTORE DELL'FBI. ME L'ERO IMMAGINATO COME UNA PERSONA ETICAMENTE MOTIVATA, DISGUSTATA DALLA CORRUZIONE.  IN REALTÀ ERA UN BUROCRATE AMAREGGIATO PERCHÉ NON AVEVA OTTENUTO LA PROMOZIONE. IL SUO OBIETTIVO ERA DANNEGGIARE IL SUO NUOVO BOSS, PATRICK GRAY, DIVENTATO DIRETTORE DELL'FBI. NON GLI IMPORTAVA MOLTO DELLE POSSIBILI CONSEGUENZE SU NIXON…

 

 

Giuseppe Sarcina per “La Lettura – Corriere della Sera”

 

garrett graff

Garrett Graff, 40 anni, è uno dei giornalisti americani più brillanti della generazione di mezzo. Si è laureato ad Harvard. Nel 2005 fu il primo blogger a ottenere l'accredito alla Casa Bianca. Ha diretto le riviste «Politico magazine» e «Washingtonian», ha collaborato con diversi centri studi e oggi, tra l'altro, è direttore per le cyber initiatives all'Aspen Institute.

 

Da sempre alterna giornalismo e ricerca storica. Ha scritto diversi libri, compreso un bestseller sull'11 settembre. Lo scorso febbraio ha pubblicato, con Simon & Schuster, Watergate. A New History . Risponde al telefono da Burlington, nel Vermont, il suo territorio di origine in cui è tornato a vivere, senza però perdere i contatti con il milieu politico-culturale della capitale.

carl bernstein e bob woodward

 

Graff non era nato, quando il 17 giugno 1972 cinque uomini forzarono gli uffici del comitato elettorale del Partito Democratico, nel complesso del Watergate, una serie di palazzine bianche e tondeggianti, affacciate sul fiume Potomac, a Washington. Racconta di aver voluto ripercorrere la storia dello scandalo più famoso dell'era contemporanea, dopo aver seguito per quattro anni la presidenza Trump. «Sono partito dall'idea che ciò che accadde 50 anni fa ci potesse aiutare a comprendere meglio anche le dinamiche attuali della politica americana».

 

watergate a new history

Inoltre, dice Graff, «mi sono reso conto che alcune cose andarono in maniera diversa rispetto alla versione consolidata di quella vicenda, alimentata da una valanga di volumi e di film».

 

Ci riporti al contesto in cui maturò il Watergate. Richard Nixon era presidente dal 1969. Il Paese era lacerato dalla guerra in Vietnam...

«Molti pensano che il Watergate sia la storia di cinque individui sorpresi a scassinare gli uffici del Partito Democratico, in piena campagna elettorale. Ma con il passare del tempo è diventato chiaro che più che a un episodio ci troviamo di fronte a una mentalità, a un modo di concepire e praticare il potere.

 

Il Watergate fu in realtà una specie di ombrello che copriva almeno una dozzina di scandali distinti, ma collegati dalla criminale paranoia di Nixon. Tutto ciò in un Paese precipitato nel caos dalla guerra in Vietnam, stordito dalle rivelazioni contenute nei Pentagon Papers , che svelarono gli intrighi, gli orrori del conflitto».

 

Il primo punto, quindi, è proprio la figura di Nixon...

richard nixon

«Nixon, sotto tutti i profili, è stato uno dei due o tre presidenti americani più importanti del XX secolo. È stato una figura di enorme importanza sul piano internazionale per le aperture all'Urss e alla Cina. Non solo. Di fatto è il cardine su cui il secolo americano cambia verso.

 

È il presidente che rompe la continuità con il New Deal (il piano di rilancio economico concepito da Franklin D. Roosevelt, ndr ), con la Great Society (progetto socio-economico di Lyndon Johnson, ndr ). Nixon orienta il Partito repubblicano verso una dottrina nazionalista, populista. Oggi si parla spesso di "rivoluzione reaganiana", ma dovremmo parlare di "rivoluzione nixoniana". Nixon voleva diventare un personaggio storico di rilievo mondiale e quasi raggiunse l'obiettivo. Solo che non poteva. Il suo lato oscuro, le sue ossessioni glielo impedirono.

 

carl bernstein e bob woodward

Vedeva nemici dappertutto, persino al picco della sua popolarità, nella primavera del 1972. Ricordiamo che nell'autunno vinse le elezioni con il più grande vantaggio della storia americana (60% del voto popolare, conquistati 49 Stati su 50, ndr )».

 

Ed eccoci al 17 giugno 1972. È sabato notte. Cinque uomini si introducono nell'ufficio di Lawrence O' Brien, il presidente del Comitato elettorale democratico. Ancora oggi non sappiamo che cosa cercassero. Si è scritto che probabilmente volessero recuperare i nastri registrati dai microfoni spia. O forse documenti che potessero compromettere George McGovern, l'avversario di Nixon. Che idea si è fatto?

richard nixon

«È incredibile, ma cinquant' anni dopo non sappiamo con certezza chi ordinò a quelle persone di scassinare gli uffici. Non fu Nixon. Non in quel caso. Probabilmente l'operazione faceva parte di una serie di iniziative illegali, organizzate dallo staff del presidente per recuperare materiale compromettente su McGovern o, anche, capire se i democratici avessero documenti che provassero qualche manovra sporca di Nixon.

 

mark felt

Negli ultimi vent' anni sono state diffuse le registrazioni delle conversazioni private del presidente. Abbiamo scoperto che nel 1971 aveva ordinato un'irruzione nella sede della Brookings Institution, un centro studi di Washington, convinto che lì stessero raccogliendo materiale contro di lui».

 

In ogni caso dal giugno del 1972 il presidente e lo staff si impegnano in una forsennata azione di depistaggio. Ma vengono smascherati grazie anche alle soffiate di Deep Throat, la «Gola profonda» di Bob Woodward e Carl Bernstein del «Washington Post», per tutti noi Dustin Hoffman e Robert Redford nel film «Tutti gli uomini del presidente». Nel suo libro, però, lei smitizza la figura del confidente...

«Sì, è una delle cose che più mi hanno sorpreso, scavando in questa storia. Deep Throat era Mark Felt, il vicedirettore dell'Fbi. Anch' io me l'ero immaginato, suggestionato dal film, come una persona eticamente motivata, disgustata dalla corruzione, dal gioco sporco dell'amministrazione Nixon.

 

il watergate complex

 In realtà è venuto fuori che fosse un carattere a tutti noi più famigliare, una presenza comune nei posti di lavoro. Felt era un burocrate amareggiato perché non aveva ottenuto la promozione che pensava di meritare. Quando contattò i reporter del «Washington Post» il suo obiettivo era danneggiare il suo nuovo boss, Patrick Gray, che lo aveva scavalcato diventando direttore dell'Fbi. Non gli importava molto delle possibili conseguenze su Nixon».

 

Il Watergate è stato un punto di svolta per il giornalismo politico?

watergate

 «Penso proprio di sì. Fino a quel momento i cronisti di Washington si limitavano a riportare le dichiarazioni dei presidenti o dei ministri. Era quasi un lavoro stenografico. Da lì in avanti sono cominciati i briefing con domande più aggressive e un lavoro di scavo sui retroscena politici».

 

Qualche giorno fa Margaret Sullivan, editorialista proprio del «Washington Post», ha scritto che, se capitasse oggi, il Watergate avrebbe un esito diverso. I media sono troppo polarizzati per poter affondare anche una presidenza come quella di Nixon. È d'accordo?

«Sì. Lo abbiamo sperimentato con i due impeachment a carico di Donald Trump. I media dell'estrema destra, guidati da Fox News, non solo hanno difeso ciecamente il presidente, ma hanno condotto una durissima campagna contro chi lo accusava. Il risultato è che oggi gran parte dell'opinione pubblica non crede più che ci siano giornalisti di cui potersi fidare, come accadde con Woodward e Bernstein mezzo secolo fa».

mark felt Katharine Graham ai tempi del WatergateWATERGATEmark felt mark felt 2hillary clinton commissione watergatewatergateWATERGATEun cartellone sullo scandalo watergategarrett graff.

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HA VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”

xi jinping vladimir putin donald trump

DAGOREPORT – L'INSOSTENIBILE PIANO DI PACE DI TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA UMILIANTE RESA DELL'UCRAINA, HA L'OBIETTIVO DI  STRAPPARE LA RUSSIA DALL’ABBRACCIO ALLA CINA, NEMICO NUMERO UNO DEGLI USA - CIÒ CHE IL TYCOON NON RIESCE A CAPIRE È CHE PUTIN LO STA PRENDENDO PER IL CULO: "MAD VLAD" NON PUÒ NÉ VUOLE SFANCULARE XI JINPING - L’ALLEANZA MOSCA-PECHINO, INSIEME AI PAESI DEL BRICS E ALL'IRAN, È ANCHE “IDEOLOGICA”: COSTRUIRE UN NUOVO ORDINE MONDIALE ANTI-OCCIDENTE – IL CAMALEONTISMO MELONI SI INCRINA OGNI GIORNO DI PIÙ: MENTRE IL VICE-PREMIER SALVINI ACCUSA GLI UCRAINI DI ANDARE “A MIGNOTTE” COI NOSTRI SOLDI, LA MELONI, DAL PIENO SOSTEGNO A KIEV, ORA NEGA CHE IL PIANO DI TRUMP ACCOLGA PRATICAMENTE SOLO LE RICHIESTE RUSSE ("IL TEMA NON È LAVORARE SULLA CONTROPROPOSTA EUROPEA, HA SENSO LAVORARE SU QUELLA AMERICANA: CI SONO MOLTI PUNTI CHE RITENGO CONDIVISIBILI...")

donald trump volodymyr zelensky vladimir putin servizi segreti gru fsb cia

DAGOREPORT - L’OSCENO PIANO DI PACE SCODELLATO DA TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA CAPITOLAZIONE DELL’UCRAINA, ANDAVA CUCINATO BENE PER FARLO INGOIARE A ZELENSKY - E, GUARDA LA COINCIDENZA!, ALLA VIGILIA DELL’ANNUNCIO DEL PIANO TRUMPIANO SONO ESPLOSI GLI SCANDALI DI CORRUZIONE A KIEV, CHE VEDONO SEDUTO SU UN CESSO D’ORO TIMUR MINDICH, L’EX SOCIO DI ZELENSKY CHE LO LANCIÒ COME COMICO - PER OTTENERE ZELENSKY DIMEZZATO BASTAVA POCO: È STATO SUFFICIENTE APRIRE UN CASSETTO E DARE ALLA STAMPA IL GRAN LAVORIO DEI SERVIZI SEGRETI CHE “ATTENZIONANO” LE TRANSIZIONI DI DENARO CHE DA USA E EUROPA VENGONO DEPOSITATI AL GOVERNO DI KIEV PER FRONTEGGIARE LA GUERRA IN CORSO…