Gian Paolo Serino per Dagospia
mariacristina savoldi d’urcei bellavitis
Più che una “bellavitis” una vita da film: da Michele Sindona a Giulio Andreotti, dai furti a Villa D’Este a Cesare Romiti, dal figlio di Gheddafi agli industriali finiti in prigione e in associazione con l’Ndrangheta: trema la Milano che conta messa a nudo da Mariacristina Savoldi D’Urcei Bellavitis che nella sua autobiografia Aristocrap (alla lettera: “Aristocrazia di merda”, prefazione di Nicolai Linin, in uscita oggi per Santelli editore) racconta l’inferno di essere sorella di Emanuele Savoldi Bellavitis detto “Il Conte Mitra” e ex moglie di Giulio Romagnoli, imprenditore immobiliare “alcolizzato e violento”.
Non risparmia tantissimi personaggi nella Milano dei Vanzina raccontati in modo spietato come una “aristocrapzia” dove la nobiltà non ha più alcun titolo - se non gli araldi “ormai fuori dal tempo” - ed è costretta a stringersi in matrimonio con l’alta borghesia “cinica e ambigua, senza più umanità e incapace di discernere tra il bene e il male”.
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L’autrice non risparmia nessuno in una storia che sarebbe perfetta per un film o per una serie tv (altro che “House of Gucci”!): a partire dal fratello Emanuele, ladro di opere d’arte condannato a nove anni (poi cancellati dalla prescrizione) per una serie di furti commessi su commissione tra la metà degli anni Ottanta e la fine dei Novanta, gioielli e pellicce per non meno di 7 miliardi di lire. Quadri e mobili antichi trafugati anche dalla collezione di Villa d'Este. Il Grand Hotel a Cernobbio, Como, gestito ai tempi dei fatti da Jean-Marc Droulers: tele di Corot, Lancret, Hebert.
“Il Conte Mitra” Emanuele fu smascherato da una lettera anonima ai carabinieri che ne segnalava la passione smodata per le armi automatiche: ne vennero sequestrate 170, compresi kalashnikov e uzi oliati e funzionanti, in mezzo ai quadri. Ne aveva fatto un museo privato, insieme al nonno Claudio: “furti commessi soprattutto ai danni della contessina Marie Antoinette Castellano Labadini, ex moglie del “conte mitra”.
La sorella Mariacristina non risparmia in niente il fratello: “un vigliacco che dichiara di aver combattuto in Afghanistan a fianco dei talebani e non ha fatto nemmeno il servizio militare”. Continua la scrittrice: “a dieci anni mi obbligava a vedere film porno” e “convertito all’islamismo” lo “scorso dicembre l’appartamento della sua convivente Emilia Dizioli è stato perquisito dai carabinieri di Brescia e della DDA, il Dipartimento distrettuale antimafia, all’interno della maxi-operazione Scarface.
L’indagine è ancora coperta dal segreto istruttorio” mentre la sua convivente è “indagata con l’accusa di essere la stretta collaboratrice di Francesco Mura, un imprenditore proprietario di tv private, che avrebbe stretto rapporti con il clan della ‘Ndrangheta Barbaro- Papalia”.
A quanto si legge, in una autobiografia che appare talmente avventurosa che si legge come un romanzo, tra l’altro ottimamente scritto, all’autrice non è andata bene neanche sul fronte del matrimoni con “Giulio, ultimogenito della famiglia di Vincenzo Romagnoli, immobiliarista lombardo a capo della Holding che controllava l’Acqua Pia Antica Marcia Spa (gestione acqua e elettricità nella Roma degli anni ’80, la Bastogi (al centro negli anni ’70 di una scalata da parte di Michele Sindona) e poi finanziarie, assicurazioni, il network televisivo Odeon Tv, trenta cinema a Roma e la storica casa cinematografica Titanus”.
“Prima del matrimonio con suo figlio Giulio”, leggiamo, “mio suocero Vincenzo era già toccata una via Crucis: finì nelle indagini di Tangentopoli e nelle patrie galere”. Sin dal pranzo di nozze, al “Circolo del Giardino” di Milano, il matrimonio rischiava di annegare nell’alcool: “La prima notte mi chiusi in camera a chiave: urla, minacce, pugni sino a sfiorarmi la faccia”.
Passava molto tempo nella casa di famiglia Romagnoli: con la madre “amante dell’esoterismo”, i fratelli di Giulio, Giovanna ed Enrico Romagnoli tutti “incapaci di usare un linguaggio diverso da quello che implicava i soldi”. In quella casa era stata “presa a benvolere da Giulio Andreotti: mi chiamava ganascina e con lui giocavo a Gin Rummy, perdevo sempre” e “incontrai anche Cesare Romiti noioso, banale e sopravvalutato”.
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Poi divorziata ha intrapreso diversi lavori di pubbliche relazioni sino a diventare assistente personale di Saadi Gheddafi: capace di spendere in pochi minuti e per due valigie 300 mila euro da Gucci in via Montenapoleone, di volere a tutti i costi una vasca di squali nel suo bagno (per poi farli arrosto e mangiarli), di voler entrare in serie A come calciatore del Perugia.
Un’autobiografia che non ha il passo della vendetta, ma è il racconto di una Milano crudele e spietata che dagli anni da bere è finita con il bersi la dignità che l’ha sempre contraddistinta come “capitale morale”. Di cosa non si capisce, almeno leggendo le pagine di questo che è un romanzo di conti decaduti e imprenditori incapaci, di verità talmente nascoste da sfiorare la finzione.
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